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Il respiro dei Giardini

Pietro Valle



Pietro Valle e Ada Venié hanno visitato la 50. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, diretta da Francesco Bonami e intitolata Sogni e Conflitti - La dittatura dello spettatore. Considerazioni e commenti sulla mostra aperta fino al prossimo 2 novembre.



Una strana atmosfera aleggia ai giardini e all'Arsenale: l'usuale elusività che accompagnava i titoli delle edizioni precedenti non c'è più. Al suo posto abbiamo una serie di mostre a tema che riassumono gli argomenti (e le tentazioni curatoriali) più ricorrenti nelle rassegne d'arte contemporanea negli ultimi anni. Questi temi sono stati già trattati altrove più esaustivamente e vengono qui richiamati con pericolosa superficialità.


Andy Warhol, one frame from Andy Warhol's film, Outer and Inner Space, 1965. ©2003 The Andy Warhol Museum, Pittsburgh, PA, a museum of Carnegie Institute, 50th Biennale di Venezia.

Troviamo il Concettuale evocato per giustificare posizioni solo apparentemente rigorose (Sistemi Individuali a cura di Igor Zabel), la nostalgia per la performance e le costruzioni spontanee degli anni '60 e '70 (Stazione Utopia a cura di Hans Ulrich Obrist, Molly Nesbitt e Rirkrit Tiravanija), la nozione di devianza impiegata forzatamente per racchiudere espressioni eccentriche (Clandestini, curata dal direttore Francesco Bonami), l'ormai consueto sguardo politically correct sulle periferie del terzo mondo (La Struttura della Sopravvivenza a cura di Carlos Basualdo), sull'estremo oriente (Zona d'Urgenza, a cura di Hou Hanru), sull'Africa (Slittamenti a cura di Gilane Tawdros) e sul mondo islamico (Rappresentazioni Arabe Contemporanee a cura di Catherine David).


Michal Rovner. Against order? Against disorder? Israeli pavilion, 50th Biennale di Venezia.

Il tutto viene presentato con un miscuglio di posizioni diverse accostate indifferentemente e con presenze storiche affiancate ad espressioni contemporanee. Si giunge spesso a uno pseudo-didatticismo che nasconde la voglia di giustificare la presenza di nomi famosi (in Ritardi e Rivoluzioni curata da Bonami con Daniel Birnbaum) o l'ansia di compilare classifiche di paradigmi (l'assurdo Pittura/Painting da Rauschenberg a Murakami al Museo Correr). Le opere in mostra, però, non si lasciano mai completamente descrivere dai temi scelti dai curatori, anzi sfuggono ad essi, aprono letture alternative, le quali tuttavia vengono compromesse dalla forzata inclusione nei formati espositivi scelti, soprattutto all'Arsenale. I temi non instaurano neppure un rapporto dialettico con le opere: richiamano semplicemente un mondo esterno alla mostra veneziana (le altre rassegne come Documenta e le biennali di Johannesburg, Seul, etc.) con cui Bonami pare voglia confrontarsi. Qual è dunque l'identità della Biennale di Venezia? Forse quella di rincorrere una presunta "scena internazionale" dell'arte contemporanea? Se così fosse saremmo veramente sprofondati in un ruolo subalterno dove l'Italia fa da compilatore di tendenze elaborate altrove. Oltre a tutto ciò, la rielaborazione in formato light di temi come il postcolonialismo nasconde un supporto alle politiche delle grandi gallerie internazionali che si sono buttate sul mercato "terzomondista" con interessi commerciali. Bonami ha indirettamente rivelato questo in diverse interviste quando ha dichiarato di volere riportare a uno "specifico artistico" le pulsioni socio politiche dell'arte internazionale.

[11oct2003]

Diego Perrone, Come suggestionati da quello che dietro loro rimane fermo, 1999. Photographic print 155 x 105cm, Courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milan. 50th Biennale di Venezia.
Forzata riduzione a formule, mancato approfondimento di temi controversi, supporto a un sistema dell'arte imposto dai maggiori centri del mercato (USA, Germania e Svizzera) emergono dalle mostre curate da Bonami e dai critici da lui chiamati a collaborare. Non stupisce quindi che le proposte più interessanti e paradossalmente più libere di questa cinquantesima edizione provengano dai padiglioni nazionali ai Giardini. Accusati in passato di perpetrare un sistema nazionalistico superato e di imporre agli artisti una prova "ufficiale" e quindi non rappresentativa della loro reale poetica, i padiglioni nazionali rovesciano questa condizione in qualità positiva. Liberi da inclusioni forzate, essi offrono, in piccole mostre attentamente controllate, alcune delle presenze più significative. L'appartenenza nazionale in alcuni di loro è superata dall'apertura a identità diverse, sia artisti stranieri o appartenenti a minoranze con l'implicito riconoscimento che ormai le società dei paesi occidentali (i più rappresentati ai Giardini) hanno raggiunto un livello di complessità che può essere riconosciuto. Ecco dunque l'Olanda che in We are the World mette insieme artisti olandesi, messicani e del Benin in un commentario della società multiculturale dove il pubblico è invitato a sedersi a un ginger bar (Meschac Gaba) o a produrre scarpe a basso costo (Carlos Amorales). Nel padiglione della Spagna, Santiago Sierra erige un muro che blocca l'ingresso e fa piantonare la porta posteriore da guardie giurate che lasciano entrare solo "cittadini di nazionalità spagnola" con un ironico impiego dei meccanismi di controllo dell'immigrazione. L'americano Fred Wilson conduce una ricerca sugli africani nell'iconografia veneziana (i famosi "mori") alternando lampadari di Murano con vetri neri, copie di quadri antichi e spezzoni dell'Otello di Orson Welles. Sono questi alcuni degli episodi più memorabili di una ricerca sulla trasversalità culturale che trova ai giardini situazioni espositive individuabili e quindi efficaci. Ma non c'è solo il problema delle culture altre: alcuni dei padiglioni propongono grandi installazioni che coinvolgono il pubblico in una ricerca di sé attraverso lo spazio.






Pedro Cabrita Reis, Absent names, 2003. 50th Biennale di Venezia, Giardini.



Athanasia Kyriakakos, Dimitris Rotsios, intron, 2003. 50th Biennale di Venezia.


Intron, opera di Athanasia Kyriakakos e Dimtris Rotsios al padiglione greco, è una ricerca sul mondo dei sogni. Il pubblico è invitato a camminare al buio su di un paesaggio artificiale cristalliforme dove vengono proiettati centinaia di spezzoni di interviste a persone che raccontano la loro attività onirica. La ricerca di un equilibrio nel cammino e la dissolvenza dei filmati, creano un atmosfera sospesa dove video e architettura risultano integrati e altamente coinvolgenti. L'intervento di Olafur Eliasson al padiglione danese è un tour de force dove il pubblico è invitato a salire sul tetto dell'edificio attraversando una serie di ambienti segnati da caleidoscopiche sfaccettature. Nel moto spaziale avviene un rispecchiamento di sé e del mondo che sintetizza autoconoscenza ed esperienza sensoriale. Anche le rappresentazioni sono esplorate nella loro profonda ambiguità semantica in altre sedi. Le due artiste del padiglione Belga, Sylvie Eyberg e Valerie Mannaerts, lavorano su immagini note o famigliari (ritagli di giornale o foto di intimità sessuale) per poi spiazzare lo spettatore con sottili modificazioni percettive. Le immagini video di Michal Rovnar al padiglione israeliano compongono tavole calligrafiche con figure umane in movimento, creando una cupa corrispondenza tra scrittura e de-identificazione dell'uomo nella massa. Più ironicamente, la canadese Jana Sterbak, racconta l'ingresso a Venezia e a Montreal di un cane collocando la telecamera su di lui e componendo un curioso filmato a metà strada tra il cinema verité e l'accelerazione delle comiche degli anni '20.


Valérie Mannaerts, R One Way 4, 2002. Cibachrome on aluminium. Belgian pavilion, 50th Biennale di Venezia.


Sylvie Eyberg, 2002/90x120cm, 2002. Silkscreen on paper. Belgian pavilion, 50th Biennale di Venezia.

gruppo A12, la Zona, temporary pavilion, Venezia 2003, 50th Biennale di Venezia.

L'Italia presenta una compagine di giovanissimi in The Zone, la mostra curata da Massimiliano Gioni e allestita nel padiglione progettato dal gruppo A12. La struttura è curiosamente schizofrenica, e alterna una riuscita piattaforma che funge da spazio pubblico ad ambienti espositivi chiusi e isolati. Tra le presenze va sicuramente ricordata la stanza elettrificata di Micol Assael, percorsa da minacciose scariche di calore e il video di Diego Perrone, dove l'agonia di un cane morente è simulata al computer. Diversi giovani architetti italiani come gli A12 sono stati invitati ad intervenire in vari punti della Biennale. Si può ricordare la bella sala conferenze all'ingresso delle Corderie dove i Cliostraat sospendono il pubblico su un pavimento di vetro sotto il quale vi è un reliquiario di memorabilia. Pesante e retorico è invece The Cord del Gruppo Archea: la metafora del flusso di informazioni che viaggia attraverso cavo è tradotta in ingombranti tubi metallici attraverso i quali il pubblico è costretto a passare. Non vi sono qui né distacco critico né ricerca teorica, né coinvolgimento pubblico ma solo un rozzo trasferimento di concetti dall'informatica allo spazio reale. The Cord mostra, purtroppo, la scarsa conoscenza delle elaborazioni linguistiche dell'arte contemporanea da parte degli architetti. Stupisce che Bonami abbia permesso a una simile installazione non solo di essere presente ai Giardini ma di fungere da mezzo pubblicitario della Biennale in varie città italiane.


Micol Assaël, The Theory of Homogenous Turbolence, 2002, installation. la Zona, 50th Biennale di Venezia.

Tra temi persi per strada e discutibili inserimenti di lavori non relazionati, la cinquantesima Biennale lascia dietro di sé diversi dubbi. La costruzione di un discorso unitario è forse la cosa più distante dalla mostra veneziana: la dialettica tra la proposta del direttore e la varietà dei padiglioni nazionali è sempre riuscita a dare vitalità a una manifestazione troppo grande. Quando il primo di questi due termini viene a mancare di un identità precisa come oggi, si perde la tensione tra locale e globale che caratterizza la Biennale nel suo formato organizzativo. Non è la varietà di temi che potrà salvarla ma la coscienza della sua intrinseca diversità.

Pietro Valle
pietrovalle@hotmail.com

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la sezione Artland è curata da
Elena Carlini e Pietro Valle


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