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L'ordine invertito di Holl

Antonino Saggio
  Il nuovo museo di Arte Contemporanea di Helsinki, denominato Kiasma dal motto del progetto vincitore, è da sottolineare per diversi aspetti. Partiamo dal progettista che si è aggiudicato nel 1993 il concorso che aveva visto partecipare 521 gruppi. Steven Holl è nato nel 1947 in una cittadina dello stato di Washington, ed è un architetto che si è costruito pazientemente. 

Dopo aver studiato in Università americane non rinomate, si è trasferito a New York dove negli anni Ottanta si è fatto strada. La sua condizione iniziale era simile a quella di altri giovani artisti in quella città che, pur estranei a circuiti, lobbies o grandi uffici, avevano un credo: "che con molta energia e un po' di talento ce la si può fare". E, partendo dal piccolissimo, la sistemazione attenta di una piscina e dei suoi annessi, Holl passo dopo passo emerge. Sino ad opere come gli appartamenti Makauhari in Giappone, la cappella Sant'Ignazio a Seattle, l'istituto di ricerca Cranbrook in Michigan e questo museo a Helsinki. 

Holl è partito da alcune forti avversioni rispetto alla ricerca architettonica a lui contemporanea. Estraneo alle esercitazioni formali di marca NY Five negli anni Settanta, al grande professionismo degli studi o alle ibridazioni Kitsch di Venturi, ha cercato una via che radicasse concettualmente il perché dell'opera al suo farsi. Su questa strada naturalmente ha incontrato Louis Kahn, ma non ha lavorato nello studio per l'improvvisa scomparsa del maestro nel 1974. Il periodo passato a metà degli anni Settanta alla Architectural Association di Londra lo ha messo in contatto con quelli che saranno tra gli architetti e i critici più rilevanti degli anni seguenti (Rem Koolhaas, Charles Jencks, Peter Cook). Le prime piccole opere che realizza successivamente a New York gli consentono di avere incarichi di insegnamento (oggi è professore alla Columbia di New York) e di sviluppare una originale poetica. 

Innanzitutto in Holl c'è un forte interesse fenomenologico. Cita spesso Henri Bergson, perché ritiene che il progetto debba basarsi su esperienze dirette, fisiche e psicologiche a un tempo: percorrere, scoprire i flussi, sentire la luce e i materiali dell'architettura. Parte di questi riflessioni rifluiranno nel suo libro Anchoring del 1987. Un "ancoraggio" appunto fenomenologico che arricchisce la consapevolezza dei contesti di nuove ispirazioni. La seconda chiave del suo lavoro ha a che vedere, ma in maniera sensibile e mai gridata, al grande tema della metaforizzazione. Spesso nei suoi progetti vi è un richiamo ad altro rispetto all'architettura: uno spartito musicale (come nella Casa Stretto), una spirale che avvolge funzioni diverse (Spiroid sectors), delle icone che si stagliano nel cielo. L'architettura guarda fuori da sé, ma ritorna sempre alle regole del suo farsi. Poi vi è una spiccata consapevolezza sul ruolo concertato che spazi aperti ed edifici giocano l'uno con l'altro per creare l'insieme del progetto. Studia quasi scientificamente deformazioni, angoli, campi di risonanza. Infine c'è la ferma convinzione che un progetto -ed è un tema tutto kahniano- si debba basare su un'idea forza. Come quando insieme a Vito Acconci gioca tutto il disegno di una galleria d'arte sul senso delle vetrine, ad un tempo segnali, sculture, aperture e chiusure sulla strada. 

A proposito del museo di Helsinki, racconta che aveva redatto trenta ipotesi alternative e che ha scelto quella presentata solo dopo un'attenta verifica dei pro e contro rispetto alle altre. Così, rilevanza dell'idea sintetica, uso degli spazi vuoti, rimandi metaforici, ancoraggio al sito e all'esperienza del vivere si ritrovano anche in questo museo. 



Si colloca in un'area centralissima di Helsinki ed è stato a lungo voluto e perseguito ma realizzato solo in un'ampia concertazione tra la Galleria Finlandese di Arte, lo Stato e la Municipalità. Nelle prossimità sorgeranno anche nuovi edifici, un Hotel e un bus Terminal.
 
Il progetto colpisce innanzitutto per l'intelligenza e l'originalità dell'inserimento nella complessa intersezione urbana in cui si colloca. Si tratta di un'area triangolare posta tra il parlamento neoclassico a ovest di Joseph Siren, la stazione ferroviaria di Eliel Saarinen a est, e la Casa Finlandia (sede di congressi internazionali con una sala di concerti da 1700 posti di Alvar Aalto) a nord. Il Museo Kiasma viene a completare così il disegno urbano che proprio Alvar Aalto aveva previsto per le sponde del lago Kamppi: una serie di grandi attrezzature pubbliche che si specchiano sull'acqua e come "perle di una collana" punteggiano l'accesso verde al centro città.

Il progetto risulta composto da due corpi intersecanti. Uno rettilineo sul fronte stradale e un secondo, ad esso incastrato, a galleria. Il corpo a galleria richiama sottilmente il tema della circolazione sia ferroviaria che automobilistica e si arcua avvolgendo il volume prismatico. La galleria varia anche la sua dimensione trasversale perché inizia con una parte stretta come una coda verso la città, e finisce con una grande bocca che sembra risucchiare la Casa Finlandia di Aalto. 



Se la griglia urbana, le preesistenze, i movimenti, le attrazioni dei corpi esistenti dettano la configurazione di base dei volumi, un ruolo gioca anche l'acqua che passa attraverso il sito ed è accolta in una vasca che del museo riflette le forme. E come sempre le articolazioni dei volumi creano a terra ambiti diversi: l'ingresso, uno spazio parco a settentrione, una zona raccolta a ovest. L'intersecarsi dei due corpi e la modifica progressiva della larghezza della galleria determinano all'interno spazi fluidi. Le stanze espositive sono rettangolari ma segnate su due lati dall'andamento arcuato dei muri: vogliono essere "silenziose ma non statiche" e sono differenziate attraverso la loro irregolarità. La variazione della sezione permette l'illuminazione naturale, alcune mirate vedute all'esterno e crea una gentile e dinamica "galleria di stanze". 



Scale e rampe arcuate, le trasparenze, il gioco della luce e dell'ombra, le superfici neutre, la ritrosia del progettista per dettagli architettonici troppo enfatizzati caratterizzano l'esperienza del visitatore. Scopo del museo è essere in uno spazio fisicamente e concettualmente in costante trasformazione. Le differenti esperienze spaziali consentono di ospitare varie forme di arte contemporanea e il cambio costante di prospettiva e la dinamica circolazione interna lasciano al visitatore la scelta del percorso. "Invece di una sequenza gerarchica e di un movimento irreggimentato", questa circolazione aperta consente la scelta e anche "momenti di pausa, di riflessione e di scoperta". 



Le superfici esterne ora vetrate ora rivestite in panelli di alluminio, la grande volta della galleria in zinco contro la regolarità del corpo prismatico, soprattutto il raccogliere, trasformare e rilanciare i flussi viari e la presenza dei fabbricati limitrofi fanno comprendere come nel vocabolario asimmetrico, leggero, dinamico di Holl, vi siano le chiavi per una risposta adeguata e allo stesso tempo innovativa. Ma, per finire, che vuole dire Chiasma che dà il nome al museo? Scrive lo Zingarelli: "1. Figura retorica nella quale si dispongono in ordine inverso i membri corrispondenti di una frase. 2. Punto ove le fibre dei due nervi ottici s'incontrano nella cavità cranica." Entrambi i significati funzionano. Senza una volontà comunicativa Holl non concepisce l'architettura. Qui parte dall'esterno, dalle forze della città per manipolare i volumi del suo museo e da questa imposizione e inversione rispetto alla funzione contenuta inventa nuove dinamicità e spazialità. I flussi si incrociano come nervi, concettuali e fisici, e dal loro intreccio, dal loro "intertwinnig" come lo chiama, nasce l'architettura. Ma per testimoniare la civiltà che emana tutta questa vicenda basterebbe un fatto. Quando mai è avvenuto che il motto di un concorso è diventato anche il nome stesso dell'opera? Kiasma è un nome all'inizio enigmatico ma che ha una fondata ragione.

Antonino Saggio
[11nov2000]

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