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Versioni di Palladio

Pietro Valle



Quante versioni di Palladio esistono? Quali ne ha fornite lui stesso durante la sua vita e quali ne ha generate la sua diffusione postuma? Che letture sono possibili di un singolo edificio da lui ideato visto che esso coesiste in più proposte progettuali, nell'evidenza materiale del costruito e in successive edizioni dei Quattro Libri dell'Architettura? La mostra Andrea Palladio 500, allestita a Palazzo Barbaran da Porto e curata da Howard Burns e Guido Beltramini, coglie l'occasione dell'anniversario della nascita dell'architetto vicentino per porre queste domande e per mostrare la disseminazione della sua architettura in più dimensioni parallele. Disegni originali, documenti d'epoca, plastici lignei che ricostruiscono edifici e progetti, dipinti di grandi autori (Canaletto con le sue vedute palladiane di Venezia e un ritratto dell'architetto di El Greco) compongono un percorso di dieci stanze che restituisce una visione poliedrica e sfaccettata di Palladio. La sua vocazione polisemica non è un'interpretazione attaccata a posteriori alla sua opera, ma è parte integrale del suo metodo di lavoro, del suo uso delle fonti, del continuo ri-editing dei propri edifici in un flusso comunicativo che costituisce, forse, il suo lascito più significativo.

[21 novembre 2008]

El Greco, ritratto di Palladio 1570-75.


Ricostruzione del tempio della Fortuna primigenia a Palestrina 1570.

Il progetto di architettura diviene, per la prima volta con Palladio, prefigurazione aperta e mobile che si trasforma durante il processo di realizzazione e anche dopo di esso con l'attività di pubblicazione nei trattati. Propone figure riconoscibili (derivate dal linguaggio classico), ma lascia le loro relazioni aperte in modo che la costruzione possa esplorare i diversi modi di svilupparle e la teorizzazione per riproporle in successive versioni.


Studio per la facciata di Palazzo Chiericati 1565 ca.

Questa dinamicità gli consente di avere a disposizione un abaco di opzioni architettoniche ricombinabili capaci di interpretare le nuove esigenze funzionali e rappresentative della committenza: la villa suburbana, il palazzo, l'edificio religioso combinano riferimenti all'autorità dell'antico con schemi distributivi inediti che mutano e crescono di scala nel tempo offrendo soluzioni sempre più articolate. Questa strategia non si tramanda solamente da un edificio al successivo, è connaturata nel processo progettuale della singola struttura. La moltiplicazione di più versioni di piante e facciate presente in ogni disegno mostra che Palladio non cerca una rispondenza stretta tra progetto, realizzazione e pubblicazione. Il primo non è sintetizzabile in una rappresentazione unica, la seconda non deve rispettare il confronto con un'icona prestabilita e anzi si "diverte" a traslare le figure elaborate in strutture più complesse, la terza reinventa il costruito trasformandolo in un paradigma aperto relazionabile ad altri edifici. Evidenza costruttiva, pluralità interpretativa degli stessi elementi architettonici e comprensibilità della norma vanno di pari passo senza chiudersi in canoni rigidi. La realtà dell'architettura di Palladio sembra risiedere nella continua mobilità tra cantiere, rappresentazione e comunicazione, offrendo più letture dello stesso luogo.


Alzato e sezioni del Pantheon e ricostruzione delle Terme di Agrippa 1570 ca.

La mostra, dopo una prima sala introduttiva sul contesto in cui si forma il giovane Palladio, entra nel vivo con il tema della rilettura della classicità, uno dei capisaldi della sua attività teorica ma anche una fonte inesauribile di idee progettuali. Palladio combina frammenti trovati nelle rovine di Roma e spunti provenienti dai trattati rinascimentali per reinventare un'antichità a proprio uso. Il nesso parte-insieme è assolutamente flessibile nella classicità palladiana: ogni frammento linguistico è abbinabile agli altri in un gioco combinatorio aperto. I singoli moduli (di pianta, o di sezione) si aggregano a formare insiemi di scale diverse, dalla casa al tempio al teatro.


Studi di formazioni militari 1545.

I grandi complessi, come la "Villa degli Antichi" ricostruita nei Quattro Libri, sono invece suddivisibili in parti discrete con un procedimento che anticipa le unità tipologiche dai confini aperti dei Précis di J.N.L. Durand. L'antico è adattabile e questo non solo nella dimensione dei moduli planimetrici, ma nelle forme costruttive e negli elementi di facciata. Ogni stilema architettonico ha diverse scale, varie profondità spaziali e può essere interpretato con molteplici forme costruttive che instaurano un dialogo aperto tra colonna e muro. La storia, riscoperta dal Rinascimento, è una narrazione ridefinibile e il classico è un paradigma al cui interno possono avvenire modifiche che ne ampliano le potenzialità architettoniche.



Piante alternative per la ristrutturazione di Casa Volpe a Vicenza 1568 ca.


Schizzi di ricostruzioni delle Terme di Agrippa 1570 ca.


La casa privata degli Antichi Romani dai Quattro Libri.


Pianta di Palazzo Barbarano variante A 1568-9.


Pianta di Palazzo Barbarano variante B 1568-9.


Pianta di Palazzo Barbarano variante C 1568-9.

La proporzionalità dimensionale tra numero e geometria non fissa in Palladio figure planimetriche rigide: apre invece molteplici concatenazioni tra ambienti limitrofi consentendo una grande flessibilità che risponde alle esigenze distributive di nuovi tipi come la villa suburbana o il palazzo di città. Palladio compone abachi di stanze continuamente riposizionabili nello schema triadico che vede il salone centrale passante servire due ali di ambienti ai suoi lati. Le stanze sono modificabili nelle proporzioni dei singoli spazi, come si vede nella sequenza di più versioni per la pianta di Palazzo Barbarano a Vicenza presente in mostra. Possono moltiplicarsi sequenze e concatenazioni di stanze. Emergono circolarità tra ambienti diversi che si richiudono in un perimetro, come avviene nell'inedito progetto per case a schiera a Venezia. Le stesse figure planimetriche, legate in un reticolo ortogonale, possono, alla fine, fungere alternativamente da ambienti interni o da corti frapposte a essi. Sul tema delle relazioni aperte tra figure planimetriche, una novità presente per la prima volta in questa mostra sono le illustrazioni che Palladio compone per l'edizione delle Guerre di Polibio, dove egli raffigura le formazioni degli uomini in battaglia come insiemi geometrici che ricordano recinti, corti, ali aperte o esedre.


Progetto per quattro unità abitative a schiera con corte a Venezia 1565 ca.

È, tuttavia, con la strategia della sovrapposizione di figure diverse, attuata con una forma di layering che ricorda i processi digitali, che Palladio raggiunge il vertice della sua intelligenza progettuale. Nelle facciate dei palazzi vicentini e delle chiese veneziane lo stesso elemento rappresentato, ad esempio un colonnato frapposto a un muro, si proietta in più profondità spaziali e può essere alternativamente interpretato come un insieme di paraste che articolano la parete, come delle semicolonne che emergono parzialmente da essa o come un pronao anteposto al fronte dell'edificio. Un singolo disegno sembra quindi contenere più "strati" (o "layer" o "trasparenze") e può materializzarsi in più architetture. Questo è spiegato efficacemente nella mostra con modellini bianchi appesi alle pareti che "esportano" tridimensionalmente le diverse opzioni condensate in un singolo disegno. Nelle chiese veneziane, due fronti di tempio classico, uno basso e oblungo e l'altro alto e centrale, si sovrappongono sulla facciata a coprire rispettivamente la navata centrale e quelle laterali: le loro diverse colonne s'intersecano in un inedito effetto di materializzazione della trasparenza.


Varianti per la facciata di Palazzo Porto 1546.

Non è tutto: i disegni di presentazione dei fronti dei palazzi presentano sempre due scelte alternative di composizione della facciata poste sulla parte destra e su quella sinistra che sembrano "veline" (o scenografie) parziali da mettere e togliere dinamicamente. La loro profondità indefinita non è un puro gioco da leggere nell'astrazione del prospetto ma una strategia legata alla percezione della facciata nel contesto urbano. Le piatte paraste dell'ordine gigante di Palazzo Valmarana a Vicenza o le esili colonne di Palazzo Antonini a Udine sono fatte per essere viste in scorcio nelle strette strade medievali in cui questi edifici sono collocati. L'impaginato del fronte non si deforma quindi solo in altezza (a contenere più livelli con lo stesso ordine o con ordini sovrapposti) o in profondità, ma anche in proiezione diagonale considerando un occhio mobile che attraversa la città.

La stratificazione diviene montaggio verticale (con una tecnica che quasi anticipa il collage surrealista) di edifici diversi nella ricostruzione del Teatro Romano di Verona e in quella del Tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina. In essi si viene a formare un'ascensione architettonica di colonnati, templi e contrafforti che formano una montagna artificiale. Negli edifici religiosi dai grandi interni coperti da cupole e volte, lo spessore variabile della sezione muraria, appreso con lo studio delle terme romane, è sfruttato per affrancare la forma spaziale interna da quella esterna con un doppio ruolo contenitore-contenuto.



Modello del Tempietto Barbaro a Maser.

Questo è ben visibile in mostra grazie a modelli lignei tagliati in modo da vederle simultaneamente. Più sezioni diverse si allineano in profondità nel refettorio del convento di san Giorgio Maggiore offrendo una continua sorpresa nell'alternanza di diverse illuminazioni dall'alto. Gli strati (o livelli, o "layer") nel sistema progettuale palladiano si muovono liberamente tra seconda e terza dimensione, tra astrazione e materialità. Essi possono operare come agenti indipendenti, assommandosi in una sequenza di spazi successivi, o intersecarsi, addensandosi e sovrapponendosi in quella materializzazione della trasparenza che abbiamo già menzionato. Sono quindi un formidabile strumento d'indagine della realtà che non si lascia imprigionare in un'unica dimensione.

Se il progetto con i suoi strumenti è mobile, altrettanto lo è il suo autore. Il capolavoro definitivo di Palladio è forse la continua riedizione di se stesso, la sua reincarnazione in più architetture, con una sorta di moltiplicazione della personalità che supera il culto del singolo autore. Come con l'antico, Palladio reinventa se stesso e deforma, riprogetta, estende i suoi edifici nei Quattro Libri: se non c'è corrispondenza stretta tra progetto e edificio costruito, essa non è ritrovabile neanche tra quest'ultimo e la sua comunicazione. La pubblicazione ri-proietta l'architettura in una dimensione teorica che supera la staticità del costruito e di canoni rigidi. Non esiste quindi precedenza della teoria alla pratica, anche quest'ultima può essere occasione per iniziare una riflessione post-facto. Questo porta il linguaggio palladiano ad avere più identità che possono essere interpretate da molteplici seguaci. Palladio diviene strumento di diffusione del Classicismo Rinascimentale e, più di altri, è esportato e modificato in base a diversi contesti, usi, autori.



Le Corbusier, Schizzi di edifici palladiani 1921-22.

Come Shakespeare (che qualcuno dubita essere mai esistito), Palladio diviene un "classico" che scompare dietro alle interpretazioni della sua opera, permettendo successive riscritture in direzioni inedite. La diffusione di Palladio nei nuovi stati dell'Europa capitalista e negli Stati Uniti lascia indietro l'Italia e crea uno stile internazionale che supera i confini garantendone una proiezione verso la modernità. Il Palladianesimo è l'esplosione di più autori e periodi: il Palladio di Inigo Jones nel Seicento inglese, il Palladio Scamozziano e barocco, Il Palladio pittoresco di Lord Burlington a Chiswick, il Palladio democratico di Thomas Jefferson a Monticello e di tutto lo sviluppo della prima architettura istituzionale americana, il Palladio di Quarenghi nei grandi complessi neoclassici a San Pietroburgo, il Palladio tipologico della tradizione Beaux-Arts e dell'École Polytechnique, il Palladio romantico ed eclettico dell'accademia tardo-ottocentesca, il Palladio nascosto dietro le proporzioni astratte delle ville corbuseriane rilette da Colin Rowe. Ogni periodo e contesto rilegge la matrice-Palladio e ne plasma un paradigma a proprio uso, con un procedimento simile a quello che l'architetto vicentino usava con l'antico.

Forse la mostra di Vicenza è un po' avara di documenti su questa esplosione postuma relegandoli nell'ultima sala. La circolarità della riscrittura dell'antico operata da Palladio, della volontaria modificazione della propria opera e della sua disseminazione postuma è uno straordinario caso di mobilità dell'architettura oltre i suoi stessi confini. Dietro le successive identità assunte dai singoli progetti palladiani, vi è un metodo che cerca sempre una stretta rispondenza tra lo spazio e la sua appropriatezza, quest'ultima intesa come equilibrio tra mezzi costruttivi e fini rappresentativi di un edificio. L'edificio realizzato è solo uno dei termini di una triangolazione che vede il progetto e la pubblicazione come altri due poli che spiegano l'architettura da altri punti di vista.



Studio per il prospetto di San Francesco della Vigna.


Ricostruzione del teatro romano di Verona 1565.

La deriva delle idee e la scelta di sintesi parziali in Palladio, non è una negazione dei mezzi di comunicazione normativi dell'architettura bensì la sua proiezione in una condizione che, oggigiorno, potremmo definire post-mediatica con un termine coniato dalla critica d'arte Rosalind Krauss. L'architettura, riconosciuta nella sua complessità, non opera in un'unica dimensione ma coesiste in diversi campi ognuno dei quali offre una lettura specifica di un insieme complesso. Non potendo singolarmente offrire una sintesi finale, le forme rappresentative si relazionano le une alle altre dinamicamente. La divisione tra progetto, edificio e pubblicazione diviene relativa; ognuno dei mezzi espressivi è progetto critico e costruzione parziale di una parte dell'architettura. Il superamento delle divisioni tra teoria e prassi attraverso una comunicazione aperta ma relazionale in Palladio è innovativo: egli supera il ruolo di semplice "architetto costruttore", di "trattatista teorico" o di "progettista che si appropria di fonti storiche" con una pratica in continua dilatazione rispetto alle idee che esprime: gli stessi elementi linguistici non sono mai disgiunti dalle forme costruttive (siano esse di puro rivestimento o strutturali) ma vengono volutamente "compromessi" da queste. Se le stesse figure sono ritrovabili in maniera continuamente modificata nelle varie fasi di lavoro e in successivi progetti, l'architettura diviene processo d'indagine aperto che può dire sempre qualcosa di più perché non chiusa in una forma definitiva. La mostra vicentina, più che risuscitare un linguaggio storico, può fare riflettere sui nessi che l'architettura è capace di mettere in gioco per garantire una continua proiezione del proprio pensiero.


Pietro Valle
pietrovalle@hotmail.com
Le immagini sono tratte dal catalogo della mostra Andrea Palladio 500 a cura di Howard Burns e Guido Beltramini.

> ROVEROTTO. PALLADIO

la sezione Artland è curata da
Elena Carlini e Pietro Valle


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