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Sopralluoghi

Marcello D'Olivo (1921-1991) Architettura e Arte

di Pietro Valle




Marcello D'Olivo - Progetti
Udine, Chiesa di San Francesco

Marcello d'Olivo - Dipinti
Udine, Galleria D'Arte Moderna

dal 18 Gennaio al 30 Aprile 2002

apertura:
dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00
chiuso il lunedi e domenica pomeriggio



Marcello D'Olivo, uno dei più originali protagonisti dell'architettura organica in Italia, è ricordato dalla sua città natia, Udine, con ben due mostre retrospettive che ne illustrano la poliedrica attività di architetto, urbanista e artista. Attivo in Friuli sin dal 1947, D'Olivo si trasferisce poi a Roma per finire, dagli anni ‘60, a lavorare a una serie di grandi progetti in Africa e in Medio Oriente (tra altri, ricordiamo la pianificazione di Libreville, capitale del Gabon, il complesso museale di Dakar, nel Senegal e il Monumento al Milite Ignoto a Baghdad In Irak) che lo accompagneranno fino alla morte avvenuta nel 1991.


Marcello D'Olivo, Cité des Arts, Dakar Senegal 1965.

[23feb2002]
La mostra offre una bella occasione per ripensare al rapporto tra progetto e prassi costruttiva nonché al dialogo tra centro e periferia nella cultura architettonica italiana. D'Olivo, personaggio scontroso e "irregolare", opera infatti autonomamente da scuole e categorie prestabilite, sperimentando declinazioni del linguaggio usoniano e strutturalista in realizzazioni orientate alla scala territoriale e caratterizzate da un'assoluta originalità costruttiva. I frammenti d'utopia da lui lasciati nel paesaggio mostrano da un lato il fallimento della fiducia modernista nella grande forma capace di risolvere tutto; dall'altro, nella loro incompletezza, si avvicinano a contemporanee sperimentazioni (come il Decostruttivismo e l'organicismo della Bit Generation) verificandone nel costruito l'innovazione spaziale. 

L'etichetta di "Organicismo" appare subito insufficiente a comprendere la varietà della scena architettonica udinese dove si forma D'Olivo alla fine degli anni ‘40. Sono qui presenti una serie di originali riletture dell'opera di Wright che ne declinano diverse componenti linguistiche adattandole a materiali e contesti locali. Il punto di partenza dei giovani udinesi non è tanto l'ideologia Zeviana ma la lezione di Carlo Scarpa che, attivo a Venezia, influenzerà più o meno direttamente il gruppo con la sua "eterodossia". Parallele a quelle di D'Olivo sono le prime opere di Angelo Masieri (che commissionerà al maestro americano il famoso memorial sul Canal Grande A Venezia) ricche di frammentazioni neoplastiche, alcune prove giovanili di Gino Valle che mescolano elementi vernacolari e brutalisti e le realizzazioni di Federico Marconi (allievo di Aalto a Helsinki) capaci di dialogare con i luoghi attraverso molteplici stratificazioni materiali. Al contrario dei suoi coetanei, sensibili alle variazioni caso per caso delle diverse commissioni, D'Olivo si distingue sin dall'inizio per una radicale volontà di omogeneità linguistica rintracciabile a diverse scale e proiettata verso la grande dimensione.


Marcello D'Olivo, Villaggio del Fanciullo, Trieste 1949. Il refettorio.

Il Villaggio del Fanciullo di Trieste del 1949, sorta di comunità religiosa d'assistenza localizzata in mezzo alla natura del Carso, sperimenta ardite soluzioni costruttive nelle strutture in cemento armato dei diversi padiglioni, alternando pareti oblique, aggetti angolari e grandi superfici vetrate. Con il piano regolatore della città balneare di Lignano Pineta del 1953 fa la comparsa la figura della spirale, che accompagnerà ossessivamente D'Olivo in innumerevoli progetti successivi.


Marcello D'Olivo, Piano Regolatore di Lignano Pineta, 1953. Foto aerea del tracciato delle strade.

Il tema della crescita progressiva e dell'armonizzazione con il paesaggio viene risolta con il disegno di una grande forma territoriale curvilinea ritenuta capace di assorbire le variazioni insediative e temporali in un gesto unitario: a Lignano è il disegno delle strade della città giardino nella pineta; in seguito, a Manacore in Puglia (dove D'Olivo costruirà un hotel e un villaggio turistico) e a Libreville, si trasformerà in una grande megastruttura lineare che contiene abitazioni, spazi pubblici e percorsi.


Marcello D'Olivo, Piano Regolatore di Lignano Pineta, 1953. Planimetria.
Le variazioni all'interno di questi sistemi e le relazioni tra piccola e grande scala vengono minuziosamente verificate da D'Olivo con un'ossessione progettuale che potremmo definire frattale per come risolve tutto (e soprattutto la crescita temporale) all'interno della forma architettonica. Questo è visibile in mostra in una straordinaria serie di disegni e schizzi originali di grandi dimensioni che passano dalla mappa geografica al dettaglio costruttivo senza soluzione di continuità. D'Olivo mostra un'intuizione geometrico-strutturale per i sistemi complessi assolutamente originale: nei suoi progetti le distinzioni tra supporto, tamponamento, stanza, vano, spazio pubblico e insediamento territoriale vengono annullate e parallelamente moltiplicate in infinite variazioni. Strutture ad albero, planimetrie a spirale, sezioni con aggetti degradanti, facciate "striate", involucri sempre aperti: le architetture di D'Olivo alludono non solo a Wright ma anche al Le Corbusier del Plan Obus e delle realizzazioni brutaliste degli anni ‘50, ai maestri sudamericani come Niemeyer, Reidy e Villanueva Artigas, all'espressionismo di Scharoun e alle grandi infrastrutture di ingegneri come Morandi.

Nel 1985, D'Olivo sintetizza le sue sperimentazioni nel progetto di Ecotown, città immaginaria basata sulla struttura dell'albero, la cui crescita "naturale" viene opposta a quella segregata della città capitalistica. L'annullamento delle gerarchie tra diverse scale nonché tra rappresentazione e costruzione è possibile nel progetto: le realizzazioni di D'Olivo si scontreranno invece con la complessità del mondo reale e con l'intransigenza dei propri stessi assunti. Incapace di concepire nulla al di fuori della forma architettonica e del potere del progettista-demiurgo (al contrario di Paolo Soleri che renderà possibile la costruzione della sua utopia con la partecipazione e l'autocostruzione), D'Olivo riuscirà a fatica a realizzare solo alcuni frammenti dei suoi numerosi progetti. Il piano di Lignano, ancor oggi riconoscibile nel disegno delle strade, viene appropriato dalla speculazione edilizia e verrà stravolto nel rapporto tra abitato e verde. Innumerevoli complessi come quelli del Villaggio del Fanciullo, di Manacore e di Libreville verranno realizzati solo in parte, con tempi lunghi e numerose revisioni. La forma architettonica non sempre sarà capace di supportare condizioni ambientali confortevoli, come testimoniato da Gillo Dorfles nel suo saggio in cui descrive con deliziosa ironia una "vacanza sperimentale" nell'Hotel Gusmay a Manacore, dove sarà perseguitato dal caldo e dalla mancanza d'aria all'interno del serpente di cemento di D'Olivo. Incapace di relazionarsi a un contesto preesistente stratificato e a una realizzazione dell'architettura che veda in gioco molteplici attori, D'Olivo troverà in Africa e in Medio Oriente quella tabula rasa che andava cercando.

Non casualmente finirà a lavorare per dittatori e governanti autoritari come Saddam Hussein e il presidente-poeta del Senegal Leopold-Sedar Senghor che gli possono garantire un controllo totale sull'architettura. Il presunto linguaggio democratico dell'ideologia organica si ribalta nella dittatura della forma ed è ironico e insieme tragico riguardare le foto dei giovani africani nelle capanne della foresta che D'Olivo pubblica nel suo "Discorso per un Altra Architettura" del 1972 per presentare il contesto naturale di Libreville: una perfetta testimonianza dell'equazione colonialismo-modernità. 

Riviste a più di trent'anni di distanza, le contraddizioni di D'Olivo nulla tolgono al valore della mostra, dei progetti e delle realizzazioni. Molti aspetti che emergono dalla sua opera potrebbero essere ampliati per scrivere una storia delle speranze dell'architettura italiana, non ultima quella della redenzione dalle difficoltà politico-amministrative del nostro paese attraverso un linguaggio architettonico innovativo. Il fatto che l'avanguardia si misura prima o poi con la realtà emerge in tutta la sua tragicità da questa mostra. Se la sconfitta del Moderno non è tema nuovo, attualissimo e ancora sorprendente è invece il livello di approfondimento linguistico-costruttivo messo in atto da D'Olivo: la sua stupefacente elaborazione progettuale, l'uso di rappresentazioni processuali capaci di avere forza generativa (un po' come emerge dalle recenti sperimentazioni sui linguaggi digitali), la capacità di guardare contemporaneamente a diverse scale. Come è possibile che da una realtà provinciale come quella friulana sia potuta emergere una così originale rielaborazione di linguaggi e stimoli provenienti dalla cultura architettonica internazionale? La domanda rimane aperta e tuttavia la distanza che emerge tra la forza di D'Olivo e molte tiepide prove di giovani architetti italiani contemporanei, la dice lunga sul livellamento operato dalle mode architettoniche recenti e sulla mancanza di coraggio della committenza. Un dialogo critico sull'avanguardia tra centro e periferia era presente nell'Italia del dopoguerra. Dov'è oggi, tra tanti progetti che reiterano le medesime immagini senza identità?

Pietro Valle

carlini.valle@libero.it
Tutte le immagini sono tratte dal volume di Marcello D'Olivo, "Discorso per un'Altra Architettura", editore Casamassima, Udine 1972.
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