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Mario Ridolfi, architetto

Vinicio Bonometto





Enrico Valeriani, a cura di
"Mario Ridolfi, architetto"
"
Controspazio " 114/115
2005



 
La rivista"Controspazio"è stata fondata nel 1969 da Paolo Portoghesi, che l'ha diretta fino al 1983. Attuale direttore della testata romana è Renato Nicolini.

Devo rettificare quanto ho scritto nell’articolo precedente in merito alle iniziative legate all'anniversario dei cento anni dalla nascita di Mario Ridolfi. La volta scorsa infatti recensendo il numero 111/112 di "Controspazio", ma citando anche il 114 /115, avevo commesso l'errore d'affermare che entrambe le riviste erano disgiunte dalle celebrazioni del "centenario". In realtà il numero 114/115 ne fa menzione e partecipa alle attività di quest'ultimo. Rimane però altresì vero che anche questo secondo numero rimane un oggetto privo di notorietà ai più. Ed è un vero peccato perché la struttura del numero 114/115, composta da due editoriali, da due dialoghi nonchè da ottime riproduzioni d'immagini d'archivio e da foto recenti a colori degli edifici dell'architetto romano, è molto interessante.

Il primo dei due articoli introduttivi è firmato da Enrico Valeriani, la matrice di questo è oggettiva e descrive bene la cultura progettuale di Ridolfi. Il secondo più emozionale e multidisciplinare è invece di Paolo Portoghesi. Si prosegue poi con una proficua discussione tra Renato Nicolini e lo stesso Portoghesi, entrambi motivati nel continuare a promuovere ricerche sull'opera di Ridolfi. Ricerche che finalmente speriamo arrivino dove ce n'è più bisogno, ovvero alla formazione delle future generazioni d’architetti. L'articolo di chiusura è un appassionante colloquio tra Maurizio Di Puolo e Ridolfi, qui la questione umana del secondo irrompe in tutta la sua drammaticità per la descrizione della malattia e del drammatico pensiero di Ridolfi per la morte.


Mario Ridolfi.

Quattro articoli che sottolineano due chiari e possibili progetti di studio: la persona e il suo lascito. Il primo da intendere come una ricerca storica biografica ed il secondo, alla luce delle migliaia di disegni e di straordinarie opere compiute, d'indagine disciplinare. Studi necessari ad esaltare ancor di più l'unicità di Ridolfi rispetto ai suoi contemporanei. L'architetto romano fu il primo e per molto tempo l'unico nel ri-investigare la componente più artigianale della costruzione edile. A detrimento della manualità del progetto creativo ci fu infatti una chiara volontà politica culturale promossa dal fascismo tesa ad esaltare la produzione industriale in serie. Ridolfi invece investì interesse in questa prospettiva che diverrà anche l'unica possibile nel periodo di massima ristrettezza economica e di mezzi a seguito del conflitto bellico così come in quello immediatamente successivo della Ricostruzione. A tal riguardo per Ridolfi vanno ricordati gli studi manualistici sulle componenti edilizie (Contributo allo studio sulla normalizzazione degli elementi di fabbrica del '40 e i Problemi dell'unificazione del '42) e in particolare sugli infissi e sul disegno tecnico, che diverranno successivamente il capitolo fondante del Manuale dell'Architetto.

In tutto questo poi le iniziative del "centenario" hanno insistito molto, cercando di retrodatare addirittura la questione dell'ingresso nell'opera di Ridolfi degli elementi vernacolari al 1940. Infatti se noi abbracciamo il regesto totale delle opere (tra le due guerre) di quest'ultimo ci accorgiamo dell'esistenza di almeno due progetti, in cui l’architetto utilizza elementi di origine popolare: il primo è il progetto per i tre poderi (Le Sode, Chiesanuova e Spineto) dell'azienda agricola Visocchi ad Atina (Frosinone) del 1940-43; il secondo è il progetto di ampliamento del villino dell'industriale Nai in via Giulianova a Fregene (Roma) del 1942-44. Segnale dell'esistenza di indizi premonitori, impensabili sia se ci limitiamo alla sola lettura degli episodi più importanti del suo lavoro, sia se ci accontentiamo di un'opinione comune, che non vede, nella produzione fascista di Ridolfi, ostacoli sulla via della modernità tra assonanze lecorbuseriane e totale assenza di quel recupero concettuale della tradizione popolare profuso da Giuseppe Pagano. Analogie che riaprono la possibilità d'interpretazione di un linguaggio, quello neorealista, che altrimenti sembra uscito dal nulla e che invece andrebbe letto in continuità con le tematiche rurali che precedono la guerra e con l’architettura dell'emergenza che scaturisce da questa.


Progetto per un negozio di fiori .


Palazzine in via Etiopia, Roma, 1952.


Alla luce di questi fatti risulta più semplice spiegare la conversione dell'architetto - anche se non totale, basti pensare alle torri di viale Etiopia - al populismo del Tiburtino fino al tragico finale dell'isolamento ternano. Per Federico Bellini, invece, sulla monografia da lui curata per i tipi di Laterza del 1993, questi particolari architettonici compaiono, pur citando il progetto in provincia di Frosinone, non prima della progettazione del quartiere Italia a Terni del 1948.
Per concludere una postilla: nel numero di "Controspazio" del 1974 compare un altro progetto rurale denominato azienda agricola a S.Elia Fiumerapido a Latina del 1940. Tale progetto viene menzionato sia nel già citato Bellini che nell’editoriale di "Controspazio" 114/115 firmato da Portoghesi. Ma con certezza mi sento d’affermare - anche alla luce del riordino del fondo Ridolfi all’Accademia di San Luca ultimamente compiuto da Cellini e D’Amato dove il progetto Fiumerapido non compare nell’elenco delle opere - che si tratta dello stesso progetto dell'Azienda agricola Visocchi ad Atina, in quanto i disegni pubblicati nel "Controspazio" del ’74 coincidono con i lucidi conservati nell’archivio a Roma (collocazione: CD/61).

Vinicio Bonometto
vinicio@iuav.it

[14 settembre 2009]

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è curata da Matteo Sintini


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