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Sopralluoghi

       ARCHIGRAM VS. ARCHILAB?

Anna Cornaro



 
  ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974

Contemporary Art Gallery - Art Tower Mito - Ibaraki, Japan
dal 22 gennaio al 27 marzo 2005

a cura di:
Dannis Crompton

planning coordinator:
Mizuki Takahashi



ARCHILAB: new experiments in architecture, art and the city, 1950-2005

Mori Art Museum - Tokyo, Japan
dal 21 dicembre 2004 al 13 marzo 2005

a cura di:
Marie-Ange Brayer, Frédéric Migayrou, Nanjo Fumio

allestimento:
Kengo Kuma




ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005.

 
Sono in Giappone in queste settimane due mostre-evento.

All'Art Tower Museum di Mito, due ore di autobus da Tokyo, si è inaugurata lo scorso 22 gennaio la mostra ARCHIGRAM. Experimental Architecture 1961-1974, introdotta da un simposio "Counter culture and Architecture" al quale erano presenti i 4 componenti superstiti (Peter Cook, Dannis Crompton, Michael Webb, David Greene) ed un amico di vecchia data: Isozaki Arata (progettista, tra l'altro, del centro civico in cui la mostra è ospitata).

  Al MoriArt Museum, 53.o piano del complesso Roppongi Hills a Tokyo, si è inaugurata lo scorso 21 dicembre la mostra ARCHILAB. New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005 accompagnata da un simposio "The Architecture of Possibility" al quale anche lo stesso Isozaki ha partecipato.

Le due mostre sono accomunate da più di un elemento.
È curioso che la riproduzione a scala gigante della Instant city in a field in una delle sale del MitoArt Museum, sia presentata in originale proprio alla mostra ARCHILAB.

Anche a causa della contemporanea presenza del vecchio Isozaki le due mostre hanno dialogato a distanza, non rinunciando a polemiche e sberleffi. In effetti già le due sedi prescelte parlano linguaggi di segno opposto. L'Art Tower Mito, costruito nel 1990, un istituzione culturale che ha nella sottile torre spiraliforme in titanio il suo segno distintivo, fa da contrappunto al MoriArt Museum, giovane museo privato che ha nel marketing un elemento irrinunciabile della propria gestione, ma che cerca di accreditarsi come nuovo polo culturale della città, nonostante sia a volte accusato di disneyficazione della cultura. Il Mori (progettato da Gluckman Mayner Architects) ospita per la prima volta una mostra di architettura con un obiettivo ambizioso che è scritto nero su bianco nell'introduzione al catalogo inglese (di prossima pubblicazione): "MoriArt Museum non mettendosi in relazione con la storia o con il luogo, ma piuttosto realizzando una visuale presenza monumentale in situ, come il Guggenheim di Bilbao, è parte di una nuova tradizione (museale) del qui-e-ora."(Nanjio Fumio, direttore del Museo).

[04mar2005]

ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974. Simposio Counter culture and Architecture. Photo by Mori Tsukasa.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Simposio The Architecture of Possibility. Lars Spuybroek.

Entrambe le mostre provengono dall'occidente: Dannis Crompton in persona è il curatore della mostra sul team inglese; più complessa è l'operazione culturale che riguarda ARCHILAB: i curatori sono Marie-Ange Brayer (che è stata direttore del FRAC Centre a Orléans dal 1996 ed è attualmente direttore artistico di Archilab, di cui è co-fondatrice insieme a Frédéric Migayrou), lo stesso Frédéric Migayrou (filosofo di formazione e autore, tra l'altro, della mostra Non-standard Architecture esposta nel 2003 al Centro Pompidou di Parigi, per cui dirige la sezione architettura) e Nanjo Fumio (direttore del Mori, curatore del Padiglione giapponese alla Biennale di Venezia del 1997).


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Simposio The Architecture of Possibility.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Simposio The Architecture of Possibility. Christian Girard.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Simposio The Architecture of Possibility. Arata Isozaki.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Sezione 1. The Pulsating city. The body as laboratory.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Sezione 1. The Pulsating city. The body as laboratory. Pascal Hausermann, Spatial Construction, 1970.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Sezione 1. The Pulsating city. The body as laboratory, Inflatable Cities. David Greene (Archigram), Living Pod, 1966-67.

ARCHILAB si sforza di accomunare sotto il segno dell'utopia architetture spesso di segno opposto, offrendo una chiave di lettura temporale del fenomeno, che frequentemente contrasta con il reale sviluppo non lineare dei linguaggi architettonici. L'esposizione si articola in diverse sale ciascuna caratterizzata da un tema, che viene fatto coincidere sempre con un'epoca, e che anche l'allestimento di Kengo Kuma fa fatica a riannodare.

Discutibili poi quasi tutte le presenze di architetti giapponesi, per i quali (come emerso anche dal simposio) l'utopia sembra essere un elemento assolutamente estraneo. ARCHILAB si potrebbe allora definire una mostra antologica (ed i numeri lo confermano: 90 architetti esposti e un numero imprecisato di progetti) e divulgativa (la scelta di mostrare per lo più i plastici assicura una chiara chiave di decodificazione), ma difficilmente permette una comprensione più approfondita del tema. Per il pubblico esperto (e per chi scrive) è certo un piacere poter osservare i plastici di Villa Rosa di Coop Himmelb(l)au accanto ai disegni di Haus-Rucker-Co, ma qualsiasi approfondimento è rimandato all'iniziativa di ciascuno; si potrebbe dire che la mostra offre una traccia dalla quale, in un secondo momento, ciascuno è libero di trasgredire. Ma un altro problema non sembra risolto: se e come tale traccia possa essere letta da un pubblico giapponese, domanda alla quale, chiaramente, chi scrive non sa rispondere. Perché non si può negare che la visione sia tutta euro-centrica e ancor di più "franco-centrica".

Fulminanti le parole di Peter Cook al simposio di Mito: secondo Cook la Francia non è mai stata l'epicentro di quella controcultura che si è sempre preoccupata di smantellare e poi riaggregare la cultura dominante. Le avanguardie erano altrove, sempre in luoghi periferici: Londra, Vienna, Firenze, Tokyo.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Sezione 3. The Deconstructed City-Creating a New Sintax, Radical Italy. Superstudio.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Sezione 2. The Endless City - An Expanding Environment, The Oblique city. Architecture Principe. The Oblique city.


ARCHILAB: New experiments in architecture, art and the city, 1950-2005. Sezione 4. The Contextualized City - A computerized Symbiosis. DzO. Ghost Track Installation.

ARCHILAB sembra proprio voler dimostrare il contrario: apre la prima sezione (The pulsanting city-the body as Laboratory) con le sculture di André Bloc (direttore della rivista L'Architecture d'aujourd'hui), nella seconda sezione (The Endless City-An Expanding Environment) fa più di una volta riferimento alle "spatial cities" di Yona Friedman (artista ungherese di nascita, ma francese di adozione) e dedica una vasta area alla "Funzione dell'obliquo" di Architecture Principe (Claude Parent e Paul Virilio); nella terza sezione (The Deconstructed City-Creating a New Syntax) se è vero che concede ampio spazio alle avanguardie italiane (Archizoom, Superstudio), non manca poi di inserire Daniel Buren ed il suo Deux Plateaux del 1985 e di presentare il Decostruttivismo come fenomeno la cui paternità, anche architettonica è tutta del filosofo francese Jaques Derrida. Mentre nell'ultima sezione (The Contestualized City – A Computerized Symbiosis) mixa maldestramente Perrault, R&Sie..., DzO, dECOi, Périphériques, Jacob & MacFarlane con un certo numero di architetti Giapponesi (Sejima, Ban, Endo, Ando, Yamashita, Aoki, Hasegawa, Ito, Kuma, Watanabe, Abe...) aggiungendo infine architetti da tutto il globo: Neil Denari, Wes Jones, Diller + Scofidio Nox, ONL...


ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974. Photo: Contemporary Art Center, Art Tower Mito.


ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974. Photo: Contemporary Art Center, Art Tower Mito.


ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974. Photo: Contemporary Art Center, Art Tower Mito.

Tutto lecito e tutto discutibile. In ogni caso sarebbe stato meglio dichiarare questa tendenza "francofona" nelle intenzioni, piuttosto che travestire l'iniziativa da fenomeno globale. Questo aspetto è naturalmente legato al fatto che collezione su cui si basa la mostra ha avuto origine a Orléans, dove ha sede il Fonds Régional d'Art Contemporain du Centre (FRAC Centre) che dal 1991 raccoglie progetti di architettura (dai disegni ai plastici) che dimostrino una attenzione verso la sperimentalità e nei quali sia evidente l'intrecciarsi di contenuti estetici, artistici ed architettonici. Anche se, occorre riconoscere, la presenza nella mostra di numerosi autori francesi è mitigata e resa vitale dal carattere fortemente internazionale derivante dall'esperienza della manifestazione che corre parallela alla collezione del FRAC Centre, vale a dire quell'ARCHILAB (da cui il nome della esposizione al MitoArt Museum) che dal 1999 porta nella città a sud di Parigi le più vivaci esperienze mondiali di ricerca e di sperimentalità in architettura.

Come paradigma delle molte semplificazioni, la presenza proprio di Isozaki nella sotto-sezione Metabolists and others. A Mito è l'architetto stesso ad affermare: "Non sono mai stato un Metabolista. Forse Cedric Price è stato più legato agli ARCHIGRAM di quanto io lo sia stato ai metabolismi. Dal mio punto di vista erano solo ingegneri, non architetti o artisti con un comune obbiettivo nell'architettura." Di certo ARCHIGRAM non rischia gli equivoci. Il gruppo inglese si racconta arrivando sino ad i giorni nostri (a dispetto del titolo della mostra) e l'eterogeneità che caratteristica il percorcorso di ognuno è tutta dichiarata da Cook nel simposio di apertura: "Eravamo sei persone completamente diverse, nessuno di noi proveniva dalla stessa scuola, nessuno dalla stessa città, tutti con gusti profondamenti diversi, ma con un profondo rispetto reciproco e l'idea che ciascuno potesse lavorare sulle idee dell'altro. Qualcosa che ci ha portato a risultati molto più lontani della semplice somma delle capacità di ciascuno".
Insomma, ARCHIGRAM sembra ammettere una eterogeneità che invece ARCHILAB si ostina a "confezionare in scatole" ben definite (per citare ancora Cook).

Bisogna certo ammettere che l'operazione ARCHIGRAM sembra talvolta cadere in un nostalgico revival e forse compiacersi del tanto atteso atto finale: la grande realizzazione, la Kunsthaus di Graz.

Il simposio di ARCHILAB dà invece tutta l'idea di un continuo work in progress dove presenze importanti fanno intendere che la ricerca digitale sia arrivata ad un nuovo capitolo. Secondo Christian Girard siamo giunti ad una terza fase dell'architettura, quella in cui non esiste più perdita di dati tra processo e costruzione ed in cui è permessa la assoluta customizzazione. La realizzazione (finalmente, diciamo noi) di una Non-standard architecture, che cerca un nuovo connubio tra simulazioni digitali e tecnologia costruttiva. È quello che emerge chiaramente dalla ricerca di Bernarde Cache (Objectile), dove il computer è utilizzato per la progettazione in tempo reale di componenti non-standard che l'industria è ormai in grado di produrre. Dunque, al simposio, le utopie di questi ultimi decenni sembrano essere giunte ad una significativa svolta di concretezza, e forse solo in questo si avverte una improvvisa ed inaspettata tangenza tra gli architetti occidentali ed i loro colleghi giapponesi.

Anna Cornaro
anna.cornaro@tin.it

ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974. Photo: Contemporary Art Center, Art Tower Mito.


ARCHIGRAM: Experimental Architecture 1961-1974. Photo: Contemporary Art Center, Art Tower Mito.

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