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Sopralluoghi

Detroit Radiale

Pietro Valle

Detroit, la grande città americana ex-capitale dell'automobile, è stata devastata dalla crisi dell'industria. Abbandono del downtown, demolizione dei quartieri residenziali storici e fuga nei suburbs sono solo alcuni dei fenomeni che compongono lo scenario di consumo e distruzione di questa città. Pietro Valle visita questa frontiera della civiltà occidentale e racconta il suo disorientamento.



Le strade, sempre diritte, si intersecano a sessanta gradi formando incroci a stella. Se esse sono affiancate da un fronte continuo di edifici, la compressione spaziale in un tunnel urbano è garantita. Gli incroci tuttavia negano l'abitudine di relazionare l'orientamento alle solite quattro direzioni: fronte, retro, destra e sinistra. Molteplici angoli si estendono da questi punti e proiettano fuori asse. Attraversarli implica non tre ma cinque direzioni possibili; le strade sembrano estendere ogni impercettibile rotazione del volante e del corpo/automobile che si muove tra di loro. Non canalizzano l'andamento ma sembrano rispondere ad esso. Ogni isolato è una ridda di possibilità, un centro di proiezioni centrifugo, un abisso dove si viene attratti verso troppe opzioni possibili.

La geometria radiale crea smarrimento non solo in questa manifestazione locale ma nel confronto con le altre città ortogonali. Improvvisamente si lega ad esse nel disorientamento di non ritrovare quello che ci si aspettava. Provoca un procedere attento, una ipersensibilità a cui questi universi urbani non avevano preparato perché si pensava che fossero ovunque uguali. Questa città non è dunque ubiqua ma drammaticamente solo qui.

[07jun2004]

La pianta radiale del 1804.

Negli ultimi anni la depressione economica, l'abbandono e le demolizioni hanno distrutto i muri che definivano le strade, l'impenetrabile parete che garantiva la direzione e materializzava la maglia radiale come un'estrusione tridimensionale di un astratto disegno territoriale. Il retro degli isolati viene alla luce ed è immediatamente proiettato sulla strada con muri tagliafuoco, cavedi, corti, superfetazioni, alleys, il tutto inframmezzato da parcheggi. Lo spazio, il vuoto, si arresta su sofferte riduzioni. Si scopre che la spina dorsale nascosta degli isolati, i singoli lotti, non osservano la geometria radiale. Altri ordini vengono rivelati, una distribuzione ortogonale che provoca accavallamenti edilizi coi fronti angolati e un inserimento di strutture aliene negli spazi retrostanti. Ci sono poi altri segni alla scala territoriale, grattacieli e grandi edifici, un tempo inseriti in un continuum di strutture intermedie, stanno da soli presso gli incroci. Se formavano relazioni focali con precise direzioni, ora sono sempre lì, stabili e assenti allo stesso tempo. La loro planimetria, basata sulla geometria radiale, ha forma a losanga, a trapezio, a cuneo ma sempre con due facciate finestrate e tre cieche. Queste ultime, un tempo adiacenti ad altre strutture, sono ora visibili a miglia di distanza. Non c'è più connessione tra allineamenti stradali ed elementi verticali, essi presentano enigmatiche sfaccettature e più muri ciechi di quello che ci si aspettava. Le torri angolate, quelle che sono diventate torri angolate, possono essere circoscritte rivelando nuovi fronti.


General Motors, Albert Kahn.


Ford Rouge Plant, Dearborn.


Abbandono.

Il mistero di oggetti inesplicabili che ipnotizzano invitando a un'esplorazione per capirne l'orientamento, l'assenza di fronte e retro, la perdita di linee che leghino le loro facciate. Il dialogo tra questi totem senza volto è enigmatico, la maglia radiale è scomparsa dalle strade ed è stata assunta da questi prismi angolosi, da rimozioni di originali parallelepipedi pieni. Ci sono due livelli di materializzazione dello smarrimento, l'erosione lungo le strade e la misteriosa sbozzatura delle torri a distanza. Una nuova metropolitana sopraelevata attraversa il downtown: nega gli accidenti del terreno e sorvola gli edifici senza direzione prefissata. L'orientamento è smarrito di nuovo e frammenti isolati appaiono inaspettatamente. Questo è l'unico downtown completamente abbandonato. Magazzini, uffici, negozi hanno tutti le finestre chiuse da assi di legno. Le pareti non riflettono nessun cielo, edificio o persona, la strada non è permeabile. La sopraelevata sorvola una città murata dall'interno dove l'ossessione per la difesa è stata metabolizzata e ed è divenuta struttura portante, capillare, persino nascosta.


Torri sfaccettate.


Downtown.


Demolizione di un quartiere.

Ora le strade sono il fondo di una valle cieca che gli uomini possono occupare per la prima volta e devono attraversare a loro rischio. Capanne di rifiuti e falò di homeless abitano gli incroci, la metropolitana passa in alto per non toccare tutto ciò. Fuori da questo centro si estendono dieci miglia di sobborghi residenziali anch'essi completamente abbandonati. I cristalli violati del downtown radiale si stagliano nella lontananza, vengono catapultati alla scala geografica. Non c'è più differenza tra strada e skyline, lo svuotamento si presenta come un tutto, il terreno pianeggiante non consente alcuna differenziazione.


Edifici superstiti.

Non è possibile leggere un tale dato di fatto come immediato, l'abbandono si deve essere evoluto per arrivare a questo punto. Eppure tutto sembra così immobile, il fotogramma di un post-evento. Cosa vuol dire il tempo in una città dove esso sembra essere arrestato o eroso nel suo funzionamento? Consumo e abbandono, distruzione definitiva senza sostituzione, non c'è né cambiamento né evoluzione. I frammenti rimangono lì e non invecchiano (almeno apparentemente). Non accumulano segni del tempo: se si deteriorano, lo fanno in maniera nascosta, senza immagine, per parti discrete e mai come insieme. Resti duri, murati, immobili, inesplorati, non si potrebbe neanche dire che sono svuotati perché non li si può penetrare, la paura della violazione del privato vive ancora in questi involucri inutilizzati. Non c'è durata, né evoluzione, né memoria di tempi con funzioni diverse ma solo l'alternativa di uso o non uso, entrambi immediati, immutabili, definitivi. La città, dopo aver sfruttato i suoi edifici e quartieri, si sposta e costruisce città parallele a fianco della prima parte ormai svuotata. Dieci miglia di quartieri residenziali diruti e poi la suburbia, l'altra città che fa sì che questo centro si dica vivo anche se è completamente svuotato e vive sul suo anello esterno.


Spazi retrostanti e demolizioni.

Tuttavia l'usa e getta di intere porzioni urbane non riesce a cancellare quel che si lascia dietro, resti grandi come quartieri. La città che consuma se stessa produce un eccesso di scarto più grande di quello che fa crescere, una mostruosa massa di detriti senza memoria. Sono inesplicabili come i prismi mozzati, creano una discarica artificiale che però è l'unica a mantenere frammenti di rappresentatività contro la dilatazione senza senso della fuga all'esterno. L'intersezione delle strade a stella è ancora più inesplicabile in mezzo a frammenti che aprono squarci alternativi. Un città dilaniata proiettata su una città/retro che proliferava in silenzio. All'opposto dell'estensione lineare dei fronti, quest'ultima era densa, senza respiro. Ora si affaccia sulla strada e l'ombra del vuoto compromette la solare geometria degli allineamenti territoriali che non reggono più.

Pietro Valle
pietrovalle@hotmail.com

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