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Intervista a Vito Acconci

Elena Carlini



Vito Acconci inizia la carriera artistica nella poesia e il linguaggio rimane una connotazione importante del suo campo di sperimentazione, lo sfondo sul quale sviluppa il lavoro d'artista visivo, videomaker, body artist, progettista d'architettura e d'arte pubblica. Da sempre attivo a New York, ha creato l'Acconci Studio, un think-tank d'arte e architettura dove lavora assieme a un gruppo di giovani progettisti con i quali sta realizzando opere d'arte pubblica e luoghi unici come la galleria e centro culturale Storefront a Manhattan, il parco trasportabile Park up Building installato sulla parete esterna del Centro Gallego de Arte Contemporaneo di Alvaro Siza a Santiago de Compostela, l'Isola sul fiume Mur a Graz o il nuovo Design Store del Museum für Angewandte Kunst di Vienna. Elena Carlini lo incontra nello studio di Brooklyn.



[in english] ELENA CARLINI: Qual è la relazione tra arte e architettura nei tuoi pensieri e progetti?

VITO ACCONCI: Mi fai una domanda semplice che però mette in discussione la mia intera carriera. Alla fine degli anni Sessanta il mio pensiero si rivolgeva non tanto alla creazione e allo studio di uno spazio dove esistere ma piuttosto allo spazio del corpo. Mi concentravo in operazioni che coinvolgevano la mia corporeità e che, concludendosi in me, creavano lo spazio del corpo; però al tempo stesso, quell'entità che era anche ambiente, necessitava di un luogo dove esistere. Probabilmente l'origine di questo mio interesse nacque con Seedbed che era un tentativo di divenire parte dell'architettura, io non ero più un'entità nello spazio ma parte della stanza, del pavimento, dell'ambiente (1972 Galleria Sonnabend di New York: Acconci durante la mostra si cela al di sotto una rampa in legno sulla quale si aggira il pubblico, si masturba mentre la sua voce sale a intervalli dal sottosuolo alla ricerca di un legame metaforico tra il pubblico, lo spazio del proprio corpo e quello della galleria ndr).


Vito Acconci. Indirect approaches source: art/tapes from b/w video tape.

[24jun2002]
Successivamente cessai di impiegare il mio corpo, la mia persona, perché cominciai a pensare che era un linguaggio che apparteneva agli anni Sessanta, a un periodo nel quale si era alla ricerca di se stessi. Verso la metà degli anni Settanta le mie opere non si espletarono più attraverso azioni o performances ma s'incentrarono su vere installazioni spaziali anche se io, come entità fisica, non ero completamente scomparso, la mia voce era presente quasi a creare una sorta di partecipazione comunitaria, mi rivolgevo alle persone per avvicinarle nello spazio. A quel tempo trattavo l'ambiente della galleria o del museo quasi fosse una piazza urbana, successivamente cambiai impostazione perché la ricerca sullo spazio pubblico necessita di una reale interazione con i luoghi fisici e io all'interno del museo potevo solamente simularli. In che modo il corpo ha mantenuto la sua presenza nelle mie opere? Forse attraverso una sorta di close-up space, uno spazio ravvicinato, la nostra tendenza è di non considerare lo spazio come luogo della visione bensì come contesto dove ci si ritrova immersi, un luogo tangibile.


Acconci Studio. Moebius bench, Fukuroi City, Japan, 200-01. Translucent fiberglass, fluorescent light.


Acconci Studio. MAK Design Shop a store of rotating rings: products on the move, Oesterreichische Museum fuer Angewandte Kunst, Vienna, Austria 2001. Acrylic panels, lights, motors, steel. Exterior view of model.
Mi sono spinto verso l'architettura perché essa è l'arte della vita quotidiana, ognuno di noi ha una consapevolezza architettonica, pur inconscia, e anche se la si conosce bene perché se n'è oppressi, essa rimane tuttavia un'arte che si apprende attraverso il vivere quotidiano.

Durante le performances o le installazioni eri quasi sempre fisicamente presente e osservavi il pubblico mentre abitava le situazioni da te configurate, quando però il tuo lavoro si fa più esplicitamente architettonico la tua presenza assume un ruolo esterno e quasi estraneo. Questo è un cambiamento importante poiché lo spazio assume una propria autonomia, lontana dalla tua fisicità.

In effetti quando operi all'interno dell'architettura, raggiungi un punto oltre al quale non puoi più spingerti, il tuo lavoro è concluso e lo spazio vive della sua indipendenza. La separazione tra l'ambito spaziale configurato e la mia presenza fisica cominciò già con le installazioni perché, dopo aver progettato l'ambiente, la mia voce vi permaneva quasi fosse una sorta di residuo della composizione spaziale. Quindi lo spazio reale, creato per il pubblico, diviene una sorta di spazio virtuale per il progettista che a questo punto può fare solamente delle congetture.

Attraverso i tuoi interventi hai analizzato il concetto di casa, stanza, ambiente, sottolineando in maniera critica come l'architettura sia anche un bene di consumo; hai cercato di sovvertire le regole che definiscono un certo uso consolidato dello spazio.

Gli architetti fanno la medesima cosa: cercano ciò che ha la potenzialità di essere innovativo all'interno di tipologie conosciute, distillano le caratteristiche da rivalutare, trasformare o eliminare, come ad esempio certe convenzioni sociali o spaziali consolidate. Manipolazione, deformazione, capovolgimento sono tutte metodologie d'azione in campo progettuale. 

La tua opera coinvolge direttamente il pubblico che interagisce con lo spazio mentre spesso gli architetti immaginano ambienti fascinosi ma estremamente autoreferenziali, remoti dall'uso casuale che ne fa il pubblico, inconsapevole intruso. 

Quando nell'atelier sviluppiamo i progetti, pensiamo allo spazio come a un'occasione per le azioni del pubblico e le attività delle persone; non una forma ma piuttosto un luogo in grado di accogliere svariate trasformazioni di uso e significato sociale. Le persone creano lo spazio esteso degli interventi artistici e non a caso i modellini di studio per i nostri progetti tendono a non essere astratti, perché ci servono per capire come il progetto si relazioni ad altre entità spaziali e non per comprendere l'astrazione del progetto in se stesso.

Questo procedimento si discosta dalle scelte di molti architetti contemporanei che paiono prediligere rappresentazioni spaziali molto astratte, realizzate con sofisticate tecniche grafiche ma che alienano il progetto in un mondo che ha coordinate sue proprie.


Acconci Studio. Island on the Mur, Graz, Austria, 2001. Steel, glass, polycarbonate, water, light.
C'è qualcosa nello spazio generato dal computer che lo rende non sufficientemente specifico; sicuramente ti permette di essere all'interno di una sorta di fluidità che pur tuttavia è costituita da punti specifici…

…generati dall'automatismo del computer.

Se pensiamo a questi ambienti come possibili realizzazioni spaziali, non possiamo limitarci a immaginare il luogo in termini squisitamente astratti, dobbiamo prender in considerazione tutto ciò che lo definisce, lo articola, guardare alla realtà allargata, pubblica, urbana. Ad ogni modo vi è comunque la possibilità che il progetto realizzato non sia interessante quanto quello immaginato poiché i punti di contatto tra le parti di un edificio, i giunti fisici, sono sempre visibili e non possono essere tralasciati, quasi non esistessero. Questo è un dato di fatto con il quale dobbiamo confrontarci, anche se non sempre sappiamo come affrontarlo. 

Questa considerazione sottolinea anche un altro aspetto interessante dell'architettura, quello di una realtà progettabile ma non completamente controllabile. Si crea una sorta di imponderabilità.

Infatti, anche se sei il progettista dello spazio non puoi pensare di avere il controllo totale della sua esistenza fino alla fine. Uno degli aspetti affascinanti del processo architettonico è che, a prescindere dalle premesse, si finisce per essere spesso quasi obsoleti, fuori fase, poiché l'architettura necessita di tempi lunghi e non può essere costruita immediatamente; inoltre, durante questo percorso, le modalità e i rapporti tra le cose cambiano.

D'altronde, tra la genesi di un progetto e la sua materializzazione esiste un processo di sviluppo che porta alla relativizzazione di ipotesi e concetti iniziali. Forse è un po' come cominciare un nuovo progetto, o perlomeno svilupparlo arricchendolo di ulteriori punti di vista. Riandando ai tuoi lavori precedenti si ritrova un interesse rivolto alle entità e funzionalità corporee (la pelle, il mordere ecc.) e parallelamente il desiderio di coinvolgere il pubblico in azioni e movimenti di varia natura ma vicini ai meccanismi psico/fisiologici.

Il nostro punto d'inizio è spesso il concetto di attività e trasformazione il quale porta con sé la consapevolezza di passato e futuro. Molte delle nostre opere si rivelano attraverso azioni come: sbucciare, torcere, capovolgere, invertire interno ed esterno, dispiegare.


Acconci Studio. Light beams for the sky of a transfer corridor, San Francisco International Airport, USA 1997-2001. Fluorescent light, acrylic panels, plastic laminate, steel, sheet rock, telephones.

E i lavori recenti?

In settembre si è inaugurata una mostra di nostri lavori dal 1980 fino a oggi, in realtà avremmo potuto stabilire una data d'inizio anteriore ma il 1980 rappresentava un punto importante, era il periodo del progetto per l'Instant House, una sorta di architettura che poteva essere autocostruita da chiunque, utilizzando qualunque strumento oppure un veicolo. La mostra presenta molti plastici e tanti progetti e l'abbiamo strutturata come un'installazione, usando prevalentemente la rete a maglia metallica che funge da separatore e al tempo stesso da supporto, divenendo parete, schermo o copertura; la nostra intenzione è stata di selezionare un elemento che fosse trasformabile e riconfigurabile per poterlo utilizzare con modalità diverse nelle varie gallerie dove la mostra sarà esposta.

Ancor più recentemente abbiamo trasformato l'abitazione di curatore d'arte contemporanea in una galleria d'arte e stiamo progettando per la stessa persona uno spazio espositivo a Manhattan. Anche in questo caso abbiamo cercato di realizzare uno spazio che fosse continuamente adattabile, riconfigurabile, costituito da un sistema di pareti in rete metallica estensibile che divengono ora muro ora soffitto, separano la parte più privata da quella pubblica senza divenire una barriera fissa bensì un limite riconfigurabile. Questo tipo di progetto è vicino ai lavori artistici/architettonici di cui si parlava prima, quelli in cui una persona autocostruisce lo spazio utilizzando meccanismi, veicoli e strumenti di varia natura. L'uso della rete metallica offre la possibilità di appendere qualsiasi cosa in ogni punto senza dover scegliere a priori dove provvedere i supporti o creare i fori. Tutto è modellabile e ripiegabile per cui con una piega a una certa altezza puoi ottenere, se ti serve, una base per una scultura mentre con un'ansa più bassa crei una seduta e così via. Non so se siamo riusciti completamente nel nostro intento, ma è stato un inizio per sviluppare una ricerca sull'uso totale dello spazio.

Questo tema era presente anche alla fine degli anni Ottanta nello spazio dello Storefront a New York (luogo espositivo a forma di cuneo stretto e allungato, realizzato con pareti esterne in cemento, rotanti orizzontalmente e verticalmente su perni, che abolivano ogni distinzione tra lo spazio della strada e quello della galleria; in collaborazione con l'architetto Steven Holl) o nel progetto presentato a Vienna per un prototipo di casa/trailer estensibile.

Questi temi ricorrono perché abbiamo sempre un pensiero: to design freedom, progettare la libertà.

Però la realtà fisica della meccanica contemporanea non offre ancora quella fluidità che molti progettisti vorrebbero, vi permane una certa rigidità.


Acconci Studio. Project for corner plaza, center for the performing arts, Memphis TN, USA, 2001. 2-way mirror, steel, light.
Infatti, forse riesci a ripiegare il muro, ma cosa succede quando vuoi "accartocciarlo"? In realtà lo spazio è potenzialmente intercambiabile ma lo è solo in base alle regole che noi abbiamo stabilito; insomma è un po' una "libertà da supermercato", puoi comprare ogni cosa purché sia tra quelle che il supermercato ha in magazzino. D'altra parte il pubblico non è poi così passivo, soprattutto ora che è possibile (in parte) modificare le notizie dei giornali utilizzando il computer e il web o, cosa ancor più facile, rimescolare la musica.

Credi che quest'uso dei media sia una forma di "espansione" della democrazia?

Penso sia un inizio.

Al tempo stesso però vi è una sorta d'interpretazione erronea del concetto di pubblico come entità distinta dal privato; nel web il pubblico, il privato e l'individuo si fondono.


Acconci Studio. Project for a new World Trade Center, New York, 2002. Exterior view.
È davvero difficile oggi stabilire delle linee di demarcazione tra questi ambiti, perché quando sei nel web vivi contemporaneamente entrambe le dimensioni, di individuo che legge in privato, quasi avesse in fronte a sé un libro (il monitor) e di persona che è parte costitutiva, pubblica del web medesimo. 

Vivi in un flusso costante, senza delimitazioni, privo di ruoli e strutture temporali.

È molto più semplice rispondere ai messaggi email che scrivere vere lettere, personalmente preferisco l'email perché detesto telefonare. 

Attraverso l'email stabilisci una sorta di canale comunicativo perenne, diretto, privo di formalismi, e atemporale; un canale in continuo stand-by che non si oscura mai.

Mi piacerebbe progettare una città virtuale con quartieri e vie che esiste solo nel web. Abbiamo sempre disegnato luoghi nei quali le persone vanno ma ci piacerebbe realizzare dei luoghi da portare via, da trasportare sulla schiena o sulla testa oppure al suo interno. 


Acconci Studio. Project for a new World Trade Center, New York, 2002. Photomontage.

Parliamo della mostra di proposte fatte da artisti e architetti per il Ground Zero, il vuoto del World Trade Center, organizzata a New York dalla galleria Max Protech. Mi sembra che molti progettisti non abbiano colto quest'opportunità per riconsiderare la realtà urbana in senso più ampio. Il significato di un evento così distruttivo e al tempo stesso così "presente" negli schermi televisivi pare aver modificato poco la nozione di spazio pubblico in quanto luogo fisico e concettuale. Tanti hanno progettato soprattutto nuove torri.


Acconci Studio. Project for a new World Trade Center, New York, 2002. Diagrams.

Anche noi in realtà abbiamo progettato una torre. Però è stato interessante il processo attraverso il quale abbiamo immaginato una serie di progetti che poi abbiamo deciso di non fare; proprio la relazione tra ciò che avevamo in mente e ciò che abbiamo sviluppato è per me la parte più importante di tutta l'operazione. Uno dei punti iniziali fu il considerare il sito del Ground Zero come il margine del contesto, un bordo sul quale costruire qualcosa che poi sarebbe fuoriuscito, attraversando la città. Volevamo stabilire una sorta di network che avrebbe avviluppato e attraversato la struttura urbana. Alla fine tuttavia optammo per un progetto con un'immagine perché non riuscivamo a sviluppare l'idea di rete (intreccio) in termini reali. In un certo qual modo sentivamo la necessità di contribuire al tema il nostro pensiero anche se in tempi ristretti. Non volevamo lavorare solo con la fantasia e ci siamo pure posti la questione dei diritti di proprietà e così via. Abbiamo infine deciso di riempire il sito con un'architettura e poi forarla, una sorta di torre pre-esplosa. In un certo senso devo ammettere che ci siamo incamminati per una via più facile.

Quali sono i progetti che state realizzando ora?

Un'isola artificiale su un fiume a Graz in Austria, che sarà completata nel 2003 e comprende un teatro, caffè e parco giochi; la cupola, che è il tetto del caffè, si deforma e diviene una concavità che accoglie il teatro, mentre lo spazio interstiziale costituisce il luogo del parco giochi. C'è poi il progetto per il Design Store del Museum für Angewandte Kunst, una sorta di nastro costituito da anelli che si susseguono e trapassano l'edificio da interno ad esterno; poi ancora il progetto per una collina vicina al prato con opere d'arte contemporanea a Verzegnis vicino a Udine per la collezione Marzona. Qui a New York stiamo lavorando al progetto per la nuova stazione della metropolitana a Coney Island la cui realizzazione è importante per noi perché è un progetto nel quale siamo entrati già in fase iniziale mentre spesso, essendo considerati artisti e non architetti, possiamo intervenire solo quando gran parte delle decisioni sono già prese e tutti si aspettano che noi realizziamo la folly.

Acconci Studio. Project for a new World Trade Center, New York, 2002. Interior view.
> ACCONCI STUDIO
> ELENA CARLINI: ACCONCI STUDIO. THE ISLAND IN THE MUR

la sezione Artland è curata da
Elena Carlini e Pietro Valle


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