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Leonardo Ricci. Lo spazio inseguito |
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Bartolozzi Giovanni "Leonardo Ricci. Lo spazio inseguito" Testo & Immagine, 2004 Universale di architettura pp93, € 12,39 acquista il libro online! |
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Giovanni ed io condividiamo un banale dato anagrafico: siamo ambedue
di Caltanissetta, luogo che ai più sarà sconosciuto, ma nel quale ad
alcuni capita di nascere e a qualcuno, per quanto sembri incredibile,
addirittura di campare. La differenza tra me e lui è, appunto, questa:
lui c'è nato, ma in realtà sta a Firenze, io, in verità, non ci sarei
nato, ma ci sto. Immobile. A due passi da Caltanissetta, in ogni modo, c'è Riesi, sede di quella che un tempo fu la più vasta miniera di zolfo d'Europa e che oggi, abbandonata e lunare, conduce una specie di non esistenza protratta e mostra a chi vi si trovi a passare come sia facile, da queste parti, dimenticarsi perfino di morire. Ma siccome mi sembra già di vedere, giustamente, più di un piede continentale agitarsi nervosamente sotto la sedia vado subito al sodo. In queste lande, che il longobardo immagina (neppure tanto a torto) occupate da sterminate distese di fichi d'india dalle quali, di tanto in tanto, si solleva un personaggio con le basette e in coppola che chiama a raccolta gli indigeni al suono esotico del marranzano, trova posto il villaggio Valdese di Monte degli ulivi, progettato negli anni Sessanta da Leonardo Ricci. Ecco allora spiegato, forse, l'enigma che vede il nome di Giovanni e il mio accomunati da quello del famoso architetto fiorentino. Dico "forse" perché, in verità, le coincidenze sono tali solo se le si rileva come tali, altrimenti sono solo dati di cronaca. In ogni caso la cronaca vuole che Giovanni Bartolozzi abbia scritto un libro su Leonardo Ricci e che io, nel mio piccolo, mi trovi qui a parlarne. È un volume, questo di Giovanni, ricco di pregi e vorrei, se mi è consentito, enumerarne alcuni. |
[12aug2004] | |||
Villaggio Monte degli Ulivi, Riesi (CL). |
Casa dei Valdesi, Riesi (CL). Primo. È privo di fronzoli. Ha un obbiettivo, lo persegue con schiettezza. Dichiara le sue ammirazioni e i suoi debiti in modo talmente sincero da non potere non essere definito encomiabile. Giovanni ha un modello critico e questo modello è Bruno Zevi. La sua scrittura lascia intravedere in filigrana quella del grande critico romano ma, come capita di solito alle persone di talento, non la ricalca. Non possiamo, così, che essergli grati per avere scritto un libro sull'architettura di Leonardo Ricci non citando né Wright né l'esperienza organica se non, in fondo, per rilevarne la distanza. Secondo. È utilissimo. Leonardo Ricci ha ricevuto, in questi anni, il trattamento che di solito si riserva in Italia a chi ha un talento assolutamente fuori del comune e non percorre sentieri noti: è stato simpaticamente ignorato. Poiché, tuttavia, non basta (come diceva qualcuno) non ricevere riconoscimenti dall'accademia, ma occorre anche non meritarseli, questo libro serve, finalmente, a mettere in chiaro fino a che punto Leonardo Ricci non si meritasse i riconoscimenti di quella pletora di imbecilli che hanno fatto e fanno il bello e il cattivo tempo nella cultura e nelle facoltà d'architettura italiane. Non vale molto, in termini di medaglie, un riconoscimento al demerito, ma, se io fossi Ricci, ne sarei contentissimo. Terzo. È discreto. Non ci infastidisce con quelle mirabolanti imprese di ritorno al futuro con le quali si cercano sempre i precursori dell'ultimo articolo di gazzetta. Imprese che, ieri, hanno visto Kahn e Ridolfi messi in ghingheri dai postmoderni e che vorrebbero, oggi, vedere Ricci in prima fila ad aprire eroicamente la strada alle Zaha Hadid e a Coop Himmelblau. Naturalmente Ridolfi resta, per nostra (non sua) fortuna, incomparabile ai Michael Graves di questo mondo, così come Ricci resta, per nostra (non sua) fortuna, incomparabile a tutti i Daniel Libeskind che costruiscono nel pianeta. Però è tristissimo che molti pensino il contrario perciò il libro è un piccolo ma significativo contributo all'allegria. Casa dei Valdesi, Riesi (CL). Quarto. È coraggioso. Non è certo sintomo di pavidità rilevare, oggi, che l'architettura è fatta da esseri umani per altri esseri umani e non da narcisi fioriti per tuberi da orto, quando sembra che si sia tutti d'accordo nel tacere (il che è peggio che essere d'accordo nel dire...) il banalissimo fatto che l'architettura serve e che dovrebbero usarla le persone. E che la conseguenza di questo mette in crisi tutta la becera trivialità iperattuale perché ci sussurra, molto semplicemente, che non si dovrebbe fare architettura per il mercato dell'arte: è disonesto. Basta così. Non vorrei che, dopo avere letto quello che ne scrivo io, voi non leggeste questo libro, che invece vale molto di più del poco che ne ho detto. Ma, considerato il fatto che l'autore è ancora assai al di sotto dei trent'anni, capirete perché, in realtà, io ho scritto questa nota: è che lo invidio selvaggiamente. Ugo Rosa u.rosa@awn.it |
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto. laboratorio
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