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Books Review

Archaeology of the air.
O'Donnell+Tuomey, architecture

 


Kester Rattenbury
"Archaeology of the air. O'Donnell+Tuomey, architecture"
Navado Press, Trieste 2004
pp. 96, €22,00

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[in english]

 

 

 

 

 

 

 

 

Il libro di Kester Rattenbury, Archaeology of the Air, sul lavoro di O'Donnell e Tuomey, analizza sia l'opera di questa famosa coppia di architetti irlandesi che il tema del limite della parola scritta e delle immagini nel descrivere la natura dell'esperienza architettonica. Le prime frasi del libro denunciano infatti la frustrazione dell'autrice nel rendere per iscritto le qualità di una conversazione con gli architetti che aveva registrato in una precedente occasione. Segue una simile discussione sull'incapacità delle fotografie nel rappresentare l'esperienza dello spazio: l'autrice parla di ambienti infotografabili, non perché non offrano immagini piacevoli ma per la distanza tra la rappresentazione e l'esperienza reale. Il formato del libro, l'uso di diverse modalità fotografiche e lo stile dei testi sembrano tutti dei tentativi per superare questi limiti. È per questa ragione che il formato e la struttura del libro possono difficilmente essere separati dallo specifico soggetto e dal tema della traduzione in generale. Il libro, infatti, invita il lettore a osservare i meccanismi che sono impiegati per affrontare la sfida della traduzione nella critica architettonica, sia essa tra esperienza e immagine, tra il parlato e lo scritto o altro.
 
  [18mar2005]
 
Howth house. Schizzi preliminari.

O'Donnell e Tuomey sono all'avanguardia di una generazione di architetti in Irlanda. Una generazione che crebbe intellettualmente convergendo sui temi della progettazione urbana, del valore civile della città e di un forte senso di identità culturale. Un chiaro esempio di questo impegno è visibile nel progetto per la riconversione del quartiere di Temple Bar che propose una strategia particolare per il riuso di una parte del centro storico di Dublino. Invece di un singolo piano urbanistico con una forma architettonica unificata, il progetto propose una strategia generale all'interno della quale gli architetti potevano intervenire con la propria visione personale. Le nuove linee guida proponevano la creazione di spazi pubblici e di reti di percorsi all'interno del tessuto storico di Dublino. Benché il progetto avesse un'identità chiara e forte, non dipendeva da un intervento architettonico unico. Ogni architetto poté invece sviluppare un'area specifica con un proprio cliente e programma. I progetti di O'Donnell e Tuomey per la Gallery of Photography e il National Photographic Archive (nonché la piazza tra i due edifici) furono elementi chiave nello sviluppo dell'intero piano urbanistico. Infatti il loro progetto per l'Irish Film Center del 1992 precedette e, in un certo senso, anticipò i più ambiziosi interventi del piano per Temple Bar. L'influenza degli scritti di Aldo Rossi in questi progetti è evidente, non tanto nelle forme architettoniche quanto nella comprensione della città e dei suoi meccanismi di trasformazione. È interessante notare come le due nazioni europee dove l'influenza delle idee di Rossi ha avuto un effetto più profondo siano l'Irlanda e la Spagna. In entrambe, le sue idee sulla città furono assorbite ben oltre la mera forma architettonica e andarono a costituire complesse elaborazioni che ripensavano l'identità urbana.

   
 
Howth house. Geometria del progetto.


Howth house. Veduta dell'esterno, la casa si affaccia a nord verso la baia di Howth.

Il lavoro di O'Donnell e Tuomey è sicuramente cresciuto in termini sia di scala che di articolazione. Come spiega Kester Rattenbury nel libro, le loro architetture possiedono grande maturità e qualità, hanno una forte presenza formale ma non ricadono in uno stile riconoscibile. Ispirano ma non possono essere copiate; ogni progetto costituisce una precisa riflessione su temi che riguardano il sito, la cultura, il contesto sociale nonché sull'architettura come disciplina. Il loro lavoro è un esempio di quella che Kester Rattenbury chiama la dimensione profetica e civile dell'architettura. Essi combinano diverse forme di coinvolgimento con la città e il contesto mentre, allo stesso tempo, mantengono vivo un senso di esplorazione che ha valore all'interno della loro ricerca personale.


Howth house. Veduta dell'interno.
 
Il libro, pubblicato da Navado Press, coincide con la partecipazione di O'Donnell + Tuomey alla Biennale Architettura del 2004 a Venezia e presenta cinque progetti costruiti, selezionati dalla loro produzione recente. Si può facilmente percepire, tuttavia, che il libro analizza in dettaglio due case private (Howth e Hudson). Gli altri tre progetti, le case popolari a Galbally, la scuola a Ranelagh e il Furniture College a Letterfrack, costituiscono dei punti di riferimento per presentare il lavoro di O'Donnell e Tuomey ed espandere i temi sviluppati nelle case. Nella presentazione delle due residenze possiamo infatti capire meglio le intenzioni e l'approccio di Kester Rattenbury. Questo non è un libro di teoria né cerca di posizionare il lavoro degli architetti nel dibattito contemporaneo; è invece un intenso e, a tratti intimo, percorso attraverso il processo di costruzione delle due case, costruzione intesa in termini fisici, sociali e intellettuali. Il libro infatti non indaga solamente le idee degli architetti e i loro ragionamenti sul sito e il programma, bensì fa conoscere al lettore il punto di vista del cliente, sottolineandone il dialogo con l'architetto, rivela le difficoltà con le autorità locali che non accettavano che un edifico contemporaneo potesse avere una relazione positiva con un luogo. Il volume propone non uno ma diversi viaggi che, insieme, costruiscono un nuovo modo di vedere e comprendere il lavoro architettonico. C'è, infatti, il saggio principale che è integrato da citazioni di lettere dei clienti e da affermazioni raccolte dagli architetti stessi; ci sono le molteplici narrazioni, costituite da diverse e complementari forme di rappresentazione. Vi sono poi le foto in bianco e nero che cercano invariabilmente di catturare lo spazio, sia esso quello dell'edificio durante la costruzione o il vuoto di un'architettura fatta di materialità, luce e forma. Ci sono le foto a colori, più convenzionali, ben composte e pronte per la pubblicazione in una rivista di settore. Ci sono poi quegli scatti informali che sembrano presi da un album di famiglia e che immortalano momenti casuali nella vita della casa o della scuola, quando la famiglia si rilassa o i bambini sono accolti dai loro genitori all'uscita dalle classi. Naturalmente abbiamo anche i disegni e le vedute dei plastici di progetto nonché una significativa selezione degli schizzi degli architetti che costituisce una finestra sul loro metodo di lavoro. Tuttavia, è l'immersione nel testo che rivela le vere intenzioni del libro. La prima frase (lost in translation) esprime la preoccupazione per i limiti imposti dalla scrittura nell'esprimere sia l'esperienza dell'edificio sia nel rendere la qualità del parlato. Parole scambiate a tavola o in viaggio tra architetti e clienti, parole che evaporano quando si cerca di metterle in forma scritta. C'è un gran senso di lucidità da parte dell'autrice nel condividere questi limiti e c'è anche la coscienza del pericolo del consumo dell'architettura o della sua riduzione a pura immagine. In sintesi, il formato del libro è un coraggioso e riuscito tentativo di affrontare i limiti del mezzo espressivo della critica architettonica: le distanze tra scrittura e parola, tra immagine ed esperienza, tra il momento della concezione e la costruzione.


Letterfrack furniture college. Schizzo di progetto.


Ranelagh school. Vista dalla strada.

In un certo senso, il libro è un collage di frammenti: diversi testi (quello dell'autrice, degli architetti, dei clienti), diverse forme rappresentative con l'uso di molteplici tipi di fotografie, disegni e schizzi di progetto. La cosa interessante è che tutti i frammenti si ricongiungono per produrre un effetto d'accumulo o, forse, di ridondanza (Umberto Eco descrive la retorica come basata su fasce di ridondanza) che costruisce una visione del lavoro che sarebbe impossibile utilizzando ognuno di questi mezzi da solo. Non si può non ricordare qui il testo di Walter Benjamin sul ruolo del traduttore, ove egli afferma che ogni traduzione è una nuova creazione, e questo è vero non solo nella trascrizione da una lingua all'altra ma anche nel rapporto tra architettura e testo, tra esperienza e retorica. Attenderò con interesse i nuovi libri di Kester Rattenbury perché penso che la sua esplorazione della critica e della rappresentazione in architettura sia molto promettente (vedi il libro sulla ricezione dell'architettura da parte dei media). Per quanto riguarda il lavoro di O'Donnell e Tuomey, dichiaro la mia ammirazione per la loro opera e spero di vedere il loro ufficio crescere con edifici che continuano a sorprendere.

Francisco Sanin

fesanin@syr.fi.it
   
    Sheila O'Donnell e John Tuomey iniziano la loro collaborazione nel 1988. Lo studio si distingue in campo internazionale per la realizzazione di edifici culturali ed educativi tra i quali l'Irish Film Centre, la Scuola di Ranelagh e il Furniture College a Letterfrack. O'Donnell & Tuomey hanno inoltre realizzato numerosi piani urbanistici che includono la riqualificazione urbana di Temple Bar a Dublino e Zuid Poort a Delft. Entrambi insegnano alla Facoltà di Architettura di Dublino e sono stati visiting professors in varie università nel Regno Unito e Stati Uniti tra cui AA, Cambridge, Princeton, Harvard and Syracuse. Le loro opere sono state oggetto di molte pubblicazioni e mostre e hanno vinto numerosi premi nazionali e internazionali. Attualmente lavorano alla progettazione di edifici universitari e residenziali, scuole, ed edifici pubblici in Irlanda e Olanda.    
       
       

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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