DANIEL LIBESKIND
SANTA MONICA

Nasce in Polonia nel 1946. Dal '65 e' cittadino statunitense.
Ha tenuto lezioni in universita' americane (Harvard, Chicago, Yale, UCLA), europee, (Londra, Copenaghen, Berlino, Hannover) in Asia ed Australia.

Ha fondato nel 1986 e diretto fino al 1989 Architecture Intermundium, Istituto privato per l'architettura di Milano.
Ha partecipato a mostre in tutto il mondo, tra cui quella sull'architettura decostruttivista al Museum of Modern Art di New York nel 1988, all’Israel Museum a Gerusalemme, al Museum of Contemporary Art a Kiev.
E’ stato insignito di numerosi premi ed onorificenze (ricordiamo: il Leone di Pietra alla Biennale di Venezia del 1985 ed il primo premio all’ International Bauaustellung - IBA - Berlino, 1987).

Ha uno studio a Santa Monica (California) ed uno a Berlino.

Tra i suoi progetti ricordiamo: Micromegas (1978), Chamberworks (1983), Symbol for the City, Dortrecht (1993), primo premio al concorso Felix Nussbaum Museum ad Osnabrück (1995), ed a Berlino: primo premio City Edge, I.B.A. (1987), Jewish Museum - in costruzione -, primo premio al concorso Landsberger Allee (1994), concorso Torhauser Leipziger Platz - U3 Passarelle (1995).

Le sue opere sono state pubblicate, oltre che dalle piu' importanti riviste mondiali, anche in Monograph Daniel Libeskind, Countersign, Academy Editions, Londra e Rizzoli Editions, New York, 1992, Radix: Matrix: Works and Writings of Daniel Libeskind, Prestel Verlag, 1994.



TRA METODO, IDEA E DESIDERIO

(...) Il mio lavoro prende il via da alcune contraddizioni insanabili tra il metodo, l'idea ed il desiderio. E' come avere un milione di pezzi di mosaico che non compongono la stessa figura, che non potranno mai essere assemblati e costituire una unita', poiche' non provengono da un insieme unitario. Io cerco semplicemente di mettermi di fronte a questi elementi e lavorare con essi al meglio delle mie possibilita'. Non si tratta di costruire, nel senso cubista del termine, vale a dire di mettere insieme elementi omogenei, bensi' di costruire nel senso di assemblare cose eterogenee. E' proprio questa la differenza tra costruire davvero qualcosa conciliando questi bizzarri elementi inconciliabili in opposizione ad un procedimento meccanico come l'assemblaggio di pezzi gia' pronti e scollegati. Ecco, molto in generale, questo e' il mio modo di procedere. Include di frequente elementi che non sembrano parte del procedimento architettonico, certe idee stravaganti, certe tecniche che possono non essere accettate come normali tecniche di architettura, il rapporto tra progetto e spazio, tra idea e funzione. Di conseguenza imbocco direzioni diverse che non conducono necessariamente alla produzione, ma evocano determinate domande. Le risposte a queste domande non sono intellettuali, sono risultati raggiunti nel corso del lavoro. Questo e' il motivo per cui rifletto parecchio prima di applicarmi praticamente. Penso, ma non in maniera finalizzata alla produzione. Cerco di considerare ogni riflessione sull'architettura non necessaria per cio' che sto facendo, dal momento che mi sembra che l'architettura debba essere cio' su cui non si puo' riflettere, cio' che non puo' essere analizzato e predicato nello stesso modo del pensiero. In questo modo, cio' che faccio non e' conseguenza del pensiero. (...)

tratto da Daniel Libeskind, Tra metodo, idea e desiderio, "Domus" n.731, 1991 - sintesi redazionale



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