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Architetture

BRANZI, BARTOLINI, LANI. Eindhoven, un modello di urbanizzazione debole



Per spiegare che cosa si intende per modello di urbanizzazione debole occorre fare almeno riferimento alla crisi di tutti i gesti progettuali forti e definitivi caratteristici della modernità classica; una modernità che si è alimentata di energie di trasformazione estreme e di processi produttivi irreversibili, frutto del pensiero e del gesto proprio dell'era della tecnologia meccanica.

> EINDHOVEN: IPOTESI DI CITTÀ
La meccanica è stata una tecnologia basata sullo stress prodotto dalla trasmissione per attrito del movimento dei corpi e dall'inserimento di logiche nuove nei contesti della tradizione urbana e umana. La meccanica quindi come processo di rinnovamento a catena del mondo esistente, per adeguarlo a un destino di progresso e di ragione: principio attivo di un pensiero e di un'estetica forte.

[19feb2002]
Troppo è stato già scritto sulla storia politica e artistica del XX secolo perchè sia qui il caso di aggiungere altre considerazioni: può essere invece interessante indagare come stia emergendo una nuova stagione progettuale, legata all'avvento di nuove logiche produttive e a diverse tecnologie deboli.


"Agronica", Domus Accademy per Philips, 1995 (A. Branzi, D. Donegani, A. Petrillo, C. Raimondo con T. Ben David).

Debole è l'energia che alimenta l'elettronica e le reti informatiche. Debole la nuova logica che guida il pensiero scientifico, meno basato sulle certezze assolute della matematica e della geometria e più vicino alle forme complesse della natura, alle sue sbavature e alle forme indeterminate della galassia. Incerta la nuova morale non più costretta a scegliere tra i poli fissi del bene e del male, ma disposta a indagare processi di auto-regolazione spontanea. Debole la politica attuale impegnata fuori dai grandi programmi di ricerca di soluzioni definitive, più duttile verso i processi di riformismo permanente, in continua ricerca di modelli di sviluppo reversibili.

Si configura quindi una cultura e una tecnologia lontana dalle energie di una modernità assoluta, che adotta adesso le forme di un naturalismo dinamico e evolutivo, disposto a mettersi in relazione con energie meno vistose, che non producono forse gli effetti devastanti dei grandi terremoti ma quelli più diffusi e profondi dei bradisismi, capaci di spostare però di pochi centimetri interi territori.

Nuove logiche dunque e nuove estetiche meno riconoscibili; energie genetiche entrano in campo in forma debole e diffusa. Una attitudine al fare lontana da quel costruttivismo eroico delle avanguardie storiche, ma più vicina al quadro operativo dei laboratori delle avanguardie permanenti nei quali opera una cultura del progetto che si fa carico di affrontare la crisi epistemologica dell'architettura, vista non come una tragedia antropologica ma come una opportunità per rinnovare le logiche ormai vecchie del progetto, e per aprire una nuova stagione di sperimentazione e di sviluppo.

Per troppi anni l'architettura occidentale ha escluso la possibilità di aprire laboratori di sperimentazione, nella certezza errata che un ritorno alle proprie radici sarebbe bastato a esorcizzare le grandi difficoltà a esistere dell'architettura nel mondo contemporaneo. Il decostruttivismo a sua volta si è fatto carico di trasformare questa condizione di dissolvimento in una forma di metafora stilistica, utilizzabile dall'attuale internazionale dell'asimmetria che imperversa in tutti i continenti.

La nuova economia ci consegna un mondo mosso da micro-sistemi diffusi, dall'interazione incontrollabile di masse di operatori in rete che operano in territori senza confine e senza progetto, né locale né generale; essi determinano un assetto continuamente reversibile e riformabile del capitalismo post-industriale. Una democrazia diffusa e debole, senza più demos e anche senza kratòs appartiene a questa nuova epoca di sperimentazione permanente e di incertezza stabile, continuamente impegnata a ricercare equilibri provvisori pur di evitare soluzioni definitive.



ARCHITETTURA E AGRICOLTURA. L'architettura del XX secolo ha stabilito un asse di riferimento preferenziale con il mondo dell'industria, adottandone la logica razionale e le tecnologie costruttive. Questa alleanza strategica ha permesso all'architettura di rinnovarsi formalmente, e all'industria di proporsi come modello della trasformazione del mondo. Adesso nei contesti dell'economia post-industriale la fabbrica ha perduto la sua centralità, e altre logiche produttive, legate a tecnologie deboli e diffuse stanno elaborando nuovi modelli di riferimento che travolgono i fondamenti costruttivi forti dell'architettura moderna.


"Agronica", Domus Accademy per Philips, 1995 (A. Branzi, D. Donegani, A. Petrillo, C. Raimondo con T. Ben David).

Questi modelli di produzione seriale evoluta puntano a scoprire l'agricoltura come universo di tecnologie naturali complesse, come sistema di trasformazione ambientale in grado di fornire serie diversificate di prodotti commestibili, capace di adattarsi a programmazioni reversibili, alimentata da energie genetiche deboli, stagionali, eco-compatibili. Una agricoltura in grado di fornire un modello auto-regolato di produzione industriale basata su energie naturali governabili; dunque una agricoltura che non rappresenta più il mondo delle tecnologie pre-industriali, ma che al contrario occupa uno spazio nuovo di estrema sofisticazione gestionale e produttiva.


"Agronica", Domus Accademy per Philips, 1995 (A. Branzi, D. Donegani, A. Petrillo, C. Raimondo con T. Ben David).

Per un mondo complesso come il nostro, impegnato a sopravvivere a se stesso garantendosi un alto livello di flessibilità, trova un grave impedimento nella rigidità costituita dalle destinazioni funzionali dell'architettura del XX secolo. La città contemporanea negli ultimi venti anni si è impegnata in un lungo e difficile travaglio volto a rimuovere tutte le destinazioni d'uso, compiute da logiche apparentemente eterne, e destinate invece a decadere prima ancora di essere entrate nei tempi lunghi.

Aree industriali dismesse, trasformate in strutture per il tempo libero e la creatività, in musei, in parcheggi. Aree terziarie abbandonate e trasformate in alberghi, scuole, abitazioni. Chiese traformate in uffici, gallerie, teatri. Ville diventate centri telematici, centri studi, centri di rappresentanza. Centri Storici gestiti come Centri Commerciali fanno oggi concorrenza a Centri Commerciali che si presentano come nuovi Centri Storici.

Non esiste più quasi nessuna destinazione d'uso che non sia stata smentita. A confronto di tutto questo la rivoluzione urbana prodotta dalla dismissione dei beni ecclesiastici durante il XIX secolo è stata del tutto irrilevante. Quella attuale è una silenziosa e profonda mutazione del concetto stesso di città come organismo efficiente e progettabile. Si direbbe quasi che il mercato ha smentito tutte le logiche funzionali e programmatiche elaborate dalla cultura industriale negli ultimi 50 anni.


Questi eventi poco vistosi cambiano in profondità i fondamenti del progetto contemporaneo; essi portano in luce nuove categorie di riferimento sulle quali i modelli di urbanizzazione debole si fondono, dando inizio a una lunga stagione di sperimentazione e di riformismo. Una sperimentazione che introduce il concetto di reversibilità delle destinazioni d'uso; di inespressività dei manufatti; di assenza di significato globle della forma urbana; di integrazione totale tra ambiente progettato e ambiente naturale; di separazione tra tipologia e funzione.

Ecco dunque poste le ipotesi di una città senza architettura e di una architettura senza città, dove queste due istituzioni storiche con si ricompongono più, lasciando aperto quello spazio di senso che garantiva l'efficacia delle metafore compositive, dando a ogni progetto la certezza di trovare nella forma della città la propria giustificazione suprema, e garantendo alla città il ruolo di rappresentare a livello civile la forma della società urbana che la abitava.



IL SISTEMA OGGETTUALE. Un tempo oggettuale dunque succede a un tempo dei grandi simboli urbani. Esperienze teoriche hanno origine dentro a una idea di industrial design e non certo a quella di composizione architettonica tradizionale. Una sorta di diffusione planare dei processi costruttivi corrisponde alla logica di una civiltà senza cattedrali, agricola più che industriale. Le nuove frontiere del design si muovono oggi nella direzione che va a collocarsi nell'estensione del sistema oggettuale alla scala del territorio metropolitano.

Una direzione teorica e progettuale che vede oggi la città come un sistema di micro-strutture di servizi e di relazioni, che solo in minima parte possono essere attribuite all'architettura tradizionale, compositiva e metaforica, e in grande parte sono di competenza di attitudini progettuali diffuse, deboli, oggetto di un urban management capace di gestire e sviluppare la concorranza urbana, ma non di produrre scelte irreversibili. 


"No-Stop-City", 1969-72 Archizoom Associati (A. Branzi, G. Corretti, P. Deganello, M. Morozzi, D. e L. Bartolini).

Questa linea di ricerca, nei progetti qui illustrati , ha origine nei primi sistemi a rete interni a No-Stop City (1969-72) degli Archizoom Associati, e all'esperienza di Agronica di Domus Academy per Philips (1995) che sperimenta l'idea di una architettura trasformata in libera disponibilità di componenti costruttive mobili, disperse in un parco agricolo semi-urbanizzato. Il primo nucleo di lavoro su Eindhoven è stato elaborato da Philips Design e dalla "Bottega dell'Arte" diretta da Stefano Marzano, e destinato a aprire, in collaborazione con il Comune di Eindhoven, tre laboratori di ricerca sul futuro di quella città Tre laboratori destinati a porre le basi di meta-progetti più vasti; essi interessano il nuovo passante ferroviario con Peter Eisenman, l'arredo urbano del Centro Storico con l'Atelier Mendini, e lo strijp Philips con il mio gruppo.



EINDHOVEN E PHILIPS. La città di Eindhoven è stata fino dall'inizio del secolo la sede storica delle industrie Philips; in questa città è nata la prima lampadina elettrica, il primo CD-ROM e il primo walk-man. Fino all'inizio degli anni '70 quasi il 90% della popolazione lavorava per Philips. Poi progressivamente è iniziato un processo di trasferimento nel mondo di insediamenti produttivi, e Eindhoven, come tutte le città mono-culturali, ha cominciato un lungo processo di ripensamento di se stessa. La dismissione industriale dello strijp Philips (982.000 pq.) sta avvenendo in maniera progressiva e controllata, insieme alla costruzione già iniziata di un nuovo Campus Philips a sud del ring di Eindhoven, che possiede caratteristiche di centro di ricerca scientifica.


Cunei Verdi agricoli a Eindhoven: i tre temi del workshop.
Nel giugno del 1999 si è svolto il primo seminario progettuale sul tema dello Strijp Philips, a cui ha fatto seguito quello sul Centro Storico dell'Atelier Mendini, e quindi il laboratorio sulla nuova stazione ferroviaria con Peter Eisemann.

Il nostro laboratorio progettuale, con Ralf Brodruk, Lauren Kolks, Jan Kinings, e Sonia de Jong del Comune di Eindhoven, ha avuto un carattere ampiamente programmatico, come momento di interlocuzione preliminare relativa al tema del marketing della città e delle caratteristiche programmatiche dell'intervento. Ulteriori elementi per un Master Planning sono stati successivamente elaborati con Ernesto Bartolini e Lapo Lani.

Collocata nel sud dell'Olanda, vicino al confine con la Germania, Eindhoven è circondata da una regione ancora largamente agricola; analizzando la sua pianta si nota la presenza di tre aree strategiche disposte a anello lungo il ring che circonda il Centro Storico. Tre aree a cui si attestano vasti territori agricoli, esse hanno in comune un modello di urbanizzazione diverso da quello tradizionale cittadino (basato su isolati chiusi) e più vicino ai campus universitari e industriali, disegnati con edifici disposti liberamente sul terreno o nel verde. 

Si tratta infatti della grande Tecnische Universiteit posta a est e interna al ring; il nuovo Campus Philips a sud-ovest della periferia; il nostro Strijp Philips collocato a nord-ovest e posto a cavallo dell'anello di circonvallazione a cui si attesta un vastissimo parco verde privato. Questi tre cunei circondano dunque il centro della città e suggeriscono la possibilità di interconnettere il verde, anche utilizzando il nuovo passante ferroviario di Peter Eisemann, per realizzare una grande "Y" che attraversi il territorio urbano.


La "Y" del piano strategico.



UN TERRITORIO PER LA NEW-ECONOMY. L'idea elaborata durante il nostro seminario di giugno è stata quella di conservare allo Strijp Philips la sua caratteristica tipologica discontinua rispetto al contesto urbano, come parco agricolo che permette di riattivare la connessioni tra le parti separate della città, divisa fin dall'inizio del secolo dal recinto di fabbriche e stabililmenti. Il disegno di questa vasta parte di territorio verde e urbano, non è stato però impostato cercando di ricostruire improbabili tracciati viari interrotti, né di procedere secondo la tradizione neo-plastica di volumi composti in armonica contrapposizione sul terreno.


La Stijps Philips.
Il problema della forma complessiva dell'intervento e della zonizzazione delle diverse destinazioni urbane interne,è stata superata stabilendo delle modalità progettuali diverse: esse consistono nella nostra richiesta rivolta preliminarmente all'amministrazione di Eindhoven di considerare questa area come un territorio sperimentale dal punto di vista tipologico e anche normativo. Un'area cioè dove possano attuarsi attività volumetriche variabili nel tempo, con destinazioni non definite in maniera normativa e attuabili come in agricoltura, cioè seguendo criteri variabili nel tempo e nelle stagioni, secondo il mutare della domanda e dell'opportunità dell'offerta.

Il disegno del terreno non è stato dunque tracciato con un sistema stradale, ma con un pattern di percorsi pedonali, ciclabili e tranviari, una sorta di grande "tartan" di penetrazioni deboli e incrociate, tracciate sull'erba del parco, che costituiscono un tessuto omogeneo di distribuzione leggera, che ricostruisce una attraversabilità totale dell'area.

Su questo grande tartan urbano si dispongono in totale autonomia una serie di layers di servizi, costruzioni, giardini, illuminazioni, trasporti specializzati, commerci; layers progettati separatamente e sovrapposti tra di loro.


Pattern di percorsi.

Prato di supporto.

"Tartan urbano" distributivo.

Sono stati individuati un numero molto limitato di edifici industriali (insieme all'attuale circuito aereo di distribuzione dell'energia) da conservare.

Sul piano del marketing di questa vasta area sul mercato europeo, è stata proposta la sua predisposizione come territorio protetto per le nuove imprese dell'economia post-industriale, cioè per quelle iniziative imprenditoriali che si sviluppano in maniera pulviscolare, legate alla creatività tecnologica, artistica, progettuale di massa. Esse potrebbero trovare in Eindhoven la loro Sylicon Valley europea, cioè un distretto di grande tradizione industriale, già servito da laboratori di ricerca, collegamenti internazionali, campus universitari, integrato dentro a una città storica.




Schizzi di lavoro.



Scenari di densità possibili.
Questo tipo di imprenditorialità giovanile diffusa richiede infatti la realizzazione di intensi spazi relazionali, cioè di un mix urbano dove si sovrappongano indifferentemente residenza, ricerca scientifica, laboratori, commercio, tempo libero e produzione agricola. A differenza dei "vecchi zoning" industriali, la "new-economy", come attitudine imprenditoriale di massa, non si attua nei campus separati ma dentro a contesti di informazioni culturali e critiche, come solo il mercato urbano può offrire.


Simulazione di paesaggio.

La configurazione programmatica dello Strijp Philips consiste dunque in un "tartan" distributivo leggero, disposto su un territorio totalmente attraversabile, su cui si dispongono layers specializzati autonomi; un asse di servizi concentrati lungo la ferrovia nord-sud, con teatri, luna-park, centri di ricerca; un sistema diffuso di mulini per lo sfruttamento dell'energia naturale (una wind farm); alcuni edifici industriali storici da conservare; l'attuale sistema aereo di distribuzione dell'energia artificiale con la propria centrale di produzione.


Foto del modello di studio.


Foto del modello di studio.

La nuova edificazione si attua attraverso un sistema diffuso di prefabbricazione leggera, facilmente trasformabile e smontabile, adeguata a programmi d'uso reversibili secondo quella filosofia che possiamo definire caratteristica dei modelli di urbanizzazione debole.

Andrea Branzi

Scenari di densità possibili.
BRANZI, BARTOLINI, LANI. Eindhoven, un modello di urbanizzazione debole

Prime note per un master-plan di Andrea Branzi, Ernesto Bartolini, Lapo Lani.

Input "Eindhoven 2000+La bottega dell'Arte" Philips Design diretta da Stefano Marzano.

Elaborazioni del workshop (Eindhoven, giugno 1999) con Ralf Brodruk, Lauren Kols, Jan Kinigs, coordinato da Carel Van Dijk e Sonja de Jung della Città di Eindhoven, e da Menno Dieperink della Philips Design.

N.B. I materiali grafici della No-stop City sono conservati presso l'Archivio della Comunicazione dell'Università di Parma. L'archivio fotografico di tutto il lavoro del gruppo Archizoom Associati si trova presso il Centre Georges Pompidou di Parigi.

Il materiale del progetto Agronica fa parte della collezione permanente di Architettura del Centre Georges Pompidou di Parigi.
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