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Steven Holl



Antonella Mari
"Steven Holl"
Edilstampa, Roma, 2001
pp150,  €15,00

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Questa monografia a cura di Antonella Mari è un rigoroso, sobrio e preciso strumento di studio, costituito da tre parti: un testo in italiano, e traduzione inglese a cura di Donna Meiss, per introdurre e inquadrare il lavoro di Steven Holl nel contesto teorico che gli è proprio, con lo sforzo costante di rimanere il più vicino possibile all'intenzionalità poetica di un autore spesso frainteso e di cui sfugge la complessità e profondità di pensiero, proprio a causa dell'immediata bellezza delle immagini che la sua architettura produce, ma nelle quali non si esaurisce; schede puntuali per progetti e opere dal 1990 al 2000, che documentano i lavori con disegni, schizzi e fotografie in modo da far apparire in tutta chiarezza il lungo processo di cui ogni lavoro dell'architetto newyorkese è frutto; una bibliografia completa e aggiornata all'anno di stampa degli scritti su e di Steven Holl, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, affiancata dal regesto delle opere, dal 1990 al 2000.

Il pregio principale del volume, che non vuole essere solo una cronistoria delle opere di Steven Holl, consiste nello strappare l'architettura dal piano dell'immagine patinata da rivista. Ne è segno eloquente la redazione sintetica delle schede e l'uso calibrato di fotografie, disegni e schizzi che acquistano così la profondità che compete loro. Altro merito è quello di presentare l'architettura di Steven Holl restituendola alla sua qualità rarefatta e raffinata che l'espressività di immagini troppo violente o ridondanti tendono a cancellare. In definitiva, cosa sempre più rara nei libri di architettura, è un libro fatto per poter essere letto, per poter vedere e comprendere quello di cui si parla, scritto con la fiducia dialogica necessaria, ovvero con l'idea che valga la pena dire qualcosa e fare un discorso sull'architettura contemporanea.

L'opera di Steven Holl viene analizzata da un punto di vista teorico (che è il più frainteso e meno conosciuto, perché necessita di una riflessione e di un discorso, due cose in via di estinzione nel mondo degli architetti), perché tutto il processo progettuale fino alla costruzione e alla vita dell'edificio viene visto come un precipitato fisico e percepibile di un vero e proprio metodo poetico. La poesia come metodo, ovvero da Descartes a Bergson.



Lo spazio dedicato ai dettagli costruttivi, non molto, è inteso come dimostrazione dello stretto e intimo legame tra fatto formale disegnato/costruito e concetto/diagramma iniziale senza perdersi in atteggiamenti del tipo: ora vi sveliamo il gioco di prestigio... Quello che prevale in questa indagine è una curiosità di tipo compositivo che rende pienamente il contesto filosofico e artistico nei quali l'architettura di Steven Holl prende vita. In un modo filologicamente fedele agli scritti di Holl, ne viene descritto il lavoro poetico, inteso nel senso etimologico di fare, creare, senza pretese demiurgiche, che inizia con l'ancorare l'immagine alla costruzione, prima che al luogo; significa riferirsi ad Heidegger e al suo "... Poetically Man Dwells..." e significa anche pensare alla dimensione di profondità e permanenza dell'architettura in sé.

Dunque parlare di permanenze e variazioni, oltre a risvegliare assonanze con il lavoro di Aldo Rossi, molto presenti nelle prime architetture di Holl, significa parlare di contingenza e permanenza: "in contrasto con la tendenza attuale a formulare presupposti teorici forti legati a cambiamenti di pensiero, sociali e tecnologici considerati universalmente validi e che utilizzano il progetto di architettura per la dimostrazione di un assunto a priori, Steven Holl interpreta i suoi progetti come occasioni per esplorare e formulare ipotesi sempre nuove." [A.M., Steven Holl, pag. 11]



La capacità di dare profondità e durata nel tempo ai progetti risiede, qui, in una sensibilità particolare al contingente, dipende dall'appropriatezza di percezione e dalla precisione di risposta che l'architetto è in grado di dare in ogni situazione specifica. Precisione e profondità dovuti alla capacità di rarefare e "densificare" contemporaneamente, impregnandoli di senso, gli strumenti compositivi dell'architetto: pareti, muri, finestre, pavimenti, con un metafisico "less is more", che non ha niente a che fare né con il minimalismo, né con il funzionalismo. E che riesce, per essere aderente alla realtà, a sopravvivere a una moda interpretativa, fino a liberarsi dal contesto e ad assumerne libertà per paradosso.

Con questo presupposto inizia la descrizione, in ordine cronologico, dei progetti, sempre mantenendo un profondo legame con i concetti che li hanno generati. Per esempio, nella descrizione del progetto per il lido di Venezia: "Il progetto si evolve su 3 linee di interpretazione del tempo e dello spazio: la possibilità che il cinema ha di dilatare o comprimere il tempo è rappresentata dalle onde sospese sulla laguna che, a tratti estese, a tratti compresse, offrono spazi di varia forma e dimensione per ospitare le sale. La seconda interpretazione ha per oggetto lo spazio diafano riflesso nella luce del sole che filtra dalle fessure tra le sale nel bacino sottostante. Infine il tempo assoluto è misurato da un raggio di sole proiettato nella lobby." [A.M., op. cit., pag. 22]



Il saggio introduttivo è una continua sfida nell'approfondire in ogni immagine e in ogni opera il senso filosofico della ricerca poetica di Holl, dal legame con la filosofia di Merleau-Ponty, all'elezione di un senso bergsoniano di spazio e memoria, passando per la critica del linguaggio di Husserl e arrivando alla sintesi esistenzialista del fare poetico in Heidegger. L'architettura, dunque, non come evento, né come oggetto, ma come costruzione nel senso più profondo del termine, come luogo, sito in grado di suscitare emozioni attraverso il suo solo stare e accogliere il tempo sotto forma di fenomeni, perché ne condivide la natura fenomenica. L'aderenza al programma, la realizzazione precisa degli schizzi e la concrezione in immagini e plastici dei diagrammi fino all'opera costruita sono presentate in questa chiave.

"In una sorta di scambio reciproco, Holl riesce ad infondere nei suoi schizzi la spazialità, la tattilità ed il senso di coinvolgimento a tutto tondo dell'osservatore su cui si basa la sua ricerca architettonica. Viceversa le sue architetture sembrano non prescindere dagli studi sulla luce, sulla prospettiva e sulla qualità fenomenologica ad essa legate, né perdono quella sorta di astrazione bidimensionale, di senso del colore e dell'armonia di proporzioni che solo l'occhio e la mano di un pittore possono cogliere e rendere." [A.M., op. cit., pag. 43]. Infine ogni progetto viene letto come sperimentazione fenomenica di un'idea, attraverso un concetto e il suo successivo situarsi, attitudine non separata dalla capacità di adattarsi e rispondere alle forti sollecitazioni di cambiamento proprie della società un cui viviamo, per riuscire a costruire architettura.

Irene Guida
irene.guida@libero.it
[09apr2003]

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> STEVEN HOLL
> 32

 
 

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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