Biothing. L'esposizione al FRAC Centre di Orléans.
Biothing. Dettaglio di uno dei modelli esposti.
Biothing. Orbita Field Lines.
Biothing. Mesonic Fabrics.
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Biothing. L'esposizione al FRAC Centre di Orléans.
Fin dal 2001 il gruppo biothing, che si definisce un laboratorio di ricerca progettuale, si interessa di architettura computazionale e di processi di fabbricazione non-standard, collocandosi all'interno di quel filone di ricerca architettonica che auspica un utilizzo per così dire "globale" del computer. Secondo questo credo, il computer non è più soltanto uno strumento di visualizzazione, ma diventa uno strumento essenziale in ogni fase del processo architettonico, da quella progettuale a quella esecutiva, sia su piccola scala –quella ad esempio dell'oggettistica di design– che a grande scala –quella architettonica e urbana. La presenza costante di questo strumento determina una serie di importanti conseguenze, tra le quali il fatto che le due principali fasi del processo architettonico, quella progettuale e quella esecutiva, subiscano un'inevitabile quanto inconsueta sovrapposizione, tanto temporale quanto semantica. Questa sovrapposizione porta a riconsiderare il valore e il significato della realizzazione fisica di un'opera, che nell'era del digitale perde la sua tradizionale indipendenza rispetto alla precedente fase progettuale. Il file che contiene il progetto di un oggetto architettonico permette infatti oggi non più soltanto di ottenere una visualizzazione virtuale dell'oggetto, tanto più realistica quanto migliore sarà il motore di rendering impiegato, ma anche di trasmettere i dati direttamente a una macchina di prototipazione rapida (3) o CNC, con la quale questi dati verranno tradotti in oggetto reale, o in parti di esso. In ogni fase della progettazione l'oggetto virtuale potrà così concretizzarsi in oggetto fisico, a condizione di essere stato pensato in tre dimensioni e tramite un software che utilizzi un'adeguata tecnologia CAD-CAM. (4) Alla sovrapposizione tra progetto e realizzazione se ne aggiungono così altre, come quella tra virtuale e reale, ma anche quella, come vedremo tra poco, tra oggetto fisico e algoritmo o codice computazionale.
La ricerca di biothing si spinge tanto a fondo all'interno di questa logica di sovrapposizioni, da sfiorare la sovrapposizione che potremmo definire più estrema, quella che potrebbe portare a rimette in discussione i diritti d'autore di un progetto di architettura. Solo a questo punto si potrà comprendere appieno il significato della digitalizzazione dell'intero processo architettonico di cui si è accennato sopra. Il computer diventa, in particolar modo grazie agli algoritmi genetici o ad altri strumenti morfogenetici (cellular automata, shape grammars, L-systems ecc.) (5), una sorta di prolungamento bionico della mente del progettista, a patto ovviamente che questi se ne intenda di linguaggi di programmazione e sia quindi in grado di instaurare un dialogo con la macchina.
L'approccio sperimentale di biothing si fonda proprio su dei modelli morfogenetici di questo tipo, che, operando al di là della forma e della geometria, sfruttano il potere auto-generativo ed evolutivo degli algoritmi a fini più specificamente architettonici. Secondo questo approccio l'architetto –generalmente affiancato da altre figure professionali, quali il matematico, l'ingegnere, il genetico, il programmatore informatico e il biologo– crea un algoritmo capace di comunicare al computer, sotto forma di variabili di base, i diversi requisiti del programma, come le caratteristiche geometriche e di resistenza dei materiali, o le caratteristiche spaziali, sociali e culturali del sito all'interno del quale il progetto dovrà essere elaborato, lasciando poi al calcolatore il compito di generare le potenzialmente infinite soluzioni progettuali, che verranno successivamente vagliate in base a criteri che potranno essere tanto estetici quanto funzionali, a discrezione del progettista. Grazie al potere creativo ed evolutivo degli algoritmi, Alisa Andrasek è infatti in grado di trasformare le variabili d'ordine programmatico, contestuali e sociali in frammenti di codice che, una volta articolati in sequenze, verranno poi sviluppati e sottomessi a costrizioni specifiche –come le variabili di produzione– allo scopo di generare dei modelli di comportamento complessi e riutilizzabili.
Genware.
Uno degli aspetti più caratteristici del lavoro di biothing consiste poi nel raccogliere all'interno di una biblioteca digitale tutti questi frammenti di codice, per poterli riutilizzare in progetti diversi e a diverse scale. Questa biblioteca, cui Alisa Andrasek ha dato il nome di Genware, è uno strumento open source, concepito come una piattaforma di condivisione collaborativa. L'architetto dell'era informatica, alla maniera di un ingegnere genetico, scrive e manipola scripts e sequenze di codice che serviranno a generare "forme astratte di intelligenza digitale", e che "potranno essere associate ad un numero infinito di siti e di scale" (6), in ambiti tanto eterogenei quanto possono essere l'architettura, il design d'oggettistica e il campo della moda. In ognuno di questi casi le trasformazioni geometriche astratte saranno infatti adeguate ad un materiale specifico, ai limiti dettati dai metodi di fabbricazione e dalla scala di produzione, dando così vita a quella "sinestesia di intuizione progettuale, programmazione algoritmica e limiti parametrici che è alla base del processo progettuale di biothing". (7)
Dall'analisi dei progetti esposti al FRAC Centre, come da quella degli scritti di Alisa Andrasek, risulta evidente come l'interesse principale di biothing non si indirizzi più alla progettazione di forme, come avviene negli studi di progettazione tradizionali, quanto piuttosto alla progettazione di modelli comportamentali, o behavioral patterns. Spesso la Andrasek fa riferimento ai propri progetti, molti dei quali esposti in quest'ultima mostra, tra cui The Invisibles, Bifid, Orbita Series e Reticulars, come ad altrettante "creature", chiamandoli talvolta "proto-comportamenti" o ancora "colonie di entità cellulari che evolvono a diverse velocità". (8) Questi appellativi di origine biologico-naturalistica sono indice dell'interesse del tutto particolare che la Andrasek rivolge alla natura e soprattutto ai suoi processi fisici. Il nome stesso di biothing è alquanto significativo nel richiamare la sovrapposizione del mondo naturale e di quello artificiale all'interno delle sperimentazioni condotte dal gruppo. Se da un lato gli algoritmi genetici fanno riferimento ai processi generativi biologici, e per così dire naturali, dall'altro si tratta di procedimenti astratti, artificiali, ricreati in laboratorio allo scopo di emulare e comprendere quelli naturali, ma capaci di essere estrapolati e riutilizzati in ambiti completamente diversi.
Biothing. Dettaglio di uno dei modelli esposti.
Secondo Marie-Ange Brayer, critica d'arte e attuale direttrice del FRAC Centre, la natura per Alisa Andrasek non è ormai più uno stato, "mais s'apparente à une condition, à un horizon d'inscription de modes opératoires". (9) A riprova di questo profondo interesse nei confronti dei processi naturali, si noti come siano ricorrenti gli spunti di carattere fisico-naturalistico che diventano veri e propri espedienti progettuali in molti dei progetti realizzati dal gruppo: i campi di forza elettromagnetici in Orbita Series (2006) e in Mesonic Fabrics (2007-2009); il campo di forza gravitazionale e i modelli di archi catenari in Bifid (2005); il diagramma di Voronoï in Orbita Series (2006); i cocoons e i mesoni nel Pavillon Seroussi (2007) e il DNA e l'attivazione di geni specifici nella ricerca sviluppata presso l'Architectural Association di Londra nel corso di quest'ultimo anno accademico, Agentware Research (2009). (10)
Anche a_maze, l'opera inedita concepita appositamente per il FRAC Centre, nasce da uno spunto di questo tipo, rifacendosi alla configurazione frattale dei fiocchi di neve (curva di Koch). Si tratta di un progetto di scenografia concepito appositamente per questa esposizione e consistente, secondo l'idea dell'autrice, in un sistema di arredo plurifunzionale, che serve principalmente da tavolo e display. La struttura, ottenuta tramite l'utilizzo di macchine digitali, è costituita da bande sottili di materiale plastico ripiegate secondo una logica di suddivisione ricorsiva, derivante dal principio frattale della curva di Koch. La struttura è stata programmata per adattarsi ad un sito specifico e "crescere" quindi all'interno di un volume predefinito.
Alcuni parametri immessi all'interno dell'algoritmo sono serviti poi a determinare, attraverso un numero variabile di generazioni, la frequenza delle ripiegature; altri a localizzare la posizione degli intagli, programmati per interrompere localmente la simmetria del triangolo equilatero che è alla base della curva di Koch; altri ancora infine a dar vita alle accelerazioni e decelerazioni che permettono di ottenere strati di densità variabile all'interno della struttura. Come per il termine biothing, anche a_maze è stato scelto per il suo significato ambivalente. Se da un lato il binomio è collegato dal trattino basso, e le due parole si combinano tra loro formando il termine amaze, dal verbo inglese to amaze che significa stupire, sorprendere, ma anche confondere e sgomentare, dall'altro il trattino basso le separa, formando allora l'espressione a maze, che significa invece dedalo, labirinto e fa riferimento all'aspetto intricato della struttura così ottenuta.
La nostra visita iniziatica all'interno del lavoro di ricerca di Alisa Andrasek e del gruppo biothing si conclude per il momento qui. Speriamo che il lettore possa trovare in questa presentazione un supporto utile per potersi poi addentrare autonomamente nel mondo –fatto di algoritmi e di progettazione informatica– che caratterizza la sperimentazione architettonica della Andrasek: un mondo che sicuramente, come ne conviene la stessa autrice, è complesso e intricato, ma al tempo stesso affascinante e sorprendente, dove lo sforzo vale sicuramente la candela. Un mondo che, infine, grazie all'impegno di organismi come il FRAC Centre si sta a poco a poco dischiudendo, per raggiungere una fetta crescente di pubblico. Speriamo che in futuro altre istituzioni possano prendere esempio dal FRAC Centre e dall'entusiasmo di cui l'équipe dei curatori fa continuamente prova.
Teresanna Donà
teresannadona@architettura.it |
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