Indumenti di lavoro e dispositivi di protezione individuale
Ogni realtà lavorativa presuppone la presenza di rischi cosiddetti "residui" i quali, nonostante averne valutato ed attuato tutte le misure necessarie, non possono essere evitati se non ricorrendo a dei dispositivi di protezione e di prevenzione che siano funzionali alle specifiche esigenze operative del lavoratore. Ancora prima della emanazione delle direttive e dei regolamenti della Comunità Europea in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, il ricorso all' uso dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) è sempre stato regolamentato dalla legislazione italiana: dal DPR n. 547 del 27 aprile 1955 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) al DPR n. 303 del 19 marzo 1956 (Norme per l' igiene del lavoro); dal DPR n. 302 (Norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro integrative di quelle generali emanate dal DPR 547/55) al DPR n. 164 del 7 gennaio 1956 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni). Con il recepimento della legislazione europea, l'argomento relativo agli indumenti di lavoro, ovvero della attrezzatura indossata dai lavoratori per proteggersi dai rischi durante il lavoro, è stato affrontato in modo più chiaro, definendo meglio le modalità applicative. In particolare la prima direttiva (89/686/CEE del 21 dicembre 1989), recepita dallo Stato italiano con il Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 475 che, regolamentando le modalità di progettazione e di costruzione dei dispositivi ai fini della libera commercializzazione su tutto il territorio della Comunità, attribuisce esclusivamente al costruttore la responsabilità di garantire che il prodotto possegga i requisiti essenziali di salute e di sicurezza fissati dalla direttiva stessa (certificazione dei DPI e marcatura CEE). Con la direttiva 89/656/CEE del 30 novembre 1989 entrata a far parte della normativa italiana con il Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, modificato ed integrato con il Decreto Legislativo 19 marzo 1996, n. 242, sotto il Titolo IV (Uso dei dispositivi di protezione individuale-DPI), vengono stabiliti gli obblighi e le modalità di gestione a carico dell'utilizzatore (datore di lavoro) nell'ottica della salvaguardia della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. La successiva emanazione del Decreto Legislativo 2 gennaio 1997, n. 10, che recepisce le direttive 93/68/CEE, 93/95/CEE e 96/58/CEE, viene introdotto il principio delle "norme armonizzate", cioè quelle disposizioni di carattere tecnico adottate da organismi di normazione europei su incarico della Commissione CE. In tal modo, le norme nazionali dovranno risultare compatibili con i requisiti essenziali di sicurezza stabiliti a livello comunitario. Riprendendo in considerazione il Decreto Legislativo 626/94, che rimane il testo fondamentale per adottare le misure necessarie per tutelare l' igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro, all' art. 40, comma 1, viene definito il dispositivo di protezione individuale (DPI) "qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciare la sicurezza durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo". Circa l'obbligo del loro uso, l' art. 41 dello stesso decreto stabilisce che "devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro". Infatti, con questo articolo viene ribadito che l'impiego dei DPI è subordinato alla verifica del fatto che il rischio non può essere in alcun modo evitato o ridotto attraverso l'adozione di altri sistemi di prevenzione e protezione. E' quindi evidente che il datore di lavoro deve essere in grado di poter dimostrare, anche attraverso l'esibizione della specifica documentazione, che la valutazione dei rischi e la conseguente individuazione delle misure preventive di cui all' art. 4 del D.Lgs. 626/94 ha escluso la fattibilità di altri interventi. Occorre, cioè, aver completato un primo percorso di valutazione seguito dall' adozione o dalla previsione d'efficacia o dalla verifica d'efficacia di misure tecnico-organizzativo-procedurali ed aver rilevato che permangono ulteriori rischi. A tale scopo, andrebbero previsti quesiti del tipo:
Pur essendo chiaro, dunque, che i DPI sono obbligatori quando il rischio non può essere evitato o ridotto in termini di accettabilità, la locuzione "sufficientemente ridotto" adottata dal legislatore nella stesura dell'art. 41 (Obbligo di uso) del D.Lgs.626/94 è risultata di non facile interpretazione ed applicabilità, e non solo su tale aspetto. E ciò è confermato dal fatto che al Ministero del lavoro, continuando ad arrivare quesiti di natura interpretativa, ha diffuso la Circolare 29 aprile 1999, n. 34 sugli "Indumenti di lavoro e dispositivi di protezione individuale" della quale riteniamo opportuno riportarne il testo integrale. "Considerati alcuni dubbi sorti in merito agli indumenti di lavoro quando sono destinati ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, si ritiene opportuno richiamare l'attenzione sul complesso della pertinente legislazione prevenzionistica, ai fini della sua corretta e puntuale applicazione. Gli indumenti possono assolvere a varie funzioni:
In tale ultimo caso, tali indumenti rientrano tra i dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi dell'art. 40 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626. Rientrano, ad esempio, tra i dispositivi di protezione individuale (DPI) gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc.. L' art. 43, comma 4, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, prevede che il datore di lavoro debba assicurare le condizioni igieniche nonché l'efficienza dei DPI ossia il mantenimento nel tempo delle loro caratteristiche specifiche quali, ad esempio, l'impermeabilità o la fluorescenza (vedi al riguardo la sentenza della Corte di cassazione, Sezione lavoro, n. 11139/1998 del 9 luglio 1998). Ciò vale ovviamente anche per gli indumenti di lavoro che assumano le caratteristiche di dispositivi personali di protezione. A tale scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità. Detta pulizia può essere effettuata sia direttamente all'interno dell'azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate; la scelta ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro. In via generale, qualora gli indumenti sono o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione ed il trattamento di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo; se viceversa, si sceglie un'impresa esterna, il datore di lavoro, come già ricordato, responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di tali DPI, efficienza che un'errata pulizia potrebbe pregiudicare, deve preventivamente assicurarsi che l'impresa stessa abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione esterna. Il datore di lavoro, inoltre, dal momento che è tenuto, ai sensi dell'art.4, comma 5, lettera n) del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 ad assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate (uso dei DPI) possono causare rischi per la salute della popolazione, fra cui rientra, a questi fini, il lavoratore esterno, deve provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla loro entità. Ovviamente l'impresa esterna è responsabile della sicurezza dei propri dipendenti e dovrà pertanto provvedere alla valutazione dei rischi ed alle conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche sulla base delle informazioni fornite dal datore di lavoro che ha conferito l'incarico della pulizia degli indumenti. Si evidenzia, poi, in particolare modo, la disciplina specifica dettata dagli artt. 14, comma 2, e 28, del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, nel caso in cui l'agente contaminante sia il piombo o l'amianto. Il datore di lavoro dovrà provvedere affinché gli indumenti di protezione siano riposti in luogo separato da quello destinato agli abiti civili; il lavaggio dovrà essere effettuato in lavanderie appositamente attrezzate, con macchine adibite esclusivamente all'attività specifica; il trasporto dovrà essere effettuato in imballaggi chiusi."