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Ambiente e Lavoro Toscana ONLUS


Stress da lavoro e infortuni in itinere

Mentre il termine stress è entrato, più o meno confusamente - come vedremo in seguito, già da qualche decennio nel nostro linguaggio comune, l'acquisizione del concetto di infortunio in itinere, specialmente in sede giurisprudenziale, risale a tempi recentissimi e, in particolare, da quando è stata emessa la sentenza n. 3970/99, depositata il 21 aprile 1999, della Corte di Cassazione. Con tale sentenza, lo stress da lavoro viene strettamente ricondotto, nel caso di un evento dannoso, a quelle norme del diritto antinfortunistico che considerano risarcibile l'infortunio stesso in itinere, cioè avvenuto nel tragitto che conduce il lavoratore dalla dimora abituale al luogo di lavoro, e viceversa, o da un luogo di lavoro ad un altro luogo di lavoro, in quanto verificatosi "in occasione di lavoro". Infatti, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha considerato risarcibile come infortunio sul lavoro l'incidente capitato ad un impiegato nel dicembre 1993 che, al termine del turno di lavoro, uscendo nel pomeriggio dallo stabilimento in cui lavorava, venne investito da un'autovettura mentre attraversava la strada per prendere l'autobus di linea che lo riportava a casa, riportando lesioni di tale gravità ("coma post-traumatico irreversibile") da dover essere interdetto giudizialmente. I giudici di legittimità hanno confermato la sentenza del Tribunale di Firenze del 27 marzo 1996 che accogliendo la domanda proposta contro l'INAIL dalla moglie del lavoratore, dichiarava che l'infortunio occorso a quest'ultimo il 10 dicembre 1993 era avvenuto "in occasione di lavoro", e condannava il detto Istituto a corrispondere le prestazioni conseguenziali di legge. Rileva lo stesso giudice che "l'infortunato, sicuramente soggetto al rischio comune gravante su tutti gli utenti della strada, doveva peraltro, nel caso di specie, ritenersi esposto ad un rischio aggravato, connesso sia ai tempi della prestazione lavorativa, sia al suo stato psicologico derivante dall'avvenuta esecuzione di tale prestazione, e sia ai tempi necessitati dai mezzi pubblici che egli era costretto a prendere per compiere il tragitto tra la propria abitazione e il luogo di lavoro. "Precisa il Tribunale che l'infortunato non si trovava nella condizione di rischio normale, comune a tutti gli utenti della strada, in quanto versava in una condizione psicologica connessa ai tempi ristretti, che lo inducevano ad affrettare il tragitto e ad attraversare la strada senza la accortezza necessaria. Aggiunge che era altamente probabile che la sua attenzione fosse menomata a causa del lungo turno di lavoro svolto; e che era pure significativo il fatto che l'investimento fosse avvenuto nel tragitto di ritorno a casa (e non quello di andata al lavoro), e ciò in coerenza con studi statistici infortunistici che rilevavano la ricorrenza degli infortuni nella fase terminale del lavoro. In presenza del ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Firenze da parte dell'INAIL, la Corte di Cassazione, pur ritenendo fondato il motivo del ricorso stesso, premettendo che non avendo il Governo dato corso all'attuazione che la legge 19 gennaio 1963, n. 15 con la quale aveva ricevuto la delega a disciplinare la tutela assicurativa dell'infortunio in itinere comprendendovi gli infortuni occorsi al lavoratore durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di residenza a quello di lavoro, non è stata seguita da alcuna specifica normativa di attuazione, regolatrice della materia, non avendovi il governo, unico destinatario della legge delegante, provveduto nel termine stabilito che l'infortunio in itinere è da comprendere nella tutela assicurativa obbligatoria, in quanto sia riconducibile alla comune ipotesi di infortunio avvenuto " in occasione di lavoro", secondo la previsione di cui all'art.2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124". "Il medesimo infortunio può quindi ritenersi indennizzabile secondo l'elaborazione giurisprudenziale operata da questa Corte - si legge nella sentenza - nella carenza appunto di una esplicita previsione normativa (rinvenibile solamente per il personale marittimo, per quanto disposto dall'art. 6 del cit. D.P.R. n. 1124/1965) - allorquando l'attività strumentale e preparatoria, anteriore o successiva alla vera e propria prestazione lavorativa, e tra essa dunque anche l'attività di spostamento su strada tra abitazione e luogo di lavoro, sia obbligata e si renda necessaria per le particolari modalità e caratteristiche della stessa prestazione lavorativa". In sostanza, la Corte Suprema ha tenuto ad affermare che il generico rischio della strada, al quale sono indistintamente esposti gli utenti della stessa, può diventare rischio specifico di lavoro quando a quel rischio di accompagni un elemento aggiuntivo e qualificante, per il quale l'infortunio su strada viene a trovarsi in rapporto di stretta e necessaria connessione con gli obblighi lavorativi. Le motivazioni di questa importante sentenza ci offrono l'occasione per esaminare, seppure brevemente, la nozione di stress ovvero a circoscriverne la terminologia che, come abbiamo scritto all'inizio, ancora oggi origina interferenze di linguaggio, dove stress si confonde con trauma oppure con ansia. Un noto psicologo ha affermato che il termine "stress" appartiene a quel genere di parole che hanno la fortuna o la sfortuna di diventare di moda, dilagando nel linguaggio comune con la funzione di un jolly buono per tutte le occasioni. Un simile destino toccò a suo tempo, per merito della psicoanalisi, al termine trauma, che ormai tende ad essere soppiantato nell'uso corrente dallo stress. Di fatto, stress e trauma hanno finito per diventare intercambiabili e lo stress sembra ormai captato nell'area della patologia. L'interferenza, se non proprio la confusione, tra stress e trauma, persiste e si fonda sull'implicita ammissione che in ambedue i casi abbiamo una lesione organica: nel trauma abbiamo una lesione a breve termine, improvvisa e violenta; nello stress è a lungo termine. D'altra parte, la stessa matrice etimologica della parola stress implica questa polivalenza di significati, nel senso che include anche quello di trauma. Questa è una parola greca che vuol dire ferita, offesa. Secondo alcuni psicologi, la situazione stressogena e la situazione traumatica configurano due stati organici che solo in casi limite si collegano in una sequenza unica. Di norma stress e trauma restano qualitativamente distinti, nel senso che il primo è caratteristico di uno stato fisiologico di allarme per evitare un danno, mentre il secondo è uno stato patologico di emergenza per riparare un danno che l'organismo ha subito e che può mettere a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Come abbiamo accennato, un'altra confusione terminologica è data dall'uso che si fa nel linguaggio comune del termine ansia con stress. Le due definizioni, invece, rispondono a due situazioni psicologiche diverse. L'ansia è una situazione psicologica di incertezza, di sensazioni spiacevoli di timori, di preoccupazione. Gli atteggiamenti ansiosi possono, però, essere anche piacevoli, come nel sogno, nella speranza o nella fiducia. Mentre l'ansia è il costo psicologico collegato al tempo futuro (normalmente essa è più intensa più il futuro è prossimo), lo stress è il costo psicologico collegato al tempo presente, e precisamente alla sua utilizzazione. Lo stress si produce nell'individuo nel momento stesso in cui egli ha la sensazione di non riuscire a fare tutto quanto vorrebbe o dovrebbe nel tempo che ha a disposizione. E questo è proprio il caso che ha originato la sentenza della Cassazione di cui abbiamo parlato, quando lo stato di stress è attribuito allo " stato psicologico derivante ai tempi della prestazione lavorativa" collegandolo anche ai " tempi necessitati dai mezzi pubblici che il lavoratore era costretto a prendere per compiere il tragitto fra la propria abitazione e il luogo di lavoro". In sostanza, a causa dei tempi ristretti in cui il lavoratore infortunato si doveva muovere, si trovava in una condizione psicologica tale che lo induceva ad attraversare la strada senza "l'accortezza dovuta". Insomma, il tipico caso di stress che affligge in particolare, secondo la Cassazione, i pendolari. E, dal punto di vista della tutela assicurativa, è anche il tipico esempio da collegarsi all'infortunio in itinere. La definizione dell'infortunio in itinere è collegata, infatti, al rischio della percorribilità della strada, nel quale può incorrere il lavoratore nel tragitto che conduce:

- dalla dimora abituale al luogo di lavoro, e viceversa, sia prima e dopo l' orario lavorativo sia durante la pausa lavorativa per il consumo del pasto di metà giornata;

- dal luogo di lavoro ai luoghi di ristoro per il pranzo e di pernottamento, diversi dalla dimora abituale, e viceversa;

- da un luogo di lavoro ad un altro luogo di lavoro, nei casi in cui il lavoratore presta servizio alle dipendenze di più datori di lavoro.

Tali limitazioni, ai fini dell'indennizzo assicurativo dell'infortunio, sono state, seppure non definitivamente, superate con la sentenza della Cassazione 3970/99 che, condividendo le valutazioni del Tribunale di Firenze, ha sottolineato come il "rischio generico" della strada, al quale tutti sono sottoposti, può diventare " rischio specifico di lavoro" quando l'infortunio in itinere si trovi "in stretta e necessaria connessione con gli obblighi lavorativi", così da poter essere ricondotto alla " occasione di lavoro". Prima di tale sentenza, non venivano inquadrati nella categoria dell'infortunio in itinere gli eventi che, pur essendo conseguenza del rischio della strada, accadevano nell'arco spaziale e temporale della prestazione lavorativa in collegamento, diretto o indiretto, con l'esercizio della prestazione lavorativa. E', comunque, opportuno sottolineare che, al fine di superare possibili diversità delle decisioni giudiziarie conseguentemente all'adattamento dei principi fondamentali del diritto antinfortunistico che se ne fa ai singoli casi di specie estremamente vari e talvolta peculiari, l'estensione della copertura assicurativa dell'infortunio in itinere trovi una specifica tutela legislativa. A tale proposito, ci sembra utile segnalare uno studio elaborato dall'INAIL con il quale vengono tracciate delle linee guida per la trattazione dei casi di infortunio in itinere, studio correttamente impostato che parte dalla citazione delle varie sentenze della Cassazione negli ultimi 10-12 anni e che confermano la non procrastinabilità di regolare legislativamente tale problema in modo da stabilire la necessaria uniformità giurisprudenziale. Secondo tale studio, attualmente le condizioni per l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere "è possibile solo come prolungamento dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali di cui il lavoratore fruisca in quanto addetto ad attività rischiose ricomprese nell'assicurazione stessa (Corte Costituzionale, n. 429/1990). "Da questa premessa, pacifica in dottrina e in giurisprudenza, si deduce che:

- pregiudizialmente, sono tutelati per l'infortunio in itinere soltanto i lavoratori rientranti nel campo di applicazione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni; infatti, se il lavoratore non è assicurato manca il presupposto base per collegare casualmente l'infortunio in itinere al lavoro prestato (Corte Costituzionale, sentenza sopracitata). "Va precisato che la tutela dell'infortunio in itinere opera a prescindere dal tipo di attività per la quale il lavoratore è assicurato;

- il rischio della strada, che l'assicurato incontra nel recarsi al lavoro e nel rientrare a casa, non è protetto in quanto tale, essendo di norma estraneo alle vere e proprie prestazioni lavorative e, quindi, generico.

"Il suddetto rischio è protetto esclusivamente in quanto assurga - per ragioni riconducibili alle peculiari modalità di svolgimento e di organizzazione delle personali mansioni del lavoratore - a rischio diverso e più grave di quello che incombe sulla generalità degli utenti della strada". In relazione a quanto sopra, dovrebbero escludersi dall'indennizzabilità dell'infortunio in itinere quando avvengono:

- nel percorrere il tragitto a piedi lungo una ordinaria via di comunicazione aperta al pubblico transito e senza trasportare strumenti di lavoro capaci di apportare squilibri nel cammino, trattandosi di un comune rischio connesso alla generica attività di spostamento spaziale (Cassazione, nn. 2488/78, 7448/87, 1745/88, 2291/92, 2883/92, 6531 e 11731/95, relative a lavoratori, caduti a terra o investiti da una vettura ai quali è stato negato l'indennizzo perché l'evento era accaduto mentre percorrevano a piedi strade prive di particolare pericolosità e senza alcun significativo impaccio causato dal trasporto di strumenti di lavoro);

- nel compiere il tragitto servendosi di pubblici servizi di trasporto, trattandosi di un comune rischio gravante su tutti i cittadini ( Cassazione, nn. 7448/87, 5173/88 la quale ultima ha escluso l'indennizzabilità di un danno causato al lavoratore dalla brusca frenata dell'autobus di linea urbana su cui viaggiava ). Va peraltro evidenziato che di recente la Corte di Cassazione, con pronunce concernenti un unico caso di infortunio collettivo ( vedi per tutte la sentenza n. 455/98 ), ha ritenuto indennizzabile l'evento occorso con l'uso di un mezzo pubblico di trasporto extraurbano, sulla base di considerazioni che, per la portata innovativa, "non si ritiene - si afferma nello studio dell'INAIL - possano essere tradotti in indirizzi operativi prima di una loro ulteriore verifica ed eventuale conferma della stessa Corte". "Riguardo alla definizione di pubblico servizio di trasporto - si legge ancora nel documento - si precisa che non deve considerarsi tale quello dei taxi, trattandosi di <servizio di trasporto individuale e non collettivo che, se pure è soggetto a licenza amministrativa ed è offerto al pubblico, non è tenuto, come i servizi pubblici di linea, al rispetto di un determinato orario ed è destinato al soddisfacimento delle esigenze di poche persone> (Cassazione, n. 2837/84). Non è riconosciuto infortunio in itinere anche nel caso in cui questo avvenga nel compiere il tragitto usando un mezzo di trasporto privato, pur esistendo "adeguati servizi pubblici o pur essendo l'iter percorribile a piedi, in quanto tale uso non è necessitato dalle modalità di prestazione del lavoro e il rischio è stato dal lavoratore liberamente scelto (Cassazione, nn. 1536/78, 3495/79, 7312/83, 807/93, 12179/93, 7259/97 che ha negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso con l'autovettura in quanto il percorso era servito dal mezzo pubblico con un impiego di tempo di poco superiore, 8929/97 che ha negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso con il ciclomotore in quanto il percorso era breve e dunque percorribile a piedi)". L'evoluzione giurisprudenziale della Corte Suprema di Cassazione - si riconosce nello studio dell'INAIL - ha progressivamente ampliato il campo della tutela aggiungendo altre ipotesi di rischio generico aggravato, costruite prendendo in considerazione non solo le esigenze organizzative dell'attività lavorativa, ma anche le esigenze di vita del lavoratore - umane, familiari ed economico sociali per la cui individuazione la Corte ha fatto riferimento ad alcune norme costituzionali (art. 3, primo comma, 16 primo comma, 31 primo comma, 32 primo comma, 35 primo comma, 36 primo e secondo comma). Con la sentenza della Cassazione n. 3970 del 21 aprile 1999, è stato, dunque, introdotto un principio fortemente innovativo, riconoscendo che lo stress da lavoro può essere causa sia di malattia professionale, sia di infortunio lavorativo tra cui quello in itinere. E' condivisibile, però, l'affermazione contenuta nelle linee guida dell'INAIL secondo cui gli indirizzi della Cassazione, "se da un lato sono valsi a rendere sempre più ampia e penetrante la protezione assicurativa, dall'altro non risultano di sempre agevole applicazione e, comunque, si prestano ad interpretazioni discrezionali che possono provocare difformità di trattamento e vasto contenzioso". Il tutto superabile - come abbiamo già scritto - ricorrendo, ai fini di una interpretazione univoca, allo strumento legislativo.



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