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100
STORIE di Gianni Pettena |
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Sergio
Mannino, 100 STORIE Galleria Post Design via della Moscova, 27 20121 Milano tel/fax: +39 02 655 4731 postdesign@tiscali.it http://www.100storie.it inaugurazione: 25 settembre 2002, ore 19.00 apertura: dal martedì al sabato, ore 10.00-13.00 e 15.00-19.30 |
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Disegnare
mobili può essere un esercizio molto complesso, con tutti i problemi
di ingegnerizzazione, e di verifiche, che una produzione di grande numero
può imporre: e i risultati sono spesso impeccabili, spettacolari.
La materia è interpretata e compresa, le sollecitazioni previste
e assecondate. Ma esiste, ormai da un secolo o forse più, anche una maniera, spesso praticata dalla stessa persona, di disegnare e fare mobili che percorre altri itinerari, guidata da altre intenzioni: quelle di raccontare i mondi fantastici, i desideri di chi pensa anche di esprimersi attraverso il progetto, fino alla costruzione di vere e proprie allegorie, diagrammi fisicizzati di pensiero. Alcuni architetti fanno questo, perché hanno scoperto che fare un mobile può essere anche, e non solo, proseguire nellesercizio del progetto, del progetto darchitettura, raccontando così molte cose, il proprio tempo, il proprio esserci, il proprio amare, desiderare, volere. E poi, quando si pensa architettura, in qualsiasi scala, la si disegna o si preparano modelli in scala ridotta, le verifiche sono sempre incerte... Nel mobile, lesercizio del progetto si sviluppa in modo meno frustrante: si può procedere -ed è lunico caso nel mondo del progetto per disegni e per modelli, ma i modelli hanno la particolarità di essere in scala reale, uno a uno, non ridotta, e i materiali di essere quelli! Lavorare nel progetto e non fermarsi a una frustrante scala uno a cento (quando va bene). Diventa una grande scoperta ad esempio per quelli della mia generazione, come gli Archizoom, gli Ufo, i Superstudio, io stesso. Confrontarsi con il risultato del tuo percorso progettuale nella scala reale, con i materiali veri, in un brevissimo lasso di tempo (rispetto agli anni che un progetto darchitettura ti fa perdere, e tu dopo anni sei già altrove, sei dopo), realizzare il progetto, confrontarlo, confrontarsi, è giusto, è entusiasmante. Allartista visivo era permesso, allattore, allo scenografo, allarchitetto no. E così fare mobili diventa un momento importante del tuo raccontarti per architettura, per progetto, organizzazione di spazi. E visto che si è proprio allinizio, ecco confluire in questi vere e proprie allegorie, la propria visione del mondo. Il mobile diventa veicolo, strumento per raccontarti e confrontarti, anche il luogo dei sogni, del fantastico, del visionario. A questo si accompagnano testi, disegni, e modelli, prototipi, paraphernalia. Ma cè un responsabile di tutto questo. Chi è stato colui che ha iniziato a ricontaminare il processo progettuale degli ingredienti espulsi, nel mondo anni Trenta, dal tradizionale menu dellarchitettura? Ettore Sottsass, nellimmediato dopoguerra, inizia un proprio percorso autonomo nel mondo del design, ove lesperienza funzionalista sembra perdere forza, nelle sue mani, e acquistare sicurezza invece la materia, il colore, il decoro. Spezie, queste, sospese, allontanate dal menu, quando larchitettura negli anni Venti, a rischio bulimia, decide di mettersi a dieta e di attenersi a quella, semplificata, di una pura geometria. Ettore comprende che questo, per lui, può essere a rischio danoressia, e piano piano riammette nel suo menu, per renderlo di nuovo equilibrato, materia, colore, decoro. Lo fa producendo mobili, vetri, ceramiche spesso a sue spese e spesso ...impossibili a farsi, impossibili a trasportarsi, impossibili a pagarsi.... Andrea, Lapo, io, Cristiano, Adolfo, e poi Alessandro, Gaetano, Riccardo(*), capivamo guardando i suoi pezzi che sì, il progetto non era solo lo specchio di un mondo razionale ma poteva raccontare tante altre cose, tutti noi stessi, e anche i desideri, la voglia di amare, lemozione, lironia, la trasgressione. Il progetto poteva raccontare, raccontarci. E ditemi se è poco. Fu un grande entusiasmo. Il radicale. La Global Tools, Alchymia, Memphis, una dopo laltra esperienze in cui confluivano i primi studenti miei e di Adolfo, come Michele (De Lucchi), e poi quelli di Buti, come Giovannoni e Venturini e oggi Mannino. E per anni gli studenti e i giovani laureati da Firenze migrarono a Milano, e fra gli ultimi sedotti da questo clima Sergio resta colui che interpreta questo mondo nel modo più ortodosso. Già per il suo progetto di tesi cerca Ettore, e con lui impara a progettare piccole abitazioni meravigliose, equidistanti tra natura e organizzazioni spaziali, semplici e intense, equilibrate e sorvegliatissime. I suoi mobili poi hanno in più un desiderio di catturare alfabeti e pensieri, al fine di descriverli e utilizzarli a organizzare racconti delicati che si costruiscono facendo, definendo spessori colori trasparenze. I più bei pezzi di Ettore per me sono quelli di quando si lascia andare e la sua materia si racconta per una percezione frontale, quasi una bidimensionalità che già direbbe tutto in un disegno ma che con laggiunta quasi meccanica della profondità, racconta anche la possibilità di esistere, e questa volta da sola, in una stanza. Sergio comprende la lezione, e questi suoi esercizi dicono dei suoi itinerari dentro se stesso e dentro di noi. Gianni Pettena pettena@giannipettena.it |
[24sep2002] | ||||
(*) Primo periodo Radical: Andrea Branzi, Lapo Binazzi, Cristiano Toraldo di Francia, Adolfo Natalini. Secondo periodo Radical: Alessandro Mendini, Gaetano Pesce, Riccardo Dalisi. | |||||
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