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Artland

L'acqua è più leggera del cielo

Pietro Valle



Tra i dieci vincitori del concorso "Nuovi Segni 2002/03" indetto dal Sole-24 Ore (in giuria, tra altri, Stefano Boeri, Angela Vettese e Alberto Garutti), il progetto BAKU del gruppo 42'8, capitanato dal giovane architetto avellinese Giuseppe Vele, è il più poetico e il più realistico. Gli enormi ombrelli mobili gonfiati ad elio che raccolgono l'acqua piovana e irrigano la pianura pugliese sono un formidabile segno territoriale, una presenza leggera e un dispositivo idraulico di minimo impatto ambientale. Il gruppo, che ha recentemente brevettato gli ombrelli, sta speditamente procedendo verso la loro realizzazione. ARCH'IT presenta il progetto con un commento di Pietro Valle.



 
   

Nato da un gruppo di giovanissimi progettisti che frequentavano un programma di studi sul territorio presso il Consorzio di Bonifica della Capitanata in provincia di Foggia, il progetto Baku offre una straordinaria risposta al problema della siccità che affligge il territorio italiano. Non più dighe, canali, condotti o scavi ma un contenitore leggero e riposizionabile che raccoglie l'acqua piovana in un ombrello gonfiabile ad elio che si eleva al di sopra della campagna come una visione aerea. L'idea è semplicissima e di grande suggestione: l'acqua non è tenuta sospesa da una struttura che pianta le radici ma da qualcosa di più leggero dell'aria, racchiuso in una membrana e legato al terreno da un esile fusto. Il prezioso liquido, raccolto in questa fonte ubiqua, è poi incanalato a caduta in sistemi di irrigazione a terra o trasportato dagli ombrelli stessi aggregati in linea.

[14aug2003]
Baku diviene così un segno nel paesaggio che non lascia tracce intrattenendo un peculiare rapporto con lo spazio e con il tempo. Ogni posizione sul territorio diviene un luogo nel momento in cui l'ombrello è messo in opera: esso è riconoscibile e assume l'importanza di una fonte di energia. Contemporaneamente, Baku si proietta continuamente al di fuori di sé, innalzandosi nel cielo e disseminando l'acqua sul territorio. Il punto di attacco al terreno è quasi invisibile ma viene continuamente dilatato: si lega a molteplici punti reali (le coltivazioni da irrigare), ad altri ombrelli/sorgenti connessi in linea o, se distanti, formanti una rete regionale di distribuzione delle risorse idriche. Soprattutto, oltre ai punti reali, Baku allude a tutti i punti possibili dove può riposizionarsi, descrivendo una geografia virtuale che proietta l'idea di sistema nel tempo. Non intrattenendo un rapporto stabile con un luogo, Baku ridefinisce continuamente le coordinate del territorio. Forse è questo il significato più promettente della mappa della provincia foggiana preparata dal gruppo 42'8 nella quale spuntano ombrelli di varie dimensioni in diversi punti: il paesaggio assume una configurazione rizomatica. Se, come dicono Deleuze e Guattari; "Ogni punto di un rizoma può essere connesso a qualsiasi altro punto e deve esserlo. Questo è molto diverso da una configurazione ad albero o a radice, che fissa un luogo di partenza o stabilisce un ordine", Baku assume questa logica antigerarchica e la orienta in una dimensione di continuo cambiamento temporale. (1)

 
L'agricoltura è legata a tempi ciclici, oggi violati da un'efficienza produttiva che tende ad accelerare i raccolti. Questo sfruttamento porta spesso ad impoverire i terreni, consumati da rotazioni di colture, e necessitanti di un eccesso di risorse idriche che devono essere concentrate in pochi punti con notevoli sforzi infrastrutturali. Grazie alla sua flessibilità, Baku potrebbe risolvere questo squilibrio portando a una redistribuzione delle rotazioni più frequente e alternando quantità bilanciate di coltivazioni intensive in più punti e per periodi più brevi. Ne verrebbe fuori un'agricoltura leggera, la quale, ben dosando la distribuzione dell'acqua piovana nel tempo, non esaurirebbe il terreno e formerebbe un paesaggio agrario continuamente variato.

La potenzialità di Baku di attivare il territorio va quindi ben oltre la sua specifica leggerezza e flessibilità. Tuttavia non possiamo dimenticare di riconoscere la sua intrinseca natura di opera d'arte ambientale e di icona architettonica. A guardare le prospettive degli ombrelli che si perdono a vista d'occhio nella pianura pugliese vengono in mente diverse immagini: la foresta di pilastri a fungo del Johnson Wax di Wright, le visioni delle torri dell'acqua negli schizzi indiani di Le Corbusier, le serie di elementi negli interventi territoriali di Christo, le utopie gonfiabili degli anni '60, la natura molle e flessibile dei nuovi blob virtuali. Baku è capace di riassumere queste suggestioni senza citarle direttamente, mantenendole al livello di allusioni compresenti e coniugandole magistralmente con un ruolo funzionale ben preciso.

Tuttavia c'è una differenza tra Baku e quei progetti e, anche qui, a che fare con il fattore tempo: le visioni utopiche di un nuovo territorio si proiettavano in una dimensione futuribile ma mai reale, le performance o le installazioni si sono consumate in un effimero presente, le sperimentazioni, virtuali e non, devono sempre mantenere uno scarto con la realtà materiale per continuare a ricercare. Baku non sceglie un'unica dimensione temporale: può localizzarsi per un giorno o per un anno, può soccorrere un'emergenza idrica del momento o può fare parte di un piano di sviluppo attuabile in periodi a venire. Questa temporalità sempre possibile, questo coniugare progetto e realtà senza porre confini netti è la vera forza di questo progetto che esce dalle sacche dell'ideologia per porsi in un presente sempre aperto.

Pietro Valle
pietrovalle@hotmail.com
NOTA:

1. Gilles Deleuze e Félix Guattari, Mille Plateaux, Parigi 1980, p. 20.
> 42'8 - BAKU

la sezione Artland è curata da
Elena Carlini e Pietro Valle


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