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Sopralluoghi

       Uno splendente orizzonte buio

Marco Ragonese



 
 
    Your black horizon

installazione di: David Adjaye & Olafur Eliasson:
prodotta da: Thyssen-Bornemisza Art Contemporary
Lopud Island, Croatia
21 giugno – 31 ottobre 2007

Patronage of Space

simposio
Lazareti Art Space, Dubrovnik
20 giugno 2007



 


  Dove sono i Balcani? La domanda scatta appena abbiamo varcato il confine tra Slovenia e Croazia, superando controlli allentati dal caldo e dal bel viso della mia compagna di viaggio. Mi ritorna in mente Paolo Rumiz che, in un suo libro, la ripeteva insistentemente senza riuscire a trovare una risposta. Dove iniziano, dove finiscono, chi li abita rimane un interrogativo irrisolto. A Trieste tutti hanno descritto questo viaggio verso Dubrovnik come un percorso da pista nera, paragonabile all'attraversamento di quelle che per noi, automobilisti abituati ai viaggi verso il meridione italiano, sono "le Calabrie".

  [21oct2007]


  A Dubrovnik si terrà una conferenza per presentare Your black horizon, il padiglione di Olafur Eliasson e David Adjaye già realizzato sulle rive dei Giardini della Biennale di Venezia nel 2005 e oggi ricostruito sull'isola di Lopud. L'operazione è finanziata dalla Fondazione Thyssen-Bournemisza che, proprietaria dell'omonimo museo a Madrid, vuole promuovere l'arte contemporanea posizionando alcuni padiglioni satellite in selezionate località mondiali. La scelta di Lopud come primo passo di questa "colonizzazione" virtuosa viene motivata come il tentativo di mostrare un'alternativa all'attuale politica turistica croata, votata al turismo di massa.

Fuori dal finestrino effettivamente la costruzione di villette mono e bifamiliari procede a ritmo continuo, nessuno degli edifici sembra avere più di cinque anni. Gli effetti del dopoguerra balcanico assomigliano terribilmente a quelli prodotti dalla nostra speculazione edilizia, la vera guerra che il territorio italiano ha perso. La questione turismo sta diventando uno dei temi più affrontati dagli architetti croati -da Nijric con il suo progetto "superDalmatia" ai progetti di Platform 981 di cui Dinko Peracic (uno dei componenti del gruppo) parlerà alla conferenza– consci dell'importanza di un processo irreversibile che sta trasformando l'intera costa dalla Slovenia sino alla Serbia, compreso il breve tratto bosniaco. Il percorso tortuoso preannunciato dagli amici triestini in realtà si è trasformato in un'autostrada che, con il suo asfalto drenante appena disteso, procede all'interno , tra il mare e delle montagne che, forse, sono davvero i Balcani. O perlomeno, sembrano esserlo dalla musica che viene fuori dall'autoradio, un mix di tradizione, tecno-house e neo-melodia da far invidia a qualsiasi film di Kusturica.

 
    Mentre la strada, passate le torri di appartamenti di Spalato, inizia a imbizzarrirsi, leggo che la scelta di presentare il padiglione a Dubrovnik è legata al ricordo della decima conferenza dei CIAM, lì tenutasi nel 1956, quando il Team X decretò il proprio allontanamento dai dettami modernisti. Come un'ideale prosecuzione, la sessione pomeridiana dell'incontro si intitola "rompendo con la tradizione, di nuovo..." e grazie a interventi eterogenei -da Hans Ulrich Obrist a François Roche (era stato lui ad a segnalarmi l'evento, davanti a una pizza a Trieste)- ambisce a proporre uno sguardo molteplice e trasversale sulla professione e sulla realtà contemporanea.

 
   
Dubrovnik.

Forse il tentativo degli architetti balcanici è ancora più apprezzabile, perché stanno combattendo in tempo reale una (ulteriore) battaglia: quella contro lo sviluppo edilizio incontrollato come unica risposta alla crescente richiesta di ospitalità. Le targhe "sobe" e "apartman" sono dappertutto. Così come i camper e i motorhome tedeschi che, volendo proseguire nella metafora bellica (ma d'altronde non sono Diller e Scofidio a paragonare l'abbigliamento del turista all'equipaggiamento del soldato?), sono i veri vincitori di questa nuova campagna di occupazione. Una 600 Zastava, reduce da una vita trascorsa pericolosamente, sorpassa la nostra auto refrigerata e Vera, mentre cerca di cambiare l'ennesima canzone turbo-folk, mi racconta che, quando veniva qui in vacanza da piccola, le strade erano un florilegio di queste auto. In pieno boom economico italiano erano divenute troppo spartane per una società che cercava nuovi simboli del benessere, per cui le catene di montaggio vennero "passate" ai vicini. Credo che per l'edilizia turistica stia funzionando allo stesso modo.


  Arrivati a Dubrovnik, siamo accolti da una città dalla pietra catarifrangente, bianca e lucida. La mattina il riverbero è quasi insopportabile ma i due ragazzi sulla porta della città, travestiti da soldati medievali, sembrano soffrire con scioltezza. I turisti appena sbarcati dalle navi da crociera ringraziano. Più che in una città-patrimonio dell'Unesco sembra di entrare in una proprietà privata Disney, ma questo è un altro discorso. La conferenza si tiene nel Lazzaretto, una struttura seicentesca composta da quattro edifici che identificavano i periodi della quarantena. Come fa notare Mark Wigley, questa localizzazione sembra una metafora circa la condizione dell'architettura sperimentale, spesso tenuta fuori dalle mura (e dalle decisioni) affinché non possa destabilizzare le certezze consolidate.


Il simposio.

L'organizzazione mescola professionalità a informalità. Il fabbricato dove si svolge il dibattito è abitualmente utilizzato come discoteca e qualcuno approfitta del caldo e dell'uscita prospiciente il mare per fare un bagno veloce, ma la zona VIP riservata ai relatori è chiaramente divisa dagli uditori così come i buffet: panini e acqua per gli spettatori, piatti e vini locali per i relatori e il loro seguito.

    Un cestino con frutta secca fa il giro della platea, mentre Olafur Eliasson spiega il dispositivo visuale che caratterizza il padiglione: una sala buia viene illuminata da un orizzonte luminoso cangiante (nel colore e nell'intensità) che, imprimendosi sulle retine del visitatore, si trasforma in una linea nera una volta ritornati alla luce del sole. Your black horizon, appunto. Un operaio croato piazza dei ventilatori in sala per attenuare il calore che inizia ad infiltrarsi da ogni fessura e Jorge Otero Pailos, professore di conservazione alla Columbia University, spiega come il concetto brandiano di pulitura debba essere superato. Nella contemporaneità la pulitura avviene quotidianamente grazie alle imprese di pulizie che, così, operano una "manutenzione" costante del manufatto: basti pensare che nel recupero della Glass House di Philip Johnson la categoria "patina superficiale" perderà senso, se l'addetto alle pulizie avrà fatto un buon lavoro durante gli anni.

Chissà perché ma mi viene in mente "l'allevamento di polvere" di Duchamp.

Il pomeriggio, sempre coordinato dal critico Andreas Ruby, si apre con la presentazione di alcuni progetti recenti di François Roche e con Beatriz Colomina che, facendo un excursus critico dei padiglioni temporanei, regala un paio di belle viste del Teatro del mondo di Aldo Rossi attraccato a Dubrovnik. "Un padiglione deve essere come una farfalla che si poggia leggera per poi volare via" è la sua conclusione e penso che sia una bella immagine. Obrist e Wigley chiudono la giornata in tempo per permetterci di prendere il traghetto per Lopud.

Che però non è un traghetto. Bensì un galeone a motore, completo di coffa, cime e capitano con la maglia a righe. Organizzazione teutonica e sana indolenza croata.

 

L'arrivo al padiglione.


Il corridoio di ingresso.

 
Il padiglione di Adjaye- Eliasson.

Illuminato da un caldo tramonto, il padiglione è raggiungibile attraverso una stradina che dalla marina si inerpica verso l'interno, tra ulivi e muretti a secco appena realizzati. La costruzione è realizzata con materiali "poveri", come truciolato in scaglie e guaina bituminosa ondulata, ma all'interno è dotato di illuminazione artificiale e condizionamento d'aria. All'arrivo si presenta con il prospetto, composto da un brise soleil di listelli di legno, dietro cui c'è il corridoio di accesso. A dire il vero né io né la mia compagna di viaggio, che che per testardaggine femminile è rimasta al buio per quasi mezzora, percepiamo l'effetto pronosticato una volta usciti alla luce del sole.

 

 
Your black horizon.

Ma tant'è. L'impeccabile organizzazione continua a distribuire bevande e generi di conforto agli ospiti, quasi a scusarsi per il gran caldo, mentre Francesca von Habsburg, chairman della Thyssen-Bournemisza, assolve al rituale dei saluti e dei ringraziamenti spiegando che la fondazione mira a valorizzare luoghi paesaggisticamente di valore (come Lopud) e a promuovere gli artisti locali, cercando di generare un turismo culturale che costituisca un'alternativa reale (e remunerativa per l'economia locale) al turismo di massa. Per supportare questa convinzione, la giornata si conclude con una festa che coinvolge la popolazione dell'isola, tra canti, balli e cibo, così da offrire una piccola prova di grande ospitalità ai pacifici invasori.

Nella notte, comparso come una nave fantasma nel buio, il galeone a motore Tirena solca il mare per riportarci in una Dubrovnik deserta, senza più guardie all'ingresso e macchine fotografiche affamate di immagini. Solo qualche gatto randagio ripulisce i resti dei ristoranti, benedicendo il turismo di massa.

Marco Ragonese
mragu@libero.it
 
Tutte le fotografie che illustrano questa pagina sono di Vera Bressan.
    > THYSSEN-BORNEMISZA ART CONTEMPORARY    


       

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