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Il Liberty in Italia. Alcune note critiche sull'allestimento della mostra

di Roberto Zanon




Il Liberty in Italia

Padova
Palazzo Zabarella

dal 18 novembre 2001 al 3 marzo 2002

informazioni e prenotazioni:
tel: 049 8756063

ufficio stampa:
Studio ESSECI
tel: 049 663499
esseci@protec.it 




Si è inaugurata a Padova la mostra, "Il Liberty in Italia" che rimarrà aperta fino al 3 marzo del 2002. Un evento espositivo proveniente da Roma dove già era stato allestito nel Chiostro del Bramante, e che a Padova avrebbe dovuto trovare nell'appropriata sede di Palazzo Zabarella un contesto ideale, almeno a detta dei promotori, proprio per l'ambito domestico che la collocazione dei differenti oggetti avrebbe potuto trovare.

La mostra nasce dal presupposto di rivalutare la produzione italiana del periodo 1890 - 1920 che in Italia viene riconosciuto come Liberty e che in altre parti d'Europa ha preso nomi differenti tra i quali Art Nouveau e Jugendstjl. Tale produzione, scarsamente considerata in precedenti mostre di respiro internazionale svolte all'estero, vuole invece riportare l'attenzione sull'importanza dell'apporto che artisti appartenenti all'ambito nazionale hanno offerto alla crescita di questo importate stile, forse l'ultimo periodo (come ancora tempo fa ha sottolineato Gillo Dorfles) in cui architettura, artigianato e primi oggetti industrialmente prodotti riescono a rispettare lo spirito dell'epoca anche nelle arti visuali pure, ovvero pittura e scultura.


Carlo Bugatti, Stipo.

[21nov2001]
Se quindi "contesto espositivo" e "pluridisciplinarità" risultavano essere i momenti fondativi per la realizzazione di questo importante evento, una delusione nasce dal fatto che proprio questi due presupposti vengono in qualche modo negati. L'insieme delle opere -certo alcune di innegabile fattura e attrattiva quali gli schizzi di Giacomo Balla o le sculture di Duilio Cambellotti, o un fascinoso olio di Giuseppe Pellizza da Volpedo- guarda ancora alle arti tradizionali (intendendo pittura, scultura, grafica) quale referente principale e relega il fondamentale abito delle arti applicate e dell'architettura solo a marginale citazione.


Vittorio Zecchin, Convegno Mistico, 1914.

L'importante apporto di Ernesto Basile, di Raimondo d'Aronco, di Gino Coppedè viene semplicemente evocato, mentre nel campo dell'arredamento solo piccoli e contestuali oggetti trovano collocazione. In qualche modo viene tradito lo spirito dell'epoca che ricercava l'applicazione del senso del bello anche nell'oggetto appartenente al quotidiano. E va ricordato che mai uno stile fino ad allora arrivò a contaminare un livello così basso, giungendo a rapportarsi con gli oggetti destinati alla fetta più grande della popolazione e gettando in questo modo le basi per il "design" così come oggi è inteso.


Tra i pochi oggetti esibiti il principale artefice è sicuramente identificabile in Carlo Bugatti di cui si riconosce non solo la perseverante attualità del disegno, ma anche la particolare attenzione alle superfici, pensate come avviene per l'artefatto di design, interfaccia comunicativa fondamentale nella relazione tra l'oggetto e la sua fruibilità. A questo proposito va segnalata una vetrinetta in legno rivestita di pergamena e poi decorata, che suggerisce un "facile" parallelo con le finiture artificiali molte volte applicate all'oggetto di arredamento contemporaneo.


Giuseppe Pellizza da Volpedo Girotondo, 1906-07.

Secondo momento di mancato appagamento nel concetto allestitivo di questa esposizione risulta essere la scelta della "prestigiosa" sede di Palazzo Zabarella che, se nei presupposti dei curatori può sembrare il luogo domestico appropriato, in realtà cela alla base altre due indipendenti componenti di valutazione errate. La prima è che il palazzo è stato restaurato in funzione di poter ospitare delle mostre e quindi lo spazio è stato "snaturato" rispetto ad una domesticità ipotizzata. Una ricerca che ha portato alla realizzazione di un luogo espositivo che, seppure offre un ambito raccolto e ordinato nelle proporzioni e nei percorsi, conserva la carenza che già altre mostre avevano evidenziato di una pessima illuminazione delle opere appese alle pareti. L'altro presupposto erroneo è quello di volere scavalcare la disciplina dell'allestimento -che pure ha dimostrato negli anni di avere anche in Italia, attraverso sperimentazioni e ricerche di importanti progettisti, una propria matura autonomia- con una finta ambientazione, che tra l'altro non riesce poi ad esplicitarsi. L'evidente forzatura di presumere di poter "arredare-saturare" gli spazi del Palazzo con una collezione preconfezionata cioè con il "corpo" della mostra.

Non vuole, questa, essere una critica sterile agli innegabili sforzi che un'esposizione di portata nazionale come questa mette in opera. Ancora una volta però diventa triste segnalare un'occasione mancata di poter riflettere su cosa vuol dire "allestimento" in termini progettuali e di come la stessa selezione di opere avrebbe potuto trovare una migliore relazione con il pubblico che la visiterà. 

Roberto Zanon

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