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Books Review

Walkscapes. El andar como practica estética.
Walking as an aesthetic practice.




Francesco Careri
"Walkscapes. El andar como practica estética.
Walking as an aesthetic practice"
Land&Scape Series
Gustavo Gili, Barcelona 2002
pp 205, €25,00



OFF THE ROAD: A PIEDI NUDI NEL CAOS… Dal viaggio erratico arcaico ai menhir, dalla città “banale” dei Dada a quella “inconscia” dei Surrealisti, dalla “Psicogegrafia” dei Situazionisti alla New Babylon di Constant, dall’ “odissea urbana” per la città “entropica” di Robert Smithson alla “transurbanza” nella città contemporanea del gruppo Stalker, Francesco Careri ci conduce sulle tracce di una città “nomade”, facendo dell’ “errare” sguardo prezioso e strumento di costruzione simbolico-estetica del paesaggio.


The street I believed was capable of
causing surprising turning-points in my
life, the street, with its restlessness
and its glances, was my true element:
there, as in no other place, I receveid the
winds of eventuality
Andrè Breton, Les pas perdus


[14dic2002]


Nomadi.


Da: Stalker, "Transurbanza".

In principio era il camminare!
Sono i passi di un australopiteco solidificati nella lava a metterci sulle tracce di sguardi e paesaggi "nomadi" narrati in Walkscapes, nuovo libro di Francesco Careri. Da qui si dispiega una trama che ci condurrà fino alla città contemporanea, convinti con l’autore che “errare humanum est”: l’uomo costruisce relazioni con il territorio a partire dal camminare, che è insieme sguardo e strumento primario di conoscenza, interpretazione e trasformazione dello spazio. Il senso vero del libro, constatati i limiti dei modelli di interpretazione e progetto tradizionali, è quello di trarre “camminando” nuove categorie operative per l’architettura: caos, indeterminazione, “liquidità”, mixitè, da maniera di essere e percorrere la realtà contemporanea si proiettano in modi flessibili e dinamici di organizzare e pensare lo spazio. L’invito è alla transurbanza (neologismo che racchiude le origini mitiche dell’operazione) e all’andare a Zonzo, espressioni sintesi di un metodo, quello proposto dal gruppo Stalker, di cui Careri è attivo esponente, che assume lo sguardo dell’”errare” per affrontare una nuova città nomade che è fatta di “luoghi di transito e in transito”, terrains vagues, fuori da ogni controllo e prevedibilità, come un “arcipelago frattale” di geometrie mobili pur presenti nelle strutture urbane che però, troppo distrattamente, abitiamo. Nel libro siamo condotti sulle orme di Caino e Abele, simboli del vivere sedentario e della transumanza nomade, poi nelle costellazioni rituali di menhir e al monolito sacro egiziano Benben -che per primo sorge dal caos- fino al geroglifico del Ka, dio dell’eterno errare, e ancora sulle vie invisibili cantate nei Walkabout degli aborigeni;
o in un Anti-Walk di Anti Arte, con Dada e Surrealisti, in incursioni ai luoghi “banali” della città e in deambulazioni casuali e oniriche per svelare l’ “inconscio” urbano in empatia con il proprio; e naturalmente siamo trasportati alla “deriva”da Lettristi e Situazionisti sull’onda di mappe “psicogeografiche” di traiettorie libere e personali, fino a quella New Babylon, città nomade e ludica estesa al mondo, teorizzata e progettata da Constant, opposta alla città moderna funzionalista;


Allineamento di menhir, Carnac, VII millennio a.C.

E continuiamo nel libro il in una Land Walk tra Minimalismo e Land Art, alla fine degli anni ’60, lungo una linea tracciata calpestando l’erba (R. Long), materializzazione dell’attraversata, o in un viaggio-performance, come l’“odissea urbana” di Robert Smithson per la periferia di New York nel ’67 per un “panorama Zero” di “amnesie urbane” e “futuri abbandonati”, autogeneratisi dall’entropia della città, pronti a diventare i “monumenti urbani” della contemporaneità…

Il sentire-sguardo,“a forza di essere vento” (bella immagine di De Andrè in Khorakhanè), è sempre mobile e aperto alla sorpresa: basta avere capacità di “decentrarsi”, per avere differenti piani di lettura, effetti che non è possibile imbrigliare, cogliere possibilità inaspettate e alternative dove l’occhio stanziale vive e subisce limiti e frontiere.

L’idea di “mappa”, sottesa a tutti i momenti del testo, lungi dall’essere una rappresentazione oggettiva sintetica della realtà, è essa stessa “mobile” come il territorio narrato e il mezzo usato: sistema di connessioni dinamiche della vita quotidiana nel villaggio paleolitico di Bedolina, poema-canto nei Walkabout, brani di cartografie e testi in libertà nelle Métagraphies situazioniste, “mappa siderale” nel racconto di Smithson… sempre proiezione astratta simbolica e narrazione del proprio cammino.


Escursione Dada a Saint-Julien-le Pauvre, Parigi 1921.


Constant, Rappresentazione simbolica di New Babylon, collage, 1969.


Richard Long, A Line Made by Walking, 1967.


Robert Smithson, A tour of the Monuments of Passaic, New Jersey 1967.

Se si sta nel punto di vista dell’“andare nomade”, azzerando la crosta di know how che ci separa da un passato non lontano e da un presente di culture altre che continuano ad avere un sentire non vincolato dalla stanzialità, cosa abbiamo? Un guardare e un camminare off the Road per uno spazio “entropico” con infiniti gradi di libertà, da cui mutuare un atteggiamento epistemologico e di intervento fatto di “legami deboli” e paradigmi non stringenti: l’entropia rimette in circolo il caos, apre all’infinito, all’eventuale, nella misura in cui la quota di energia sospesa viene assunta in una nuova forma, con una potenza massima di strutturazione successiva; Bateson parlerebbe di processi stocastici, il caos come serbatoio inesauribile di infinite combinatorie. Ciò si traduce in un uso “ludico” dello spazio e degli oggetti che lo popolano, spogliati da ogni visione-funzione codificata e totalizzante a priori, investiti di un processo di continua creazione e gemmazione di senso, in grado di assorbire e rilanciare “energia”, non per cellule specializzate ma per cellule germinali.


Asger Jorn, pagina di Fin de Copenhague, 1957

La struttura narrativa, poi, e le possibilità di lettura del libro aprono ad altri vagabondaggi: accanto al testo principale si incontrano le impronte, quasi un ipertesto-labirinto, di innumerevoli percorsi culturali: dal romanzo alla poesia, dal saggio storico, al dizionario-taccuino…da Chatwin a Deleuze, dalla Bibbia a Giedion, da Debord a Breton, da Benjamin a Calvino, da Nomade a Sahel, da Stonehenge a Perdas Litteradas… si può errare tra le riflessioni e le informazioni, i piani e le forme narrative, nei quali il tema dell’“andare” ritorna in vario modo.

E se il movimento informa tutto, e l’errare muove ogni costruzione di senso di emozione e rappresentazione, non ci rimane che infilarci nel caos, come bambini, sempre “a piedi nudi” e “off the road”.

Antonia Marmo
antonia.mar@katamail.com
     
  Questa recensione è stata realizzata in collaborazione con Food for Minds.    
     
 

> WALKSCAPES (ALBERTO IACOVONI)

 
 

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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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