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Conversazione a Dublino

Elena Carlini e Pietro Valle
Elena Carlini e Pietro Valle incontrano Sheila O'Donnell e John Tuomey, tra i più apprezzati architetti irlandesi, per discutere tre complessi scolastici da loro costruiti. Dal dialogo emerge l'importante responsabilità culturale dei due progettisti nel volere definire una linea architettonica irlandese attenta ai fenomeni internazionali ma anche sensibile al contesto locale. Rigore metodologico, capacità di ridefinire il ruolo delle istituzioni, contestualismo poetico e articolazione tettonica sono tutti aspetti dibattuti con lucida coscienza critica.




[in english] Nel mondo dell'architettura contemporanea dominato dalle immagini, il lavoro degli architetti irlandesi Sheila O'Donnell e John Tuomey costituisce un atto di resistenza contro il facile consumo. Negli ultimi 15 anni, i due hanno costruito diverse strutture rinnovando l'architettura irlandese con rigore progettuale e invenzione poetica. Dopo avere studiato a Dublino negli anni '70, O'Donnell e Tuomey si trasferirono a Londra per lavorare con James Stirling. Lì assorbirono non solo la tecnica del collage del maestro inglese ma anche gli orientamenti di analisi urbana presenti nelle scuole razionaliste continentali. Di ritorno in Irlanda, cercarono di inserire questa visione europea nella timida scena locale. Lavorarono in collaborazione con altri a diversi progetti urbani e, all'inizio dello scorso decennio, formarono il Group 91 con dieci studi di architettura. Il gruppo presentò una proposta per il risanamento del derelitto distretto di Temple Bar nel centro di Dublino e il progetto fu accettato dal governo in quanto proponeva la conservazione della forma urbana con nuovi usi. Nei dieci anni successivi, il quartiere ha cambiato volto, divenendo un luogo molto frequentato e ricco di vita. A Temple Bar, O'Donnell e Tuomey hanno costruito emblematici edifici pubblici come l'Irish Film Center, il National Photography Center e i Photography Archives, tutti sensibili inserti contemporanei nel tessuto storico. Da allora, il duo ha completato diverse strutture tra cui scuole, complessi di housing, un golf center e molte residenze private. Al momento stanno lavorando a due nuovi progetti in Olanda.

L'architettura di O'Donnell e Tuomey è caratterizzata da varietà tettonica e spaziale legata ai diversi luoghi dove i loro progetti sono collocati. I due architetti reagiscono all'isolamento culturale dell'Irlanda, storicamente dominata da altre nazioni, con un'incredibile sensibilità critica che guarda sia verso molteplici riferimenti lontani sia alla natura del vicino contesto. Questa duplice capacità di focalizzare e distanziarsi, li ha anche portati a ridefinire il significato di molte istituzioni pubbliche ereditate dal dominio inglese o dal controllo della chiesa cattolica. O'Donnell e Tuomey hanno affrontato il compito di ri-orientare queste istituzioni a un uso contemporaneo e, in quest'ottica, vanno studiati i progetti scolastici che qui presentiamo.

La Ranelagh Multidenominational School è una scuola elementare localizzata in un quartiere storico di Dublino vicino al development Georgiano di Mountpleasant Square. Il nuovo edificio risponde alla scala della strada dividendosi in molteplici 'case' di mattoni mentre sul retro esso è unificato da una pergola e una loggia di legno.
Il Furniture College a Letterfrack nell'Ovest dell'Irlanda trasforma un campus vittoriano in una nuova scuola tecnica per mobilieri. Il piano generale di O'Donnell e Tuomey modifica l'ingresso assiale al complesso, creando una dolce curva lungo la quale si incontrano edifici diversi. Finora sono stati costruiti i due laboratori di falegnameria, grandi 'fattorie inclinate dal vento', ma presto sorgeranno una biblioteca e una struttura per l'amministrazione assieme a vari spazi pubblici.
La galleria d'arte dell'University College Cork, iniziata recentemente, è un padiglione nel verde. Un plinto di pietra lega la nuova struttura a un contrafforte di arenaria naturale che circonda l'intero campus. Da esso si innalza una struttura aggettante rivestita di legno che fluttua tra le cime degli alberi e offre ampie vedute sul sottostante fiume. Questo guscio sospeso è composto da una serie di spazi che ascendono gradatamente dal terreno.




PIETRO VALLE: Quali sono gli elementi che prendete in considerazione quando progettate?

JOHN TUOMEY: Siamo molto coinvolti dalla relazione con il luogo. Non pensiamo che i nostri edifici debbano offrire soluzioni immediate a esigenze funzionali. Li consideriamo, invece, delle letture del contesto.

SHEILA O'DONNELL: Il carattere di un luogo è il risultato complesso di diversi fattori: fisici, sociali, estetici e materiali. Nei nostri progetti, cerchiamo di evitare riferimenti diretti all'architettura storica: a volte abbiamo sintetizzato alcuni elementi della tradizione ma mai citandola direttamente. Tentiamo invece di individuare cosa è importante per noi in quel posto e cosa può essere trasmesso nella situazione contemporanea.

[21mar2003]

Ranelagh Multidenominational School, Dublino. Planimetria generale
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Veduta del playground
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Un blocco aule
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Interno di un'aula
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O'Donnell + Tuomey. Ranelagh Multidenominational School, Dublino 1998. Veduta dalla strada
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PIETRO VALLE: C'è quindi una relazione ma anche una mediazione del luogo.

SHEILA O'DONNELL: Penso che si tratti dello sforzo di individuare qualcosa che non appare a prima vista.


Ranelagh Multidenominational School, Dublino. Pianta
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Plastico
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JOHN TUOMEY: È molto importante, tuttavia, distinguere la nostra posizione da un atteggiamento conservativo. Noi trattiamo la storia come una presenza culturale viva. Il problema di molta cultura contemporanea è che divide il mondo in conservatori e modernisti, bloccando qualsiasi contatto creativo tra le cose che sono attuali, sia che esse appartengano al passato o al presente. Se si prende in considerazione l'intero spettro di quello che è vitale oggigiorno, si può essere culturalmente radicali operando nella continuità temporale. Come architetti, abbiamo scoperto che possiamo relazionarci a progetti innovatori anche se essi appartengono alla storia: non devono essere necessariamente attuali. Allo stesso modo, nel nostro lavoro, siamo meno preoccupati del look contemporaneo o delle citazioni storiche e ci impegniamo affinché quello che progettiamo si adatti alla conformazione dell'esistente, anche se ciò implica un contrasto con esso.

PIETRO VALLE: L'Irlanda presenta oggigiorno due aspetti particolari. Il primo è il radicale cambiamento socio-economico avvenuto negli ultimi dieci anni e legato alla presenza di molte realtà che si occupano di nuove tecnologie, il secondo è il controllo che altre culture hanno esercitato sulla storia del paese e che ha provocato il distacco della gente da un ambiente costruito 'importato' dall'Inghilterra. Come rispondete a questi due aspetti? Come influenzano il vostro impegno progettuale?

SHEILA O'DONNELL: A Dublino gli edifici più importanti e il tessuto urbano sono ancora visti da molti come qualcosa di imposto dall'esterno. Penso tuttavia che l'ambiente fisico, anche se costruito dagli inglesi, sia molto diverso da quello dell'Inghilterra. Dublino e Londra sono molto distanti anche se hanno entrambe interi quartieri costruiti durante il periodo Georgiano. In definitiva però, non credo che questa tradizione straniera sia un elemento che influenzi negativamente la nostra percezione del luogo.

JOHN TUOMEY: Non siamo in una condizione post-coloniale. La generazione dei nostri genitori aveva un atteggiamento post-coloniale: non ammettevano che le cose che li circondavano gli appartenessero, non rivendicavano alcun diritto sullo spazio. I maggiori monumenti di Dublino furono trascurati dopo l'indipendenza dell'Irlanda perché la gente vedeva una frattura tra le proprie aspirazioni e il significato dei manufatti. Il castello di Dublino, il centro della città, è stato ignorato per generazioni perché identificato con il governo inglese. Qualsiasi forma urbana strutturata era vista come importata o, meglio, trapiantata. La nostra generazione è stata la prima a capire che la persistenza dei monumenti aveva un significato diverso da quello più propriamente storico. Cominciammo a percepirli come uno sfondo inevitabile e famigliare contro il quale si stagliavano le nostre vite. Non avevamo il dilemma di opporci a qualcosa che ci condizionava. Eravamo i primi che apprezzavano l'architettura senza preconcetti ideologici e il nostro istinto ci fece guardare verso l'Europa. Questo è un modo per definire la nostra generazione di architetti in Irlanda: guardammo all'Europa per orientarci.


PIETRO VALLE: Che cosa consideraste?

JOHN TUOMEY: Ci siamo laureati nel 1976, l'anno in cui il libro "L'Architettura della Città" di Aldo Rossi fu pubblicato in Inglese. Esso ebbe una grande influenza su di noi perché scoprimmo qualcuno che parlava un linguaggio comprensibile, quello della continuità della città europea. Allo stesso tempo non eravamo influenzati dall'America come la generazione di architetti che ci precedeva perché avevamo lavorato in Inghilterra. Questa formazione inglese fu sicuramente privilegiata ma percepimmo che non avrebbe definito completamente il nostro orizzonte culturale. Cercammo quindi di reimmaginare Dublino come una città europea e di studiare anche gli edifici nel paesaggio come parte di un grande progetto metropolitano.

SHEILA O'DONNELL: Siamo stati a Londra per 5 anni dopo esserci laureati a Dublino. Vivere in Inghilterra, tornare per delle visite e, infine, ristabilirci qui, ci ha reso coscienti di quanto sono diverse fisicamente l'Irlanda e l'Inghilterra. Prima pensavamo che le città e anche gli edifici nel paesaggio fossero simili. La distanza ci ha fatto capire quanto particolare è l'ambiente qui.


Furniture College, Letterfrack. Veduta da nord
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Interno della sala macchine
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O’Donnell + Tuomey. Furniture College, Letterfrack, Irlanda 2001. Laboratori di restauro mobili
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PIETRO VALLE: In che modo la coscienza dell'ambiente antropizzato irlandese ha influenzato il vostro lavoro?

JOHN TUOMEY: Non vorrei che fossimo equivocati come difensori di una sorta di 'anima irlandese'. La nostra posizione si è evoluta verso una sempre maggiore inclusione di stimoli diversi. All'opposto di molti architetti europei, non avevamo una tradizione da rispettare né maestri da ossequiare. Il nostro ruolo fu invece quello di introdurre una cultura architettonica in Irlanda. Non reagivamo contro un ambiente esistente, tentavamo solo di porre le basi per un nuovo modo di vedere e questo ci ha reso abbastanza rigorosi, soprattutto all'inizio della nostra carriera. Cercavamo di definire dei principi con cui un'architettura potesse essere praticata, sia in Irlanda che in generale. Il nostro metodo era influenzato da movimenti di analisi urbana affermatisi in Europa all'inizio degli anni '80.


Furniture College, Letterfrack. Sotto Diamond Hill
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Ingresso.


SHEILA O'DONNELL: Cercavamo di capire cos'era peculiare dell'Irlanda ma, come ha detto John, questa ricerca era una scusa per introdurre rigore progettuale e capacità analitica. Percepimmo che, storicamente, gli edifici qui si stagliavano decisi nel paesaggio, come volumi primari, mentre in Inghilterra tendevano a mediare la loro presenza con l'informalità e il pittoresco. Dopo essere tornati da Londra, passammo diverso tempo a osservare il paesaggio viaggiando in lungo e in largo il paese. Facemmo dei progetti che erano quasi degli studi dell'ambiente locale e questo ci aiutò enormemente ad assorbirlo. Oggigiorno, per situare un edificio in un contesto, ci lasciamo più guidare dall'intuizione ma allora, nei primi anni '80, volevamo sempre effettuare un'analisi di specifiche strutture del passato.

JOHN TUOMEY: Penso che, ancora oggi, non siamo degli architetti molto liberali. Il nostro lavoro è radicato nel metodo tipologico e abbiamo bisogno di sentire che c'è una base razionale per i diagrammi dei nostri progetti. Questo è quello che ci ha formato ma non è necessariamente quello che andiamo cercando. Anche all'interno del rigore metodologico, nei nostri edifici cerchiamo una componente evocativa, qualcosa che abbia una risonanza psicologica o emotiva.

ELENA CARLINI: Parlateci della vostra recente esperienza in Olanda.

SHEILA O'DONNELL: Stiamo costruendo due progetti in Olanda: uno è un complesso multifunzionale a Delft, in un contesto urbano storico tutto costruito nel '500 e '600. Siamo rimasti molto colpiti dalla materialità di Delft con la presenza del laterizio e poi c'è un legame storico con la nostra realtà. Dublino è tutta costruita di mattoni ma molto diversi da quelli di Londra: sono mattoni olandesi arrivati in Irlanda nel '600 e '700 sulle navi dove erano usati come zavorra. Quando gli inglesi portarono via tutte le ricchezze dal nostro paese, lasciarono in cambio i mattoni presi in Olanda e tutta la Dublino Georgiana fu costruita con essi.

JOHN TUOMEY: L'architettura urbana di Delft ci ha colpito perché priva di qualsiasi gerarchia. L'Olanda è la terra dell'uomo comune: i quartieri residenziali non sono divisi per classe sociale. Non c'è la dualità del palazzo e della capanna. Per noi, questa 'democrazia' e mancanza di pretese, sono molto stimolanti. D'altra parte, abbiamo sofferto perché non siamo riusciti a adattarci a un paese che crede così fortemente nei sistemi. L'intera Olanda è una piattaforma funzionale. Il paesaggio è completamente artificiale: è altamente complesso per come sfida la natura ma, allo stesso tempo, è incredibilmente semplice e le cose non hanno profondità, sono pure soluzioni. Abbiamo delle difficoltà ad accettare che un sistema diventi realtà così linearmente. Ci piacciono le cose 'aggrovigliate' e non quelle lineari.

ELENA CARLINI: Si pensa sempre di trovare dei livelli di complessità ma in Olanda è raro.

JOHN TUOMEY: Questo è problematico: la poetica o il mistero non sono solo dei concetti astratti per noi, sono delle strategie per sopravvivere al quotidiano. Nei Paesi Bassi essi non appartengono al retaggio comune e così noi ci scopriamo un po` romantici rispetto agli olandesi. Non avremmo mai pensato nulla di simile prima di iniziare questi due lavori.


Furniture College, Letterfrack. Plastico in sezione
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Schizzo ideativo
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Art Gallery and Restaurant, University College Cork. Veduta dal fiume.


Plastico
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O'Donnell + Tuomey. Art Gallery and Restaurant, University College Cork, Irlanda 2002-2004 (in costruzione).
Veduta dal campus.

PIETRO VALLE: La reazione a un paese diverso mette a fuoco il vostro essere legati a una specifica cultura locale.

JOHN TUOMEY: Questo non è completamente vero. Siamo stati recentemente in Giappone per prendere parte a una mostra sull'architettura europea contemporanea. Pensavamo che il Giappone fosse il paese più culturalmente remoto dall'Europa e invece abbiamo entrambi intuito che negli usi quotidiani c'erano delle cose che non avremmo mai potuto penetrare, dei rituali, dei misteri. Questo ci ha fatto sentire molto più a casa in Giappone che nelle pianure dell'Olanda.

SHEILA O'DONNELL: I cambiamenti del Giappone ci hanno colpito. Tokyo ha degli edifici contemporanei che sono previsti durare solo 25 anni perché i costi dei terreni sono molto più alti di quelli delle strutture e così i lotti devono essere continuamente rivalutati. D'altra parte, i giapponesi sono riusciti a coniugare un'incredibile velocità dei cambiamenti con una forte continuità culturale. Questa compresenza è stratificata e si scopre che, dietro alle apparenze, la cultura giapponese è sopravvissuta quasi intatta senza troppe concessioni all'Occidente. Solo gli edifici sono cambiati ma, nelle altre cose, c'è un impegno culturale che veramente impressionante.

PIETRO VALLE: Nel discutere di continuità culturale, parliamo del ruolo delle istituzioni in architettura. A Temple Bar non avete solo inserito una nuova struttura nel tessuto urbano storico ma anche definito delle istituzioni pubbliche che hanno ri-orientato il quartiere verso un uso collettivo. Quale pensate sia il ruolo dell'architettura contemporanea nell'informare tali istituzioni?

SHEILA O'DONNELL: Siamo stati fortunati nel progettare un edificio pubblico, o meglio un edificio culturale (non lo chiamerei un'istituzione) nella città storica. Lavorare sul tessuto urbano esistente ci ha fatto capire che gli edifici del passato e del presente convivono nello stesso periodo temporale e bisogna sapere immaginare che ruolo avranno entrambi nella contemporaneità. È difficile pensare come una struttura storica possa incorporare una nuova funzione senza esserne semplicemente occupata: nel National Film Center il cinema, un arte del ventesimo secolo, doveva trovare casa in una sala comunitaria quacchera del 1700. Com'è che un edificio si appropria di un'attività che avviene al suo interno? Questo era il punto critico del progetto e ci abbiamo messo un po' per giungere a una soluzione anche se il processo ci ha fatto riflettere sui rapporti tra tempo e architettura. Quasi per caso, dopo Temple Bar, ci sono stati commissionati diversi progetti di riconversione di strutture pubbliche esistenti, che prevedevano l'inserimento di nuovi usi in edifici storici. Nel caso della sala quacchera, il significato esistente dell'istituzione era positivo, in altri casi meno, trattandosi di strutture coercitive.

PIETRO VALLE: Nel vostro lavoro, non c'è forse la tendenza a rompere istituzioni monolitiche in parti discrete, andando a formare quasi delle città in miniatura composte da molteplici elementi? Penso alla Ranelagh School come una serie di case o al Furniture College a Letterfrack come a un paesaggio composito.

JOHN TUOMEY: Sicuramente. 'Istituzione' è una parola eccitante e pericolosa perché c'è sempre la tentazione del potere mentre noi crediamo fortemente nell'idea di un ambiente collettivo democratico. La richiesta di creare un'istituzione è interessante perché le istituzioni non sempre rappresentano il meglio della società. Tuttavia, è possibile modificare le definizioni attraverso l'architettura e così, quando ci commissionarono la Ranelagh School, tentammo di trasformarla in una micro-città. Stiamo iniziando proprio adesso a lavorare al progetto di estensione di quella scuola; è interessante ritornare e dire: "Sì, non è ancora finita, può crescere ancora" perché le città crescono e quindi perché non potrebbe cambiare anche lei? Sono dieci anni che l'abbiamo progettata ed è in uso da cinque: andiamo a riconsiderare quindi una sorta di organismo vivente che riproduce un'idea di società e di urbanità. Nell'Irlanda contemporanea, siamo stati collocati nel ruolo di coloro che riportano la fiducia nelle istituzioni o che permettono alle istituzioni di sopravvivere alle trasformazioni senza essere abbandonate. Questo non vuole dire che pensiamo in termini 'istituzionali', anzi, noi operiamo sempre in termini 'societari'. C'è sempre una condivisione dello spazio pubblico e questa coscienza informa tutta la nostra architettura.

PIETRO VALLE: Parliamo più approfonditamente di tre strutture educative: la Ranelagh School, Il Furniture College a Letterfrack e l'Art Gallery all'University College Cork. Hanno programmi diversi (scuola elementare, campus specializzato nelle arti applicate e spazi pubblici per un college) in contesti specifici: urbano, rurale e un insediamento universitario.

JOHN TUOMEY: La prima, Ranelagh, è una città; la seconda è una lettura del paesaggio, la terza un padiglione nel parco.

SHEILA O'DONNELL: Letterfrack comporta la modificazione di un'istituzione autoritaria con memorie incredibilmente forti mentre Cork ha luogo in un paesaggio meno 'carico'.

JOHN TUOMEY: L'Art Gallery è tuttavia figlia degli altri due progetti. La modellazione del terreno su cui poggia l'edificio è il tema comune. La galleria non è adagiata nel prato come un padiglione: noi configuriamo il terreno che dà origine alla struttura e questo basamento estende un contrafforte naturale di arenaria che circonda l'intero campus di Cork. Il plinto reitera la struttura del luogo e, una volta avvenuto questo, l'edificio può sorgere. La galleria è una struttura che 'legge' il sito così come fa il Furniture College. Il primo compito a Letterfrack è stato quello di ri-descrivere la struttura del paesaggio e questo è venuto prima di ogni considerazione funzionale, tipologica o economica.

PIETRO VALLE: La materialità ha un ruolo importante in questi progetti. Non esitate a trattare le parti degli edifici con materiali diversi, definendo la loro molteplicità urbana in termini fisici. I vostri edifici sono tettonicamente diversi gli uni dagli altri, relaziondosi essi 'materialmente' ai luoghi.


Art Gallery and Restaurant, University College Cork. Prospetto est
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Prospetto nord
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Piano
terra.


Primo piano
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Secondo piano
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JOHN TUOMEY: L'aspetto materiale, sviluppato da Sheila, spesso precede altre considerazioni e dà una risonanza a progetti altrimenti schematici o formali.

SHEILA O'DONNELL: Esso è relazionato al carattere del luogo che può essere riflesso attraverso i suoi materiali. È importante non usare i materiali locali in maniera mimetica ma introdurne degli altri per creare un contrappunto.

JOHN TUOMEY: Non cerchiamo solamente l'effetto visivo, anzi vogliamo che il materiale dialoghi con il luogo.

PIETRO VALLE: Il superamento di singole categorie tettoniche rompe l'omogeneità dell'edificio.

JOHN TUOMEY: Il giorno dell'inaugurazione della Gallery of Photography a Temple Bar, si tenne un piccolo rinfresco sul tetto della nuova struttura. Eravamo appoggiati al parapetto rivolti verso l'edificio dall'altra parte di Meeting House Square, i Photography Archives, quando uno dei soci fondatori mi disse: "Siamo fortunati ad avere voi come architetti. Avete capito lo spirito del nostro edificio. Sono così contento che non abbiamo preso quei disgraziati che hanno progettato quella cosa là di fronte!" Lo ringraziai senza spiegargli che eravamo noi quei disgraziati che avevano progettato quella cosa là di fronte... tuttavia fui colpito dall'idea che per noi il nostro lavoro è un processo continuo ma non c'è un edificio che assomiglia all'altro.

PIETRO VALLE: Penso che quel signore ti abbia fatto il più bel complimento della tua carriera.

JOHN TUOMEY: Quando ricevemmo l'incarico per Letterfrack, all'inizio fu dura: primo, il luogo è lontano, secondo, il cliente non aveva soldi e, terzo, il programma funzionale continuava a cambiare senza punti fissi. Tuttavia, all'interno di vincoli che sembravano imporre una soluzione rapida, cercammo la complessità e, nel primo schema, progettammo tre strutture completamente diverse che esprimevano il nostro interesse per l'idea di differenza.

SHEILA O'DONNELL: C'è, tuttavia, una continua evoluzione nel nostro lavoro. In altri progetti non usiamo lo stesso approccio: per esempio, nelle scuole che stiamo progettando a Utrecht in Olanda e a Cherry Orchard nei dintorni di Dublino, cerchiamo un'unitarietà da opporre ad anonimi contesti suburbani, soprattutto nel secondo sito.

PIETRO VALLE: Questo dimostra che la 'diversità' non diventa un cliché nel vostro lavoro. La usate quando serve.

JOHN TUOMEY: Nei nostri rapporti pretendiamo la diversità di opinioni. Ognuno di noi articola una posizione e non lavoriamo mai senza discutere animatamente. Ci aspettiamo che il nostro lavoro sia discusso da altri. Questo implica anche che dobbiamo essere capaci di descrivere il nostro lavoro a non-architetti in modo che esso significhi qualcosa per loro e senza che noi abbandoniamo i nostri termini di riferimento. Abbiamo lavorato nello studio di James Stirling e lui crebbe nella dura realtà inglese dove non poteva menzionare parole come 'estetica' a un cliente altrimenti quello scappava. Così Jim considerava l'architettura come un linguaggio segreto parlato solo dagli architetti. Tutto ciò andò avanti finché non cominciò a lavorare in Germania, nel periodo in cui entrammo nel suo ufficio. Imparammo molto da lui perché, in quel preciso momento, stava cercando di aprirsi per relazionare quello che stava facendo al mondo circostante. Con un tale esempio, noi oggi non saremmo soddisfatti di avere un idea che non possa essere spiegata a una persona comune.

ELENA CARLINI: L'architettura sta diventando sempre più elitaria e i progettisti parlano un linguaggio specializzato.

JOHN TUOMEY: "Ti piace vivere lì?". "No, non mi piace". Si risolverebbero molte cose a porre domande così dirette. Nello sviluppare sia la Ranelagh School che il Furniture College, un aspetto importante fu di dare ai clienti dei concetti che essi potessero fare propri. Tu parli a comitati di cittadini di un piccolo centro rurale o a membri di una cooperativa e discuti idee complesse come la struttura del paesaggio, la deformazione di una tipologia o la trasformazione di un'istituzione. Per credere al progetto, devono convincersi che l'hanno ideato loro.

SHEILA O'DONNELL: È l'idea di appropriazione. Siamo convinti che gli edifici che progettiamo debbano essere capiti dalle persone a cui sono destinati: devono sentire che possono impossessarsi dell'edificio. Siamo stati fortunati ad avere clienti ricettivi per questi tre progetti. nel caso di Letterfrack, abbiamo avuto degli incredibili incontri pubblici, prima con il comitato direttivo, poi con gli azionisti della cooperativa che controllava la scuola, gruppi di centinaia di residenti di questa remota penisola dell'Irlanda Occidentale.

JOHN TUOMEY: Riguardo agli edifici che ospitavano i laboratori di falegnameria, raccontammo che essi sono piegati dal vento perché nell'ovest dell'Irlanda non c'è un albero che cresce diritto a causa delle fortissime correnti d'aria che arrivano dall'Atlantico. Parlammo così: "Immaginate che i laboratori siano delle fattorie che si sono inclinate e questo per due ragioni: una è la spinta del vento e l'altra è il potere dell'istituzione centrale del campus verso il quale queste strutture si piegano". Quell'intero gruppo di persone capì quest'idea e ciò gli permise di immaginare che potevano costruire un edificio che non assomigliava a nessuna delle strutture presenti nel luogo. Per l'Art Gallery a Cork abbiamo sviluppato una simile narrativa per descrivere il progetto dal punto di vista del cliente. Siamo andati dal comitato del college dicendo: "Immaginate un guscio di legno che fluttua tra gli alberi, si adatta alla loro presenza e permette una veduta del fiume". Raccontandolo diverse volte a noi stessi e a loro, il progetto si è sviluppato.

SHEILA O'DONNELL: Per la Ranelagh School abbiamo lavorato in maniera simile. Passò molto tempo tra il progetto e la costruzione ma, a un certo punto, ci fu chiesto di scrivere un pamphlet intitolato 'Il motivo per una nuova scuola'. In esso immaginammo l'edificio, descrivendone la faccia dura verso la strada e la maggiore apertura sul retro.

JOHN TUOMEY: Il nostro riferimento principale per Ranelagh fu la Glasgow School of Art di Mackintosh, il cui diagramma la rende un progetto molto razionale. Ha i corridoi diritti, le scale al termine di essi, un ingresso centrale leggermente disassato e una categorizzazione degli spazi didattici che permette di non avere interruzioni strutturali. Mackintosh, senza le sue linee fluenti, potrebbe andare a nozze con Giorgio Grassi e la nostra scuola inizia proprio con la linea retta, le stanze davanti, gli uffici dietro e il cortile sul retro. È molto consolante, tuttavia, sapere che lo scheletro strutturale non determina la soluzione finale, dà solo un diagramma attorno al quale l'edificio si evolve. Dopo di che c'è l'idea dei mattoni, l'idea del legno e l'idea della scuola come una piccola città. Il diagramma non crea complicazioni ma, essendo relazionato tipologicamente a dei precedenti, offre complessità, libertà compositiva e può essere capito da altri.

PIETRO VALLE: Visti i numerosi riferimenti che portate in ogni progetto, quali sono gli architetti che vi interessano di più in Europa.

JOHN TUOMEY: Ci è sempre piaciuta molto la severità dell'architettura inglese degli anni '50. Il Neobrutalismo è veramente la nostra base.

SHEILA O'DONNELL: Quando eravamo studenti ci siamo letti tutti gli Smithson e Banham.

JOHN TUOMEY: È molto eccitante per noi incontrare Alan Colquhoun perché sappiamo che viene proprio da quell'esperienza. Guardando più al presente, siamo molto affezionati alla scuola di Porto. Ci riferiamo all'architettura portoghese come esemplare. Amiamo molto la sensibilità nordica, non tanto i contemporanei ma la tradizione moderna di Aalto, Asplund e Lewerentz. Non ci interessa quello che avviene in Francia. Siamo lontani anni luce dall'architettura contemporanea olandese per quanto essa è diventata un fenomeno di successo mondiale. La condizione semi-psicotica di venire da un paese il cui terreno non ha forma è straordinaria. Tutta quella scuola di architettura cerca disperatamente di avere una collina e sono disposti a manipolare una soletta in qualsiasi modo pur di imitare una topografia che gli manca. Poi, però, quella condizione psicotica invade il mondo e tutti la imitano.

SHEILA O'DONNELL: Sono riusciti a convincere molti architetti che i loro sono temi universali ma, in realtà, sono specifici del loro paese.

JOHN TUOMEY: I loro problemi non sono i nostri problemi.

Fotografie e disegni: courtesy of Sheila O'Donnell e John Tuomey. Si ringrazia John McCourt per la revisione del testo inglese.

> O'DONNELL+TUOMEY

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