home

Architetture

MA0. PLAY: un allestimento sul limite



Si è recentemente inaugurata, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, la mostra PLAY, dedicata alla storia dei videogiochi. L'allestimento della mostra è stato realizzato dallo studio romano ma0. ARCH'IT presenta il progetto espositivo 'PLAY. Un allestimento al limite' e 'LOST IN SPACE. Breve storia dello spazio nei videogiochi', il testo di Alberto Iacovoni (ma0), pubblicato nel catalogo ufficiale della manifestazione. 





Schermo di introduzione alla mostra.

Toccate un'immagine su di uno schermo a cristalli liquidi: la pressione delle dita ne deforma impercettibilmente la superficie morbida, lasciando una scia luminosa appena accennata: accade in The Truman Show, in uno dei dialoghi più intensi del film tra il regista e la sua creatura televisiva, esprimendo, lievemente, come in una carezza, la necessità di un contatto fisico tra i due mondi che lo schermo divide.

È un tema che ritorna in forme e situazioni differenti in altri film degli ultimi anni, e racconta del desiderio, quasi un'ossessione, di attraversare il limite invalicabile dell'immagine elettronica che tutto pervade e di ridurre la distanza tra mondo dell'immagine e quello della materia.

[11may2002]
Per tutti i giocatori di videogames questa distanza si annienta attraverso l'uso esperto di joysticks, joypad e tastiere che fanno agire il nostro alter ego al di là dello schermo: premere quadrato, freccetta, barra spaziatrice, tasto destro del mouse, z, x, n o qualche altro tasto vuol dire, anzi è ad un certo punto per un giocatore esperto fare a brandelli l'avversario con un bazooka, lanciare le proprie astronavi in formazione d'attacco nello spazio profondo, fare una doppia capriola sugli spalti di un castello, anche se l'immagine, dura e inavvicinabile, rimane racchiusa nella superficie piatta del monitor.



Schema programmatico.

Nei fatti, ogni giocatore, ogni volta che impugna un joystick attraversa il limite dello schermo, estende le proprie articolazioni fin dentro lo spazio al di là del monitor, dà inizio ad una catena di azioni e reazioni che continuamente mettono in relazione il digitale/virtuale con il fisico/emozionale.

Mostrare il mondo dei videogiochi, che è l'insieme dei due semispazi separati dalla superficie dello schermo, non può dunque prescindere da questo tema, ovvero da una riflessione sulla superficie sensibile dell'immagine –se così possiamo chiamare l'interfaccia visiva/sensoriale (ancora primitiva) di schermo+joystick-, sulla sua estroflessione bidirezionale -dentro e fuori l'immagine, verso gli spazi di gioco o verso il giocatore, il pixel o la società, il gioco o il mercato– e riportare ad una dimensione spaziale, pubblica quella esperienza mediata, anche nelle comunità online, da un medium strutturalmente privato –la console o il pc, monitor, tastiera o joypad.

L'obiettivo è dunque costruire un medium che riesca a tradurre un'esperienza in un'altra, ma anche a raccontare con omogeneità visiva e narrativa tutte le dinamiche complesse che si intrecciano nel tempo intorno al prodotto –commerciale, creativo- del videogioco. Un medium che generi contemporaneamente un'esperienza –lo spazio, il movimento- ed una conoscenza –la storia, il mercato, la società- del mondo dei videogiochi.


Concept.

Pianta di una sala.

Il primo passo è quello di trasformare lo spazio del gioco a paesaggio continuo dello spazio espositivo, di ingrandirne le immagini fino ad una dimensione comparabile con quella dei visitatori, osservandone come al microscopio le particelle elementari/pixels, spegnere lo spazio della materia per entrare in quello della luce; lo strumento è la retroproiezione su uno schermo continuo della successione di mondi in movimento nei videogiochi dagli albori fino a dopodomani, all'interno di ambienti completamente oscurati e di colore nero –pareti, pavimento, soffitto.


Rendering di progetto.

Ma la videoproiezione definisce comunque un limite piano e invalicabile, pur occupando allo stesso tempo uno spazio, un volume piramidale che ha la base sulla superficie dello schermo –l'immagine che noi vediamo- e il vertice nella lente del videoproiettore. I fasci di due videoproiettori in sequenza che proiettino sulla medesima superficie piana immagini di dimensioni comparabili all'altezza di un visitatore occupano dunque un volume che riduce sensibilmente lo spazio a disposizione, e soprattutto lasciano un ambiente equivalente a quello occupato dalle proiezioni vuoto, inutilizzabile, buio.






Immagini dell'allestimento realizzato.


Lo schermo si piega allora su se stesso, seguendo questa geometria a base triangolare degli spazi vuoti tra le videoproiezioni, entra nel paesaggio continuo delle videoproiezioni, è anzi lo stesso paesaggio che si piega, si fa tridimensionale –è di fronte, ma anche di lato, di dietro. Possiamo infatti collocare in ogni vertice degli spazi triangolari al di là dello schermo un videoproiettore senza che interferisca con i due adiacenti: il nostro paesaggio artificiale si traduce dunque in spazio, si fa immersivo.

È come se il cono visivo dello sguardo visitatore penetrasse la superficie bidimensionale dell'immagine entrando negli spazi triangolari –vere e proprie sale tematiche- al di qua dello schermo, fino ad incontrare sulla superficie della parete di fondo, l'unica non retroproiettata, tutto l'apparato conoscitivo e documentario sul tema –fotografie, testi, ma anche serie di monitor con le diverse tipologie di giochi.

È come scoprire oltre la superficie, in profondità, oltre la continuità delle proiezioni dei giochi principali, simbolo di un epoca o di un genere, oltre lo sgranarsi dell'immagine digitale la complessità dei fenomeni in cui si evolve il videogioco.

E ancora: piegare serve anche a dispiegare: il limite tra visitatore immagine si allunga, diventando tridimensionale si estende molto oltre l'effettiva estensione degli ambienti in cui è collocato: è la proprietà delle geometrie frattali, come il limite tra terra e mare, di aumentare la superficie di contatto tra insiemi omogenei diversi a parità di superficie. In poche parole piegando lo schermo riusciamo a dispiegare una superficie espositiva di 430 metri lineari per un'altezza costante di 2,2 metri su cui insistono dal retro 50 videoproiettori, e sul cui fronte è applicata la grafica di tutta la mostra. 

Tutti le periferiche e hardwares vari –consoles, computers etc.- per il giocare alla mostra, ma anche in semplice esposizione, si trovano anch'essi dalla nostra parte dello schermo, come è sempre, contenuti e protetti dagli espositori cilindirici, sorta di pulsanti fuori scala. Gli spazi espositivi risultano così divisi in due parti nettamente distinte, l'una per i visitatori, l'altra per le immagini, l'una il negativo dell'altra, ma saldamente connesse come i due pezzi di un puzzle di uno spazio inedito. Questo è l'impianto concettuale dell'allestimento sul limite (1), l'idea su cui nasce un esperimento dai risultati solo in parte prevedibili, almeno fino al giorno dell'inaugurazione...

ma0
(1) Ed è anche l'impianto su cui si struttura il sito dedicato alla mostra, sorta di traduzione semplificata ed interattiva del percorso espositivo.

ma0 (Tommaso Avellino, Federico Cavalli, Massimo Ciuffini, Ketty Di Tardo, Alberto Iacovoni, Luca La Torre) si costituisce a Roma nel 1996, iniziando un percorso professionale e di ricerca in cui le diverse competenze dei componenti si intrecciano. Dalla progettazione architettonica e urbana fino alla realizzazione di allestimenti multimediali e siti web, ma0 si muove verso un'idea di architettura come media, ovvero come relazione tra spazi e territori di natura diversa –pubblico/privato, materiale/virtuale- ma strettamente interconnessi.
> MA0
> PLAY
> LOST IN SPACE
> ARCHITETTURE

per partecipare alla rubrica architetture
scrivete alla redazione di Arch'it
redazione@architettura.it


laboratorio
informa
scaffale
servizi
in rete








© Copyright DADA architetti associati
Contents provided by iMage