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Sopralluoghi

    Richard Rogers nella vetrina del Beaubourg

Elisa Poli



   
    Richard Rogers + Architectes

Centre Georges Pompidou, Parigi
dal 21 novembre 2007 al 3 marzo 2008



   
    Arrivando da Place Stravinsky e indirizzando lo sguardo tra i marchingegni della fontana di Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle, appare, mastodontica vetrina, la galerie sud del Centre Pompidou. Illuminato a festa come un supermercato nel periodo natalizio, questo spazio, utilizzato per le mostre temporanee, svela ludicamente il suo contenuto fatto di plastici, fotografie in formato esteso e coloratissime sedute sparse nella grande sala. Il 21 novembre è stata inaugurata la retrospettiva dedicata a Richard Rogers, uno degli artefici della "machine Beaubourg". L'evento chiude la lunga serie di iniziative promosse per il trentennale della nascita del centro (1977-2007) che è stato puntualmente celebrato dalla pubblicazione, curata da Bernadette Dufrene, Centre Pompidou: trente ans d'histoire.

  [3 gennaio 2008]
   

In un equilibrato rimando di omaggi e auto-rappresentazioni il Pompidou è ormai avvezzo all'exhibit architettonico che tratta e, a volte maltratta, in un'alternanza poco rassicurante. Tra i nomi che sono apparsi nel corso degli anni sui manifesti pubblicitari affissi alle pareti della grande scatola vetrata, architetti viventi e glorie del passato hanno esemplificato più o meno involontariamente le ingenti risorse dei fondi del Musée National d'Art Moderne. Il dettagliato resoconto del patrimonio di acquisizioni che il dipartimento d'architettura e design ha potuto stilare, almeno dal 1992, anno di nascita di una collezione autonoma dedicata a questa disciplina, è contenuto nel catalogo, curato da Alain Guiheux, La collection d'architecture du Centre Georges Pompidou, Projets d'architecture, 1906-1998. Nell'ultimo decennio i conservatori del servizio architettura e design hanno potenziato questo patrimonio e, con l'arrivo di Frédéric Migayrou, sono stare presentate al pubblico esperienze progettuali d'indubbio valore. Ultima in senso cronologico quella dello studio californiano Morphosis, in cui all'attenta selezione delle opere si affiancava un percorso espositivo coinvolgente e complesso. Accertata l'esistenza di esempi qualitativamente alti all'interno della programmazione del Pompidou, sono ancora più evidenti le disfunzioni di una mostra come quella di Richard Rogers + Architectes in cui l'ottimismo dell'allestimento fucsia e verde acido non tampona le incertezze della strategia curatoriale.

   
   

La mostra di Rogers si aggiudica, rispetto alla strada che costeggia la galerie sud, una notevole visibilità, essendo completamente esposta allo sguardo dei passanti che, attirati da un miniaturizzato paese dei balocchi in vetrina, osservano attraverso i vetri le maquette, che saturano la sala. Vista dall'interno dell'edificio, la costruzione del percorso espositivo è paratattica e lineare. Concepita a quattro mani dal conservatore Olivier Cinqualbre (curatore del catalogo Richard Rogers + Architects insieme a Rémi Rouyen) e dallo stesso Rogers, insiste su alcuni elementi di facile lettura come l'idea di uno spazio aperto, tematizzato attraverso alcune parole chiave legate alla produzione dell'architetto italo-britannico.

   
   

Come lo stesso Rogers dichiara in una delle due interviste prodotte per questa occasione e riproposte in video situata nel vestibolo della mostra, tra foto-ricordo del periodo Team 4 e Renzo Piano, il percorso ruota intorno a un elemento accentratore. Riprendendo l'idea usata nella costruzione del Beaubourg in cui, rinunciando a parte della metratura disponibile per l'edificio, i giovani progettisti pensarono ad una "piazza" esterna, punto d'incontro e di scambio connesso ma non identificato con il museo, Rogers opta anche in questo allestimento per una "piazza" ludica. All'interno della sala che accoglie i suoi lavori, un grande quadrato di sedute fucsia di 25mq -in cui si possono consultare cataloghi e monografie, visionare brevi filmati e giocare a fare i progettisti con i lego- determina un momento di sosta quasi obbligato.



Grande importanza, nella divisione dello spazio, viene attribuita ai colori che come diffusori di segnali, scandiscono il ritmo di fruizione della grande sala associandosi agli otto temi in cui viene qui suddivisa l'opera dell'architetto. D'impatto immediato, i grandi tavoli-isole su cui sono collocati i plastici, assumono colori diversi a seconda del percorso a cui fanno riferimento e che viene dichiarato a grandi lettere su cartelli sospesi tra le gigantografie dei progetti realizzati. Gli oggetti che compongono l'allestimento, dai tavoli alle sedute rosa shocking alle postazioni per navigare all'interno del sito Rogers Stirk Harbour + Partners, sono stati ideati dal designer Abe Rogers, figlio dell'architetto.

 


    Sull'unica parete non vetrata sono affastellati, in ordine cronologico, disegni e rendering, schizzi e bozzetti dei progetti di Rogers. Esaustiva ma non selettiva questa scelta permette allo spettatore di comparare i materiali di un vasto archivio. Stesso procedimento attuato per i temi della mostra in cui aspetti formali, relazionali, etici e temporali si confondono su una stessa superficie.

Sotto la parola "Lisibilité", di colore blu, vengono presentati grandi programmi dello studio Rogers come i Lloyd's of London (1978-1986) o il Chiswick Park Development (Londra, 1999- ), accomunati, secondo la volontà dei curatori, da una complessa strategia sull'avvenire della metropoli.


Competion drawing for Centre Pompidou.

A questo concetto è legato quello di "Transparence", in azzurro, sotto cui sono stati raggruppati i progetti per il Lloyd's register of Shipping (Londra, 1995-2000), per il Channel 4 Television Building (Londra, 1990-1994) o quello per la Kabuki Cho Tower (Tokio, 1987-1993), tutti esempi di grandi involucri vetrati. Molto simile la parte dedicata alla "Légèreté", verde-marino, in cui più che il vetro è l'utilizzo di materiali high-tech a conferire levità agli edifici. Qui esposto il progetto per il Millenium Dome (Londra 1996-1999) con un accurato plastico. A dialogare con il tema dei materiali quello del "Public", rosso, consacrato alle commesse pubbliche, come musei e sedi d'istituzioni internazionali. Immancabili in questa sezione il Centre Pompidou (Parigi, 1971-1977) e la Cour européenne pour les Droite de l'Homme (Strasburgo, 1989-1995).

   

Lloyds Register of Shipping.


Bordeaux law courts.

  Più complesse le parti "Systèmes", in rosa, e "Environmental", in verde, legate entrambe a interventi nelle grandi aree urbane sia attraverso ampliamenti d'infrastrutture come il Terminal 5 (Heathrow Airport, 1989- ) o il Barajas Airport (Madrid, 1997-2005), sia attraverso la costruzione di edifici dotati di sistemi passivi per il controllo ambientale come nel caso del Palais de Justice de Bordeaux (1999-2005) o nel "breathing container" del Wales Parliamentary building (Cardiff, 1999-2005). Alla sezione "Urbain", di colore arancione, è affidato il compito di raccontare la dimensione più teorica del lavoro di Rogers attraverso testi, fotografie e progetti come London as it could be (1986-). Chiude la sfilata di progetti "Travaux en cours", in giallo, che descrive le future realizzazioni dello studio Rogers con progetti quali Las Arenas (Barcellona, 2000-2006), The Leadenhall Building (Londra, 2002-2011) e 175 Greenwich Street (NY, 2006-).

   
  La strategia ideata dai curatori prevede un utilizzo ludico del materiale esposto, preferendo, alla scelta critica di tipo esclusivo, la saturazione dello spazio-negozio di natura inclusiva. Alcuni segnali che lavorano in questo senso sono chiari e funzionano positivamente: la vetrina, le scale mobili interne che conducono un flusso indistinto di fruitori d'immagini tra i diversi "reparti" della galerie sud, i colori accattivanti e le forme sinuose degli espositori, lo stoccaggio di una quantità eccessiva di materiale, tra cui scegliere i prodotti in modo poco cosciente e divertente, il percorso semplificato, l'azzeramento, illusorio, del punto di vista critico.

Ci si muove tra le isole-temi di un arcipelago variopinto che non ha approdi preferenziali. Si è liberi nella navigazione. La vera natura di questo dispositivo -più che l'apparente bisogno di catalogare in temi, anche poco comprensibili, l'opera dell'architetto- si ritrova nella sovrabbondanza di elementi cromatici forti. Lo spettatore, ricondotto ad una dimensione di acquirente da shopping mall, si serve dei prodotti in vetrina, scegliendoli attraverso la visualizzazione del packaging allettante, e si lascia sedurre dal piacere visivo del layout espositivo seguendo un rituale altamente codificato.

 
    Nella costruzione del percorso viene privilegiato lo sguardo d'insieme, la sensazione di grande quantità, grande disponibilità e grande varietà che questa presentazione amplifica. La mostra, collocata nella parte più accessibile e visibile dell'edificio, favorisce una lettura legata all'immaginario delle galeries marchandes, in cui il pop diventa lussuoso e la visione fa parte integrante del processo d'acquisto dei prodotti. Così le opere di Rogers, se da una parte sono collocate in ordine seriale, come vasche di gelato sotto il vetro del banco-frigo, dall'altra vengono esaltate per gli aspetti più ambiziosi, per le qualità high-tech. Meta-racconto del Pompidou stesso, concepito e ostentato per l'onestà nell'uso dei materiali, la trasparenza dell'involucro e l'accessibilità dei contenuti, eppure irrigidito dal peso del suo valore simbolico ed economico. A dispetto degli auspici di Baudrillard, la machine Beaubourg è ancora funzionante, proprio grazie alla sua definitiva musealizzazione, al suo essersi identificata con il modello di animazione-rianimazione dei bisogni indotti per cui il sociologo la condannava.

 

Sketch for Lloyds of London.

    La mostra di Rogers presenta questo meta-spettacolo del gioco seduttivo all'interno del meccanismo seduttivo per eccellenza che è il Pompidou. Poi però non resiste alla tentazione di arricchire il suo display ludico e superficiale con un classico apparato didascalico. Il lusso e il pop entrano in cortocircuito sotto il peso della nomenclatura, delle descrizioni che non sanno essere semplici ingredienti del lay-out. La leggerezza e il gusto della visione sono bloccate da un poco controllato bisogno di applicare etichette, di rendere il tutto scolastico. Il piacere si stempera sotto il rigido prontuario del buon conservatore. Nella dinamica di consumo dell'evento l'ordine e la correttezza divulgativa annullano in parte la brillantezza dei colori, svelando alcune carenze dei contenuti. E lo spettatore-acquirente, prima circuito poi deluso, rischia di uscire dalla galerie a mani vuote.

Elisa Poli
poli_elisa@yahoo.it
   
   

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