FRANCO RELLA
BOLOGNA

E’ nato a Rovereto nel 1944. Insegna Letteratura artistica presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia.
Ha collaborato a numerose riviste, tra cui, con particolare interesse all’'architettura, a "Casabella", "Lotus", "Assemblage", "Substance", "Utopica".

E' membro del Comitato Scientifico del Mart, per il quale ha collaborato alle mostre: “Il divisionismo Italiano” (vd., a sua cura, L'eta' del divisionismo, Electa, Milano 1990); “La giovane pittura europea” (Catalogo Electa, Milano 1992); “Il romanticismo: il nuovo sentimento della natura” (Catalogo Electa, Milano 1993); “L'espressionismo dei Musei di Dormund“(Catalogo Electa, Milano 1994).

E' autore di numerosi saggi, tradotti in piu' lingue; ha curato varie edizioni italiane di classici del pensiero, dell'arte e della letteratura.

Tra i suoi libri si ricordano: ll mito dell'altro, Feltrinelli, Milano, 1978; lI silenzio e le parole, Feltrinelli, Milano, 1981; Metamorfosi, Feltrinelli, Milano, 1984);Limina, Feltrinelli, Milano, 1987); Asterischi, Feltrinelli, Milano, 1989; L'enigma della bellezza, Feltrinelli, Milano, 1991; Miti e figure del moderno, Feltrinelli Milano, 1993; Romanticismo, Pratiche, Parma, 1994; Le soglie dell'ombra. Riflessioni sul mistero, Feltrinelli, Milano 1994; The Myth of the Other, Maisonneuve, Washington, 1994; La búsqueda del presente. Miradas sobre la modernidad, Edicions UPC, Barcellona, 1995.



IMMAGINI DI CITTA’

Parigi, scriveva Balzac, contiene mille voci, e tra queste anche quella del silenzio. Balzac si metteva cosi' davanti al problema di rappresentare l’immane molteplicita' della citta' moderna: il visibile e l’invisibile, il pieno e il vuoto, la voce e il silenzio. L’immagine piu' frequente e' quella che ha percorso tutto l’immaginario e il pensiero occidentale: l’immagine della silva, che ha come suoi sinonimi anche quello del deserto, dell’oceano, del labirinto. La “silva” infatti e' insieme una pienezza caotica, inextricabilis error, e matrice di ogni possibile. Il primo che si rende conto delle immense implicazioni legate alla rappresentazione della citta' e' Baudelaire. (...) L’arte, o meglio il linguaggio in genere, di fronte alla citta' rompe i suoi statuti abituali: rompe “il patto mimetico” che aveva garantito per millenni che a un segno corrispondesse una precisa realta' nel mondo. Scoprire la “verita'” del mondo urbano significa avventurare il linguaggio alla scoperta di una verita' che non e' garantita da un sicuro e stabile correlato oggettivo. “Sensi non ho, ne' senso. Non ho limite”, scrive Montale. E Proust lancia la sua idea di un’opera che sappia includere in se' il vuoto, l’ombra, l’omissione. Ma i vuoti nella citta' si sono moltiplicati. Atopie, le avevo definite. (...) stazioni, aeroporti, parchi, metropolitane. Ma forse (...) tutta la citta' di notte, e forse un giorno, tutta la citta' sempre. Cambia non soltanto lo statuto della scrittura, ma addirittura l’autoriflessione del soggetto. Il cittadino diventa nomade. E chi non sa sopportare la solitudine del nomade si aggrega in mute, che trasformano, come ha scritto Enzensberger, i “non luoghi” della citta' in luoghi di battaglia.

Un vagone della metropolitana e Sarajevo. Il problema dell’identita' si propone nella creazione di piccole patrie, all’interno di un linguaggio che e', di converso, planetario. Internazionalismo e micronazionalismo. Ancora una volta la citta' diventa lo specchio della realta' piu' complessiva: diventa lo specchio del mondo e dei suoi enigmi.

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