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Urban Centers

Gli urban center verso il futuro delle città

Elena Carmagnani



 
Elena Carmagnani, dell'Urban Center Metropolitano di Torino, annota i primi esiti del seminario Urban Center Network. Progetti, cittadini, comunicazione, risorse svoltosi a Torino tra il 21 e il 22 giugno scorsi con la partecipazione dei responsabili degli "urban center" già operanti in diverse città italiane, o in via di costituzione.



Di che cosa parliamo quando parliamo di urban center? Quanti siamo in Italia e che cosa facciamo? Da dove attingiamo le nostre risorse? Quali sviluppi per il futuro? Intorno a queste e a molte altre domande si sono interrogati gli urban center e le case della città di 12 città italiane, già operativi o in via di costituzione (1), nel seminario Urban Center Network. Comunicazione, risorse, cittadini, progetti, che si è svolto a Torino per iniziativa di Urban Center Metropolitano (2) nei giorni 21 e 22 giugno 2007. Torino rilancia il dibattito sugli urban center nato nel corso degli ultimi due anni e sviluppatosi in successivi appuntamenti in diverse città italiane ("Urban Center realtà a confronto" nel giugno 2006 a Mestre; "Urban center esperienze e ipotesi a confronto per il progetto della città" nell'ottobre 2006 a Modena; "Urban center una casa di vetro per le politiche urbane" nel corso di Urbanpromo nel mese di novembre 2006 a Venezia; "La città che parla" nel maggio 2007 a Napoli). Momenti di confronto tra strutture di nuova concezione e ancora in cerca di una identità, ma anche importanti occasioni di conoscenza su un tema ancora incerto dal punto di vista epistemologico sul quale la letteratura è praticamente inesistente. Non è un caso che si riparta da qui: a Torino si terrà nei mesi di giugno-luglio 2008 il XXIII UIA World Congress che dedica una delle sue sessioni principali al tema della democrazia urbana e degli urban center; il seminario di Torino diventa quindi l'occasione di costruire le prime ipotesi per istruire gli interventi del futuro congresso.

[17sep2007]






Gli urban center in Italia iniziano a costituirsi sul finire degli anni '90. I modelli teorici sono gli urban center americani, attori autorevoli nel dibattito sulle città americane dalla fine del '900 o i centri espositivi dedicati alla città e all'architettura che si aprono in moltissime città europee durante la grande fase della rigenerazione urbana della fine degli anni '80. In realtà gli urban center italiani hanno alcune specificità che li rendono differenti. In particolare essi sono per la maggior parte strutture di iniziativa pubblica, derivate dai municipi locali e sono frutto della ricca stagione della governance urbana che dà origine a forme istituzionali più aperte e flessibili, con confini sfumati tra pubblico e privato e molteplicità di attori coinvolti nei processi decisionali. In questo contesto gli urban center, a seconda delle loro attività, si collocano lungo un asse che va idealmente dalle istituzioni ai cittadini, dalla semplice informazione sui processi di trasformazione, alla comunicazione più strutturata, fino al coinvolgimento e alla partecipazione.

 
Foto di Michele D'Ottavio.

Oggi lo scenario appare sostanzialmente diverso: la stagione della governance sembra finita, si ritorna a una burocratizzazione degli enti pubblici e delle politiche, la democrazia che le città stanno conoscendo appare sempre più incerta e bloccata. Quanto risentono gli urban center di questa situazione? Come essi possono essere una struttura veramente terza, non influenzabile dalla politica? E ancora, quali sono le risorse per mantenere in vita gli urban center e quali i compromessi che devono "accettare"? Fino a che punto un urban center può derogare per restare in vita e come può in questo caso non delegittimarsi, diventando un attore riconosciuto da parte dei cittadini, un luogo condiviso di trasmissione di conoscenza, neutrale ma propositivo anche nel comunicare le trasformazioni al di fuori dei processi di mediatizzazione e spettacolarizzazione di cui soffre l'architettura e la città? E, infine, come l'urban center può costruirsi un suo specifico know-how, mettendo in rete la pluralità delle voci sulla città, intrecciando anche altre competenze, dalla sociologia, all'antropologia alla letteratura?



È intorno a questi nodi critici che gli urban center coinvolti nel seminario torinese sono stati invitati a confrontarsi. Nei quattro focus group che si sono svolti nel primo giorno di lavori si sono ritrovati intorno a un tavolo i responsabili delle strutture invitate, tre ospiti stranieri (3) e alcuni esperti di comunicazione, semiotica, marketing, pianificazione strategica, processi partecipativi. (4) Il primo tavolo, Informazione, comunicazione e cultura architettonica (coordinato da Marco Brizzi ed Elena Carmagnani), poneva alcuni temi di discussione incentrati in particolare sulle modalità di comunicazione degli urban center, sul target a cui essi si rivolgono, sulla diffusione della cultura architettonica e sulla legittimazione dell'urban center a rivestire un ruolo attivo per la qualità architettonica e urbana, esprimendo delle posizioni dal punto di vista comunicativo.


Foto di Michele D'Ottavio.

Nonostante le tradizionali regole della comunicazione che ne sanciscono l'efficacia se essa è bi-direzionale, se essa in pratica implica un'interazione tra emittente e ricevente, tra amministrazione e cittadini, la maggior parte delle strutture ha rivendicato l'importanza di una comunicazione anche solo mono-direzionale, evidenziando come proprio tale forma corrisponda più propriamente al modello di intervento che gli urban center si propongono. A proposito degli strumenti di comunicazione che un urban center può attivare, il dibattito si è incentrato sul modello espositivo, sulla mostra, evidenziando in particolare come tale modello resti ancora oggi il più appropriato a raccontare anche tematiche nuove. Si è discusso sulla centralità o meno di tale modello e sull'opportunità in alcuni casi di "distribuirlo" nelle città, collocando in più luoghi piccoli punti informativi.


Foto di Michele D'Ottavio.

Un tema fortemente discusso e approfondito è stato quindi quello del tempo: qual è il tempo dell'urban center, quello presente delle trasformazioni in corso, quello futuro dei grandi scenari o quello passato della storia della città? L'osservazione più interessante ha portato a distinguere tra un tempo della comunicazione e un tempo della vita urbana che non trova un'efficace, effettiva trasposizione all'interno di una struttura di comunicazione: un urban center dovrebbe proporre ai cittadini non tanto il progetto per il tempo presente, per quello futuro o per quello passato, ma quanto questi progetti si siano trovati o si troveranno in una condizione di confronto con possibili alternative: far vedere le scelte, non i risultati compiuti di un processo su cui la decidibilità non ha più campo, mostrare quanto le scelte dei cittadini, dell'amministrazione, dei soggetti che sono stati coinvolti nel processo decisionale, possono costruire uno scenario più ampio. Infine, un'ultima sollecitazione lanciata da questo tavolo riguarda la necessità di proporre e "inventare" nel racconto della città contemporanea un nuovo sguardo o modello di lettura, non più lineare, fatto di luoghi, spazi e obiettivi di un possibile percorso ma più "eclettico", che, come le guide Lonely Planet, tenga conto del lifestyle, delle forme di happening, delle diverse manifestazioni della vita e della cultura urbana.



Il secondo focus group, Risorse finanziarie e modalità di gestione (coordinato da Paolo Verri e Valentina Campana), era dedicato ad esplorare i differenti modelli gestionali degli urban center e a proporre modalità diverse ed originali di finanziamento delle strutture. La situazione generale emersa dalla discussione ha evidenziato come gli urban center in Italia siano soggetti attivi, propositivi e capaci ma in un qualche modo figure terminali di un processo delle amministrazioni a cui fanno capo. Nella maggior parte dei casi infatti le risorse di base provengono dalla amministrazioni cittadine e in pochi casi si superano i 100.000 Euro come stanziamento di base. Gli esperti del tavolo hanno lanciato alcune indicazioni riguardo a questi temi: puntare sulla creatività, accrescere il rapporto con le fondazioni territoriali, potenziare il ruolo degli urban center anche dal punto di vista del recupero delle risorse.

Si è posto il problema dell'integrazione di risorse pubbliche e private e del conseguente rischio di indipendenza delle strutture; è stata sottolineata l'opportunità, per queste strutture, di guardare all'Unione Europea, ai fondi strutturali 2007-2013 dell'Unione Europea almeno su due linee di finanziamento molto importanti: quelle che riguardano l'accessibilità e la competitività. Il caso dello SPUR di San Francisco ha permesso di confrontare altre modalità di fund raising che utilizzano la comunicazione come mezzo per coinvolgere i cittadini e acquisire finanziamenti. Per soddisfare la richiesta dei 12 milioni di dollari necessari a costruire la sede dell'urban center dello SPUR è stata avviata una campagna di comunicazione che ha attirato i due terzi dei fondi: 8 milioni di dollari che provengono non dai grandi benefattori della Baia di San Francisco ma da una base molto vasta di piccoli benefattori, che porta non solo risorse ma anche autorevolezza all'operazione.



Il terzo tavolo, Inclusione e partecipazione ai progetti di trasformazione (coordinato da Daniela Ciaffi e Giulietta Fassino), poneva il problema del ruolo dell'urban center nei processi di inclusione e partecipazione dei cittadini. Se smontiamo il termine partecipazione secondo una scala che va dall'informazione alla deliberazione, la maggioranza degli urban center riportavano la centralità della loro mission sull'informazione e la comunicazione, "rinobilitando", in un certo senso, questo tipo di attività rispetto al coinvolgimento nei processi partecipativi. In pochi casi è stata avanzata la necessità per le strutture di svolgere un'azione anche di empowerment della cittadinanza: si tratta degli urban center che operano in contesti più disagiati come l'UDRI di Mumbay o l'urban center di Catania.

Se dunque la risposta preponderante è stata "fare partecipazione significa fare bene comunicazione", l'attenzione al ruolo informativo dell'urban center ha messo in luce una considerazione largamente condivisa, emersa con forza quando si è provato a individuare le categorie di figure escluse dalle scelte di trasformazione urbana (non solo le persone, ma anche, ad esempio, le istituzioni): esclusa dai processi decisionali è l'intera cittadinanza, "gli esclusi siamo tutti". Quando si giocano le grandi partite di trasformazione urbana, tutti i cittadini, a prescindere dalle possibili categorie di esclusi, di fronte alle deliberazioni si trovano non interpellati. In tale condizione, tutto ciò che gli urban center possono fare è informare, molto spesso ex-post, qualche volta in itinere.


Foto di Michele D'Ottavio.

La riflessione si è dunque spostata sul tema della democrazia urbana, assumendo l'ipotesi di inserire tra i ruoli di un urban center quello di presidiare, valutare in qualche modo la qualità che dovrebbe essere propria degli esiti concreti di un processo democratico. Anche in questo caso la risposta degli urban center partecipanti al tavolo è stata pressoché unanime: la loro attenzione, nella pratica corrente, è rivolta alla comunicazione degli esiti, non a un ruolo attivo nella costruzione degli stessi. Di fronte a una sollecitazione del genere, si è rimarcata una distanza notevole, insita nella natura stessa degli urban center.


Foto di Stefano Serra / D'Ottavio.


Foto di Stefano Serra / D'Ottavio.

L'ultimo tavolo, Concertazione e accompagnamento dei progetti di trasformazione (coordinato da Filippo De Pieri e Michele Bonino), partiva dal presupposto che fosse necessario innanzitutto condividere una definizione comune di che cosa vuol dire, per un urban center, svolgere un ruolo di concertazione e di accompagnamento dei grandi progetti di trasformazione urbana. È stata proposta una definizione in tre punti: innanzitutto accompagnamento come attività di costruzione di tavoli di discussione tra i soggetti che intervengono nella trasformazione urbana e quindi di "facilitazione" della discussione operativa intorno ai progetti; in secondo luogo accompagnamento come più diretta prefigurazione morfologica e fisica, attraverso la restituzione delle progettualità esistenti e di linee guida della trasformazione; in terzo luogo accompagnamento come costruzione di processi e pratiche utili per i processi di trasformazione quali sono, per esempio, i bandi di concorso.


Foto di Stefano Serra / D'Ottavio.

A prescindere dal consenso generale intorno all'utilità di queste pratiche, da parte di tutti gli urban center e gli esperti del tavolo è emersa una sostanziale distanza da esse, se intese come facenti parte della mission degli urban center. Si sono definite in particolare tre posizioni: la prima, la più critica, ha sottolineato i pericoli di un ruolo di questo tipo per gli urban center, rivendicando con forza il ruolo fondativo della comunicazione per queste strutture, rivolta alla preparazione del processo di costruzione delle decisioni, processo che però deve avere altre sedi; la seconda posizione ha sottolineato che gli urban center non devono occuparsi direttamente di concertazioni, di prefigurazioni, di costruzioni di processi concorsuali, però possono avere un ruolo importante nella promozione di queste pratiche; la terza posizione, più possibilista e vicina in particolare al modo in cui si sta muovendo l'urban center torinese, ruota intorno alla possibilità di sperimentare un ruolo di questo tipo, più diretto e partecipe all'interno dei processi di costruzione del territorio.

La questione ricorrente durante l'intero dibattito è stata quella della legittimazione dell'urban center come attore: se l'urban center deve costruirsi una legittimazione per poter comunicare, allora se intende svolgere un ruolo attivo di accompagnamento, deve guadagnarsi una legittimazione anche ad agire. Se l'urban center è un garante, chi nomina il garante? E ancora, è possibile condividere, come avanzato dallo SPUR di San Francisco, un set of principles, una carta di principi condivisa, riguardante la qualità e i principi su cui si basano le valutazioni, le contrattazioni, gli interventi, il tipo di azione che un urban center può svolgere sulla scena urbana?



I molti spunti emersi nei tavoli sono stati oggetto di dibattito nella seconda giornata di lavori, finalizzata in particolare a esplicitare alcuni temi da riproporre per il XXIII UIA World Congress. Il dibattito ha toccato molteplici aspetti intorno al tema della democrazia urbana e in particolare è stato incentrato sull'aspetto più critico e criticabile emerso durante i lavori, ossia l'importanza del ruolo "terzo" che l'urban center deve svolgere nei processi di conoscenza e costruzione della città e nella formazione dell'opinione pubblica sulla qualità urbana. Carlo Olmo, direttore di Urban Center Metropolitano, ha sottolineato con forza come questo processo possa avvenire solo attraverso gli strumenti specifici dell'architettura, rivendicando il ruolo del disegno e della morfologia urbana come materializzazione dei valori sociali.


Foto di Michele D'Ottavio.

A chiusura del seminario si è discusso dell'idea, proposta da Urban Center Metropolitano, di creare una rete degli urban center italiani, un'associazione a cui sono invitati a partecipare tutti gli urban center interessati a condividere un linguaggio comune, scambiare esperienze, creare collaborazioni su progetti e iniziative. La pluralità di strutture appare essere un importante elemento di ricchezza per la rete e il terreno comune che risulta dal confronto tra le strutture sembra estremamente fertile per avviare un'iniziativa di questo tipo. Mentre è in corso la messa a punto dello statuto di UCNET, gli urban center si preparano al prossimo grande appuntamento di UIA 2008.

Elena Carmagnani
Urban Center Metropolitano di Torino
elena.carmagnani@urbancenter.to.it
NOTE

1. Hanno partecipato al seminario le strutture di: Torino, Venezia, Trento, Bolzano, Genova, Bologna, Ravenna, Roma Municipio XI, Napoli, Lamezia Terme, Palermo, Catania; sono state contattate e coinvolte anche le città di: Milano, Asti, Verona, Padova, Firenze, Pesaro.
2. La struttura è stata creata nel settembre 2005 con un accordo tra la Città di Torino, la Compagnia di San Paolo tramite l'Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l'Innovazione (SiTI) e l'Associazione Torino Internazionale. Diretta dal professor Carlo Olmo, la struttura svolge dalla fine del 2005 un'azione di comunicazione e promozione dell'architettura e delle trasformazioni urbane e un'attività di monitoraggio e supporto alla progettazione per interventi che interessano edifici o parti di città di rilevante valore storico, architettonico o simbolico.
3. Diane Filippi, direttrice dell'Urban Center dello SPUR di San Francisco, Pankaj Joshi, direttore dell'UDRI di Mumbay e Lionel Dunet, direttore del Réseau des Maisons de l'Architecture francesi.
4. Tavolo 1: Anna Martina, direttore, Settore Comunicazione, Città di Torino; Peppino Ortoleva, direttore di Mediasfera e ordinario di Storia dei Mezzi di comunicazione, Università degli Studi di Torino; Liana Pastorin, Ufficio Stampa, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino; Tavolo 2: Paola Elia Morris, Project Funding Operations, MKTP; Bruno Monardo, Urbanistica Italiana; Mariella Olivier, responsabile Pianificazione territoriale operativa, Regione Piemonte; Laura Rizzi, direttore, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino; Riccardo Roscelli, presidente, Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l'Innovazione (SiTI), Giuseppe Volpe, Eures Group; Federico Zardi, Invest in Turin and Piedmont; Tavolo 3: Roberto Arnaudo, Agenzia per lo Sviluppo locale di San Salvario; Luca Cianfriglia, direttore, Comitato Parco Dora; Marisa Cortese, dirigente in staff Assessorato al Coordinamento delle Politiche di integrazione e rigenerazione urbana, Città di Torino; Raffaella Dispenza, Avventura Urbana; Tavolo 4: Alfonso Femìa, architetto, 5+1AA Alfonso Femìa Gianluca Peluffo, Genova; Daniela Grognardi, staff Assessorato all'Urbanistica, Edilizia privata e Patrimonio, Città di Torino; Bruno Monardo, Urbanistica Italiana; Matteo Robiglio, Avventura Urbana; Elisa Rosso, direttore, Torino Internazionale.
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la sezione Urban Centers è curata da
Marco Brizzi


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