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Sopralluoghi

       Un grande architetto che non amava gli oggetti: Gino Valle in mostra a Treppo Carnico, Udine

Luka Skansi



 
 
    Architettura in Montagna. Gino Valle in Carnia

Treppo Carnico, Udine
Galleria D'Arte Moderna "Enrico De Cillia"
dal 02 luglio al 25 settembre 2005

a cura di:
Giovanni Corbellini



 
    Vi sono alcune caratteristiche del lavoro di Gino Valle che destano stupore e curiosità per la singolarità che rivestono all'interno del panorama nazionale del dopoguerra e che non permettono di utilizzare con disinvoltura parametri e termini generalmente a disposizione per comprendere e, a sua volta, spiegare la ricchezza e la complessità del suo lavoro.
La prima singolarità, e banalmente la più evidente, è il rapporto tra, da una parte, la quantità di opere realizzate e la varietà di temi disciplinari con i quali Valle si è ciclicamente confrontato dai tardi anni '40 in poi: dalle case popolari agli edifici per le banche, dai palazzi per uffici alle torri d'abitazioni, dalle case private agli stabilimenti industriali, dai monumenti alle strutture collettive come municipi, scuole, ospedali; dall'altra la qualità e la varietà di soluzioni formali, spesso cronologicamente indecifrabili, di linguaggi, strategie progettuali e, usando un termine decisamente lontano dal lessico di Valle, ideologie architettoniche.

  [02sep2005]
   
Gino Valle ad Arta Terme, 1964. Foto: Fulvio Roiter. Stabilimento Termale Fonte Pudia / Fonte Pudia Spring and Spa Arta (UD) 1960-64. Design: Gino Valle. Collaboratori: Lorenzo Giacomuzzi-Moore, Alfredo Carnelutti, Giuseppe Baritussio, Carlo Mauro.

Nell'affrontare il suo lavoro sembra in realtà inadatto usare i termini linguaggi e ideologie, o perlomeno a loro andrebbe assegnato un connotato differente, più strutturato rispetto alle etichette e alle metodologie con le quali la cultura architettonica che ci ha preceduto li ha reso canoniche, e dei quali si è servita per dividere e classificare il dibattito. Vi sono stati pochi architetti così poco ideologici nel dopoguerra come lo è stato Valle, eppure in qualche modo Valle ha sperimentato molte metodologie e ha attraversato molte delle lingue che hanno caratterizzato gli ultimi 60 anni, non essendo però mai del tutto appartenuto a qualcuna di queste. Ha assorbito direttamente l'insegnamento dell'ondata wrightiana in Italia senza mai diventare un suo apologeta; si è formato all'interno della prima scuola veneziana senza mai trasferire o permutare le lingue dei suoi maestri Scarpa, Albini, Samonà; ha seguito con attenzione le vicende inglesi della ricostruzione, in particolare lo Stirling della fase Ham Common e le vicende del primo brutalismo, senza diventare mai parte di quel mondo; ha rielaborato alcuni temi dell'architettura dei grandi maestri, Le Corbusier, Mies e Aalto su tutti, senza mai cadere in manierismi né in dirette citazioni; è stato infine un interprete originale, e alquanto anomalo per i canoni nazionali, della problematica del contesto, conferendogli contenuti molto più sottili di un semplice gusto per il contestuale, al di sopra della palude semantica e iconoclasta di molti dei suoi contemporanei. Ciò che affascina dell'opera di Valle è quindi non solo l'impossibilità di stabilire una periodizzazione dei suoi interessi formali, un'evoluzione della sua cultura architettonica o la sua presunta appartenenza a questa o quella corrente di pensiero, ma è sopratutto la varietà di comprensione e rielaborazione di uno stesso tema contestuale o programmatico, che lo ha reso uno degli architetti più "didattici", con gesti e coerenze che trovano validità solo a contatto con le singole realtà con i quali si confronta.


Stabilimento Termale Fonte Pudia / Fonte Pudia Spring and Spa Arta (UD), 1960-64. Foto: Carla De Benedetti. Design: Gino Valle. Collaboratori: Lorenzo Giacomuzzi-Moore, Alfredo Carnelutti, Giuseppe Baritussio, Carlo Mauro.

La seconda singolarità è l'avversione di Valle per ogni concettualizzazione diretta e personale del proprio lavoro. Non vi è architetto del suo calibro a livello nazionale (e pochi ve ne sono stati a livello internazionale) che ci abbia lasciato la pressoché totale assenza di scritti e così poche testimonianze attraverso interviste. Al fiume di teorie, prese di posizione e discussioni sul problema della ricostruzione, dell'intervento sulla città storiche, sulla legittimazione del ruolo dell'architetto nel dopoguerra che hanno inondato le pagine delle riviste e che hanno caratterizzato la produzione intellettuale dell'intera cultura architettonica, Valle ha sempre risposto solamente per architetture, per forme, per oggetti.

 
    Valle ha insistentemente sostenuto che per lui l'unica architettura che esiste è quella costruita, che non bisogna idoleggiare astrazioni intellettualistiche, che non bisogna rifugiarsi negli "artifici cattivanti delle utopie". Il suo campo di interessi è stato sempre il mondo della produzione, il muoversi all'interno del sistema produttivo lavorando sui rapporti di produzione. La presa diretta e il confronto con la committenza, sia pubblica che privata, è stata il suo principale "motore" formale. Ma è impossibile accusare Valle di cinismo pragmatico o di vuoto professionalismo: le sue architetture non sono mai state passive traduzioni acritiche della realtà effettuale, bensì dialoghi e scontri critici su temi ideologici del dibattito in corso. È sufficiente citare il condominio di via San Francesco a Trieste (la contro Torre Velasca), la Banca di Latisana (il rapporto tecnica-tradizione) o il monumento alla Resistenza a Udine (la pura astrazione), e l'elenco potrebbe continuare. Eppure è stato sempre meno interessato alla forma definitiva ("Non mi va di innamorarmi degli oggetti", diceva una delle sue frasi celebri) quanto ai rapporti che le sue architetture stabilivano con la realtà, con una volontà del "[...] stornare gli effetti negativi che la rivelazione linguistica, la messa in luce e in pubblico della qualità dell'oggetto potrebbero suscitare" (dall'intervista a "Zodiac" n. 20, 1970). Parole così vicine a Un art autre (1952), il manifesto dell'arte informale del critico francese Tapié, che segnava una condizione estetica nuova del creare immagini senza il ricorso alle forme riconoscibili usate nel passato, mediante il gesto stesso del dipingere. Ma se le componenti essenziali dell'arte informale erano la materia, il segno e il gesto, nelle quali la forma si liberava da schemi e strutture significanti all'insegna delle improvvisazioni, l'atteggiamento informale in Valle è solamente aprioristico, in quanto le componenti che formano il progetto sono lentamente messi in opera, rispondendo a criteri funzionali, alle leggi contestuali, e vengono mescolati e rimescolati finché non si ottiene una forma possibile, che non è mai assoluta.

 

Stabilimento Termale Fonte Pudia / Fonte Pudia Spring and Spa Arta (UD), 1960-64. Foto: Carla De Benedetti. Design: Gino Valle. Collaboratori: Lorenzo Giacomuzzi-Moore, Alfredo Carnelutti, Giuseppe Baritussio, Carlo Mauro.


Casa Quaglia, Sutrio (UD), 1953-54. Foto: Carla De Benedetti. Design: Gino, Nani e Provino Valle.


Casa Quaglia, Sutrio (UD), 1953-54. Foto: Carla De Benedetti. Design: Gino, Nani e Provino Valle.

 
Casa Quaglia, Sutrio (UD), 1953-54. Foto: Carla De Benedetti. Design: Gino, Nani e Provino Valle.

L'unica possibilità che Valle ci ha "lasciato" per comprendere in fondo il suo lavoro è l'osservazione analitica dei suoi progetti, dei suoi disegni e delle sue architetture. La vitalità, la versatilità e lo spessore della fase forse più interessante della sua opera –si intende cronologica e non tematica– è testimoniata dalla prima mostra in Italia allestita dopo la sua scomparsa nel 2003. La mostra sulle architetture carniche di Gino Valle, in corso nel piccolo comune di Treppo Carnico, è un evento che offre l'occasione per ritornare a ragionare sull'intera opera del maestro friulano e che invita allo stesso tempo a ripensare su alcuni aspetti fondamentali dell'architettura italiana del dopoguerra.

 

Municipio di Treppo Carnico (UD), 1956-58. Design: Gino Valle con Nani Valle e Federico Marconi. Murale: Giuseppe Zigaina. Bassorilievo: Dino Basaldella.

  Concepita e allestita con cura e intelligenza da Giovanni Corbellini in collaborazione il Comune di Treppo e con lo Studio Valle, la mostra presenta otto realizzazioni e un progetto eseguiti in diverse fasi della produzione architettonica di Gino Valle nel contesto montano delle valli carniche. A dire il vero, raramente si ha la possibilità di entrare nella complessità e nella ricchezza di una produzione architettonica come in questa occasione complice sopratutto, oltre l'evento stesso, lo straordinario contesto nel quale si svolge. Proprio attraversando la valle del But, incuneandosi nelle Alpi a nord di Tolmezzo per raggiungere Treppo, sono sparse per paesi e borghi (in perfette condizioni) le architetture esposte alla mostra: l'asilo di Fielis (1949-50, inedito e sconosciuto persino allo studio fino ad una recente segnalazione da parte della stessa amministrazione comunale), lo stabilimento termale (1960-64) e il Kursaal (1975-78) di Arta Terme, il municipio (1957-62), la scuola elementare (1957-62) e la bellissima casa Quaglia a Sutrio (1953-54), le Ina casa di Rigolato (1951), il municipio di Treppo Carnico (1956-58). Ognuna di esse respira le qualità del luogo, si confronta con le sue diverse scale, dialoga delicatamente con la morfologia degli insediamenti. Ognuna di esse –e per chi conosce solo in parte l'opera di Valle non rappresenta una novità– parla una propria lingua architettonica, ognuna di queste costituita da una propria storia progettuale, umana, programmatica, tettonica. In poche decine di chilometri, in solo otto architetture, è possibile assaporare una parte della vastità di visioni e di metodologie che Valle ha silenziosamente elaborato durante la sua carriera e che lo hanno contraddistinto nel panorama internazionale come uno dei pochi architetti-professionisti allo stesso tempo prolifici e versatili.

 

Municipio di Treppo Carnico (UD), 1956-58. Design: Gino Valle con Nani Valle e Federico Marconi. Murale: Giuseppe Zigaina. Bassorilievo: Dino Basaldella.

   
Progetto per tre case (case Cortolezzis), Treppo Carnico (UD), 1953. Design: Gino Valle con John R. Myer.

Un pregevole sforzo è stato fatto dai curatori per presentare l'iter progettuale di ogni progetto esposto, pratica ormai rara nelle mostre di architettura (presente anche il progetto per le tre case Cortolezzis del 1953, mai realizzato). Le varie fasi e soluzioni progettuali sono testimoniati attraverso disegni originali, schizzi, disegni esecutivi, prospettive, per la maggiore inediti, e accompagnati da un corposo excursus fotografico che comprende foto di cantieri, dettagli e di opere appena concluse, realizzato all'epoca da prestigiosi fotografi come Carla De Benedetti, Fulvio Roiter, Italo Zannier o dai collaboratori interni dello studio. Qui è possibile entrare nella interessante genealogia del municipio di Sutrio che avrà ripercussioni sui successivi progetti del Kursaal di Arta, nelle raffinate soluzioni tecniche per le coperture della casa di Sutrio o della scuola elementare, nella splendida pianta "wrightiana" dell'opera prima di Valle (l'asilo di Fielis), nelle delicate regole insediative del muncipio di Treppo (prima del forzato addossamento della Galleria "De Cillia").

 

Scuola elementare a Sutrio (UD), 1957-62. Design: Gino Valle, Nani Valle, Federico Marconi, Ken Terris.

 
Asilio Infantile Fielis di Zuglio (UD), 1949-50. Design: Gino, Nani e Provino Valle.

In più la mostra è accompagnata da un utilissimo catalogo bilingue (italiano e inglese), edito da Elena Carlini, per conto della Navado Press, giovane casa editrice di Trieste e Berlino. Il libro, in un piacevole formato orizzontale, presenta due saggi di Giovanni Corbellini e di Alessandro Rocca, e riproduce gran parte dei disegni esposti nella mostra e molte delle immagini della pregevole collezione dell'archivio dello studio Valle. I saggi si concentrano sullo specifico tema del rapporto tra le architetture di Valle e il contesto, chiarendo le differenti strategie e offrendo nuove chiavi di lettura per contestualizzare l'opera in un panorama più vasto delle ricerche architettoniche e artistiche contemporanee. Rocca ripercorre la numerosa bibliografia critica sugli interventi carnici, sottolineando le omissioni, le facili classificazioni e gli usi che alcuni critici fecero dell'architettura di Valle. Ricordando allo stesso tempo le efficaci interpretazioni come quelle di Mazzariol e di Rykwert, Rocca definisce l'opera di Valle attraverso il concetto del site-specific, tema dell'arte contemporanea americana considerata vicina, anche se celata, agli interessi dell'architetto. Il saggio di Corbellini dal titolo Astratto e contestuale. Gino Valle in Carnia, analizza con attenzione i nove progetti, cercando di ricondurre i loro elementi a logiche di volta in volta differenti e non sempre intelligibili. Gli spunti e riferimenti che emergono dall'analisi di Corbellini della cultura di Valle offrono un inedita e complessa visione della figura del maestro friulano.

L'intera operazione mostra un'intelligente mostrare, senza pretese operative o celebrative, l'attività di uno dei più importanti architetti italiani del dopoguerra. Benché questo non sia stato, giustamente, la priorità dei suoi curatori, la mostra di Treppo Carnico offre finalmente la possibilità di iniziare anche a storicizzare il suo lavoro.


 

Asilio Infantile Fielis di Zuglio (UD), 1949-50. Design: Gino, Nani e Provino Valle.


Asilio Infantile Fielis di Zuglio (UD), 1949-50. Design: Gino, Nani e Provino Valle.


Kursaal Arta Terme (UD), 1975-78. Design: Gino Valle con Giorgio Macola. Collaboratori: Nelson Zizzutto, Carlo Mauro.

 
Kursaal Arta Terme (UD), 1975-78. Foto: Elena Carlini. Design: Gino Valle con Giorgio Macola. Collaboratori: Nelson Zizzutto, Carlo Mauro.

Nel 1994 Domus pubblicava un paradossale disegno di Italo Rota che tentava di sintetizzare, attraverso la rappresentazione di un grande albero malato, la genealogia e allo stesso tempo la condizione odierna dell'architettura italiana. Da una parte il principale ramo, sviluppatosi dalla tradizione dei Ridolfi, Samonà, Quaroni e BBPR, che si spezza sotto i pesi delle difficoltà politiche, delle lobby universitarie e della scelta della "via italiana allo stile internazionale", picconata e indebolita ulteriormente dall'attività critica di Rogers e di Tafuri. Mentre per aria volano uccelli liberi (Rossi, Piano, Zevi...) e attorno germogliano fiori distinti (Moretti, Castiglioni, De Carlo, Ricci...) una parte dell'albero malato continua in forma di ramoscelli solitari a crescere e svilupparsi. Questa parte dell'albero, formato da protagonisti solitari, appartenenti a diverse generazioni e difficili da inglobare nelle classiche genealogie dell'architettura italiana, sembra essere per Rota l'unico che può ancora generare una nuova chioma. A 11 anni di distanza da quel disegno, il ramoscello di Gino Valle è ancora uno dei più solidi e si è finalmente iniziato a lavorare per renderlo, nella desolante caduta autunnale di foglie, ancora più rigoglioso.

Luka Skansi
luka@hstudio.it
 
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