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Sopralluoghi

Tatirama. I gloriosi anni della Francia moderna




La Ville en Tatirama. Les Trente Glorieuses à travers l'objectif de Jacques Tati

Institut Français d'Architecture
6 bis, rue de Tournon
75006 Paris 
tel: 01 4633 9036
fax: 01 4633 0211
http://www.archi.fr/IFA-CHAILLOT

dal 28 giugno al 29 settembre 2002




Dopo che il Festival di Cannes ha reso omaggio all'attore e regista Jacques Tati con la proiezione della versione restaurata di Playtime, l'Institut Français d'Architecture organizza una mostra che mette in risalto lo sguardo particolare del cineasta sulle mutazioni urbane ed architettoniche che la Francia conobbe durante i cosiddetti "Trente Glorieuses". "La ville en tatirama" è un'esposizione che rivisita i grandi principi dell'architettura moderna... secondo Tati, con la ricostruzione a scala 1:10 della villa Arpel di Mon Oncle (1958).

[22jul2002]
Quest'edificio fa ormai involontariamente parte della biblioteca dell'immaginario sulla modernità che ogni architetto si porta dietro, quel corpus in cui si mescolano le opere di Mies van der Rohe, Charles Eames, F.Ll. Wright o ancora Mallet-Stevens. Qual era l'intenzione di Tati quando la volle per il suo film? Le parole di Jacques Lagrange, scenografo di Mon Oncle e Playtime, possono aiutare a comprendere: «Tati non era un antiprogressista. Voleva soltanto dire che stavamo commettendo degli errori in nome della modernizzazione. Non era un nostalgico, ma voleva salvare la gente dal modo in cui rischiava di vivere nell'anno duemila.»



Perciò Tati richiese al suo architetto di concepire non una caricatura di architettura, ma un'autentica casa moderna, come se ne stavano costruendo molte in Francia all'epoca. Ultra-moderna, potremmo dire, dotata di tutti i perfezionamenti tecnologici, ottimista, desiderabile, al punto che le planimetrie furono raccolte da privati e che essa fu costruita (per i curiosi che volessero cercarne i cloni si dice che si trovino nei dintorni di Massy-Palaiseau).

Lo sguardo di Tati si distende sulla Francia dei "Trente Glorieuses", gli anni in cui il progresso tecnico e scientifico è sinonimo di modernità e abbondanza. Il progresso che permette di costruire nuove ville ed "alloggi moderni per tutti", che democratizza il benessere e libera dagli ingrati compiti domestici, che aumenta la produttività industriale ed alimenta il mercato di beni di consumo accessibili al grande numero, che disegna nuovi equilibri tra lavoro e tempo libero, che favorisce infine lo sviluppo dei trasporti e abolisce le distanze.

Jacques Tati, il quale diceva di non avere altra intenzione che quella di far sorridere lo spettatore, offre, un film dopo l'altro, una lettura attenta della società francese e della sua evoluzione. Il filo conduttore resta una critica d'impronta umanista, costruita a partire da un'osservazione fine e pertinente, delle funzioni della città (Abitare, Tempo Libero, Lavoro, Circolazione, Patrimonio Storico) identiche a quelle formulate nel 1943 in quella Bibbia ad uso dei costruttori moderni che è la Carta d'Atene.





Nei film di Tati, in cui la cultura popolare fa da rivelatore di un quotidiano in piena mutazione, le proposte dei filosofi della vita e della città moderne sono sottoposte alla prova delle immagini. La standardizzazione degli svaghi urbani si oppone all'umanità e alla socievolezza del villaggio, le villette borghesi decorative si confrontano con il linguaggio vernacolare del popolo, la fabbrica monofunzionale e l'universo standardizzato dell'ufficio segnano la demolizione delle zone periferiche, come le autostrade e le autovetture, fonti di coreografie accidentali, cancellano la bicicletta d'altri tempi e il passo dell'uomo.

Jacques Tati peraltro non si oppone per principio all'architettura moderna e ne riconosce gli apporti evidenti. Se critica la monotonia che essa induce, ripone sempre la sua fiducia nella capacità dell'individuo a riumanizzare i luoghi in cui stanno scomparendo il calore e la spontaneità. Jacques Tati, "costruttore" di una casa moderna per Mon Oncle, fu anche, come ricordava non senza ironia, il primo di tutti a costruire La Défense: la Tativille di Playtime, 15.000 mq di edifici in cemento e vetro. La relazione esistente tra Tati e l'architettura moderna è dunque più complessa di ciò che possono far supporre le gag cinematografiche, che ironizzano su di un ambiente progressista popolato da gadget superflui, se non assurdi.

La ricchezza e l'originalità di propositi del regista vengono essenzialmente delle sue qualità di osservatore, sempre in stretta connessione con i più recenti mutamenti della società. Lo scopo della mostra "La ville en Tatirama", ricordano gli organizzatori Fiona Meadows e Lionel Engrand, è di ritornare, attraverso lo sguardo attento di un regista, sulle mutazioni urbane ed architettoniche sopravvenute durante i Trente Glorieuses ed alla fine di comprendere meglio il posto che esse hanno occupato in un universo cinematografico unico. Essa intende rendere conto della relazione passionale d'attrazione-repulsione che Tati intratteneva con la società moderna, nella quale egli amava rappresentarsi sotto le spoglie di un comune abitante, per ricordarci la forza poetica del quotidiano e l'importanza delle immagini per svelare ed esporre il reale in tutte le sue dimensioni.

Ricca nei contenuti e nell'analisi del periodo interessato, illustrata da numerosi documenti ancora inediti, la mostra presentata all'IFA si rivolge sia ad un pubblico di addetti del "settore architettura", sia ad uno più vasto di amanti del cinema, del design, della storia... L'ingresso all'esposizione avviene attraverso uno spazio drugstore, un caffè d'epoca in cui si è introdotti in maniera conviviale nell'universo di Jacques Tati, si fa la conoscenza dei suoi personaggi, si trovano i manifesti dei suoi film e la proiezione di documentari che lo riguardano. Le sale seguenti sono allestite ognuna a partire da una tematica della Carta d'Atene (abitare, lavorare...) e presentano immagini scelte dai diversi film accompagnate da estratti di interviste di Tati e Lagrange relativi all'architettura e alla città.

La lettura dell'opera di Jacques Tati viene fatta a partire dal contesto architettonico, culturale e sociale: attraverso progetti di architettura e urbanistica recuperati da pubblicazioni professionali; manifesti pubblicitari istituzionali (Sncf, Air-France, Edf-Gdf, ecc.) rivelatori dell'esplodere della società dei consumi; filmati d'attualità provenienti dagli archivi dell'Ina e filmati di propaganda e d'informazione del Ministero della Ricostruzione e dell'Urbanistica; o, ancora, inchieste d'opinione e studi statistici che testimoniano l'evolversi delle aspirazioni e dei modi di vita dei Francesi dopo l'ultima guerra e fino agli anni Settanta.



Uno spazio particolare è riservato alla maquette della villa Arpel, realizzata per il museo della futura Città dell'Architettura e del Patrimonio, in cui verrà in seguito installata. Far rientrare la villa Arpel in un tale museo segnerà una sorta di compimento alla sua vicenda: nata come simbolo di un avvenire ineluttabile, poi esempio di realtà, infine testimonianza storica. Le reazioni, le risate che essa susciterà saranno ambivalenti come al tempo in cui incarnava il futuro in arrivo. Ricostruire la villa Arpel è come riaprire l'archivio di un'epoca, i Gloriosi Trent'anni, dalla quale i Francesi (e non solo loro) sono usciti senza aver fatto luce sul proprio rapporto con la città moderna e le sue rotture con usanze ed estetiche. Sembra sia venuto il momento di riprendere in mano la storia, guidati da Jacques Tati.

Elisa Ferrato
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