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Sopralluoghi

Note sulla tecnica

di Alessandra Bordieri




Vittorio Gregotti
Architettura, Tecnica, Finalità
Italia, 2002
Laterza
pp143, €8,08

Da Cipputi a Chip…puti
Lavoratori in fabbrica tra gli anni Settanta e il 2000, nelle fotografie di Dino Fracchia e nelle vignette di Altan

"La Galleria" di Franca Speranza
via Melzo 10, Milano
dal 4 al 28 giugno 2002
chiuso domenica e lunedì



Dalla machine à habiter al computer, dal mattone alla fibra ottica, dallo schizzo al rendering, dalla piazza alla rete. La tecnica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nelle pratiche artistiche e nei progetti di architettura. Nell'ultimo secolo il progresso scientifico e tecnologico ha mutato questo ruolo, rendendolo spesso un punto centrale delle scelte del progettista-artista, che dopo l'era della macchina come forza meccanica, ora si trova a fronteggiare l'era del computer, della macchina come forza del virtuale. Non è solo questione di tecnologie costruttive o di rappresentazione del progetto, il cambiamento tecnico investe la concezione dei luoghi sociali, dello spazio pubblico, delle abitazioni private, il loro uso e di conseguenza la loro progettazione da parte dell'architetto.

Un mutamento che visto a scala più ampia investe la città contemporanea, la quale ora offre ampie aree dismesse, liberate dalle fabbriche e rese disponibili per altre funzioni sociali, ma che deve fare i conti anche con la reinvenzione di queste aree e con la costruzione dei nuovi spazi sociali legati alle recenti tecnologie. Cinema multisala, centri commerciali omnicomprensivi, centri sportivi nascono ai margini delle nostre città, come luoghi dell'incontro e dello scambio, in sostituzione di quelli tradizionali, e tutti all'insegna dell'alta tecnologia.

E perciò dopo la malta e il cemento armato, dopo la matita e la carta da schizzo, qual è il ruolo della tecnica nel progetto contemporaneo? Di questi temi hanno parlato Vittorio Gregotti, Fulvio Irace e Guido Martinotti, venerdì 7 giugno in un convegno al Politecnico di Milano in occasione della presentazione del nuovo libro dello stesso Gregotti "Architettura, tecnica, finalità".

L'argomento è fortemente attuale se si pensa che la progettazione e la costruzione degli edifici, e in generale della città contemporanea, sono decisamente influenzati dalla tecnologia di riferimento. E di conseguenza anche la costituzione della società. Il rapporto con la tecnica è cambiato nell'ultimo secolo. A lungo gli architetti in epoca moderna hanno pensato che la tecnica dovesse essere al servizio del progresso sociale, che fosse uno strumento per sconfiggere le sperequazioni sociali anche attraverso processi rivoluzionari. Che poi non ci sono stati. Era l'età della macchina, della forza motrice come tecnica di riferimento per la società.

Ma la scoperta della contemporaneità è che la tecnica è passata al servizio del profitto anziché del progresso. Questa scoperta ha mutato profondamente il ruolo della tecnica nel progetto di architettura, spostando il suo peso verso la gestione dello stesso progetto, verso la concezione dell'architettura, come prodotto da mettere sul mercato e consumare. La tecnologia diventa così l'elemento fondamentale per produrre la propria architettura, gestirne il processo di costruzione e infine venderla sul mercato. Viste con occhi retrogradi queste operazione potrebbero avere solo un valore negativo, ma in realtà non è così, perché in fondo rispondono a un bisogno della società, esattamente come la machine à habiter di Le Corbusier doveva venire incontro a necessità sociali. E poi perché spesso regalano alle città materiali architettonici di grande pregio non solo mediatico ma anche formale.

E in questo ragionamento rientra anche l'utilizzo della tecnica per creare "l'evento" architettonico, nel momento in cui l'interesse dall'opera d'arte o di architettura si sposta invece sulla sua pubblicizzazione, basti pensare all'operazione Guggenheim a Bilbao. Il rischio è quello di scadere nell'estremizzazione, fino a pensare che se un'opera non è "pubblicata" non esiste.

Il punto che potrebbe considerarsi fisso è il rapporto fra la tecnica e la finalità dell'architettura, ovvero quello che si potrebbe continuare a sostenere è che la tecnica dovrebbe restare al servizio del fine progettuale e architettonico, uno strumento puro, anche se non imparziale. Ma è proprio quest'imparzialità oggi che segna la differenza con il passato. Non esistono tecniche neutrali nella gestione di un progetto, soprattutto oggi che la tecnologia di riferimento non è più la macchina ma il computer e di conseguenza la rete. E soprattutto visti a ritroso gli ultimi quarant'anni, dove la tecnica diventa sempre più spesso elemento estetizzante, non più quindi uno strumento prestato al progetto ma un fine dell'architettura.

Non è solo il caso dell'High Tech contemporaneo, ma, andando più indietro nel tempo, è il caso delle architetture visionarie del gruppo Archigram o, tornando al presente, delle architetture effimere di fiere e parchi tematici e degli allestimenti. Qui la tecnica diventa l'elemento di intrattenimento. Un esempio per tutti la nuova concezione dello shopping made in Prada, confezionato da OMA-Rem Koohlaas in negozi allestiti come spazi di un computer, una sorta di e-commerce reale. E se muta il rapporto tra la tecnica e il progetto di architettura, non può non modificarsi anche la relazione con gli spazi della vita sociale. I primi mutamenti riguardano forse il mondo del lavoro tradizionale, la fabbrica dove le macchine lentamente sostituiscono la forza umana, e poi il chip sostituisce anche il cervello dell'uomo. Con conseguenze su enormi spazi da reinventare, luoghi da ricostruire anche nella loro identità.

Il passaggio è brusco, l'architettura e il progetto della città arrivano in realtà solo negli ultimi anni ad affrontare un processo che è già in corso da decenni, come mostra una piccola esposizione in corso a Milano, alla Galleria Franca Speranza, dal titolo eloquente "Da Cipputi a Chip…puti". In mostra foto di lavoratori in fabbrica, ritratti da Dino Fracchia tra gli anni settanta e il duemila, insieme a vignette di Altan. Le immagini ritraggono il luogo del lavoro, il passaggio dalle macchine sporche e rumorose, a quelle contemporanee, tutte bottoni e video. E se dietro le macchine cambiano gli spazi, davanti cambiano le persone, disegnate nelle vignette che raccontano il cambiamento della società.

Non solo i luoghi del lavoro, ma anche gli spazi del sociale quindi sono investiti da questi cambiamenti e cercano di mettersi in relazione con la tecnica di riferimento di oggi, la rete. Lo spazio pubblico per eccellenza, la piazza, oggi è sempre più vuoto, mentre è sempre più affollato lo "spazio dei flussi" (Guido Martinotti). Ovvero, la televisione, lo stereo, la radio, il computer, le chat lines, internet. Il tempo che si passava in strada ora si trascorre sempre più in casa, dove le nuove macchine ci aiutano a "consumarlo". Tramite la rete si possono soddisfare le necessità primarie, così non bisogna più affollare i supermercati, ma nemmeno le librerie. E quanto agli svaghi televisioni, video e DVD non hanno nulla da invidiare ai cinema tradizionali. Una nuova società questa, che vive in parallelo a quella tradizionale, che difficilmente riuscirà a soppiantare, ma che avanza progressivamente. Una società che il progettista dovrebbe iniziare ad affrontare, perché tutto il tempo passato nello spazio dei flussi è tempo sottratto alla città e ai suoi luoghi.

L'interrogativo che resta è come continuare a progettare questa città e come iniziare a pensare questo spazio della rete.

Alessandra Bordieri
a.bordieri@libero.it
[13jun2002]
Vittorio Gregotti
"Architettura, Tecnica, Finalità"
Italia, 2002
Laterza
pp143, €8,08

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