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PACE MAKER (questa sezione ospita contributi generali su Coffee Break e sulla comunicazione in
rete)
Quello che segue, consegue
Gli
interventi pubblicati in Coffee Break rappresentano in qualche modo una scommessa [...]. Testi impegnati, consistenti, generosi [...]
offerti giorno per giorno. La scelta, diciamolo subito, non è stata procurare a tale ingente mole di scritti un'uscita editoriale analoga
a quella cartacea. L'autore ha piuttosto scelto di usare la rete per costruire qualcosa insieme ai suoi lettori [...]. La rete, oltre a
prospettarsi come sistema dalle molteplici potenzialità per lo sviluppo dell'architettura, è anche un mezzo formidabile per avviare
nuove pratiche di elaborazione testuale e di comunicazione. [...] Saggio privilegia il rapporto con i lettori, chiede loro di reagire, di
rispondere, di inaugurare un dialogo che estenda la dimensione del testo scritto attraverso approfondimenti, collegamenti, conferme e
confutazioni. Questo gioco si costruisce sulle connessioni, esiste in funzione della capacità di propagarsi in rete, prolifera attraverso
lo sviluppo di collaborazioni che restituiscono, se ben orchestrate, concretezza ed attualità al materiale originario. [...] Un testo
opportunamente collocato in rete è soggetto a questo genere di influenze al punto da consegnare alle tradizionali note ed ai riferimenti
esterni una funzione di scambiatori bidirezionali capaci di produrre eventuali feedback dinamici all'interno del testo originario [...].
Marco Brizzi brizzi@dada.it
PaceMaker.
Potenziale in cerca d'autori
Proviamo ad assumere il concetto trasversale e ibrido di PaceMaker per rendere un'idea della
struttura/funzione/ambiente FORUM che si organizzi secondo le sue modalità logiche, mutuandone ed estendendone dinamiche e
caratteristiche chiave. PaceMaker (da leggere, con un calembour, anche come Creatore/Costruttore di Pace, di ritmi e pulsazioni anche
per il cuore) come tentativo di aprire i ritmi della conoscenza per scambiare e assumere informazioni, creare contatti, far scattare
confronti, far sviluppare energie e innescare sinergie, aprire e moltiplicare strade tra i vari livelli di lettura e scrittura per
costruire senso e sensi che non siano scontati, ripetitivi, ridondanti o semplicemente compiaciuti. PaceMaker che, come struttura
cellulare pacemaker (o dispositivo artificiale analogo...), si ponga come area culturale che generi impulsi, muova e "recluti"
risorse, organizzi l'attività di altri attori, stimoli e trasmetta informazioni, segnandone passi tempi e modi, in virtù di una più
elevata quota di autonomia/iniziativa, per costruire aree più reattive.
Se si osservano i sistemi naturali si noterà che, laddove
nella continuità di un processo in divenire si costituiscono aree di maggiore densità, queste tenteranno ad organizzare il processo
accogliendo e orientando le forze. Una perla nasce da un granello di polvere intorno al quale inizia una lenta sedimentazione, che senza
il granello non avverrebbe; il granello è, per cosi dire, l'appiglio, il pacemaker, quello che in un orchestra batte il tre.
Tutto
questo è reso possibile grazie a un altro "movimento", una "Differenza di Potenziale", una più elevata e autonoma
capacità di generare potenziale di azione da parte di un PM, che nella continuità/uniformità degli eventi irrompe con una zona di più
alta "densità" attrattiva: pensiamo a un universo come una griglia uniforme, in stato di quiete, nella quale in un certo punto
si muova qualcosa, perché ci sono condizioni di movimento/fermento/innovazione/qualità/quantità maggiore che innescano il processo, e
si crei un'increspatura con picchi e avvallamenti: la piega presa dalle cose permette il formarsi di nicchie e appigli, intorno ai quali
sciama, converge, si polarizza tutta una serie di elementi/idee/riflessioni che cominciano ad addensarsi trovando nuova espressione e
organizzazione...pensiamo alla formazione di una duna di sabbia, al suo variare, al suo spostarsi... La differenza di potenziale
innesca la "migrazione" di elementi, dai quali attinge il processo di generazione dal caos, intorno a un'area, vale a dire che
si creano condizioni perché il caos si organizzi in vie di senso: si dà un universo in potenza in cerca di autori menti pensieri da
addensare secondo varie forme intorno a un campo, con un processo in fieri, sempre aperto ad accogliere e rilanciare nuove combinatorie.
Prendiamo
la lezione dei sistemi naturali per mettere le mani nel processo, esplicitarne le caratteristiche, i meccanismi, le logiche, e pensare a
questo FORUM proprio come a una zona di maggiore densità, spazio che "recluti" attività, interessi, pensiero e ne sia
crogiuolo, un generatore di differenza di potenziale, un PaceMaker. Ecco che un Forum può diventare l'espressione, per dirla con
Bateson, della "struttura che connette", uno spazio privilegiato di estensione/esplicitazione dello spazio mentale collettivo.
Antonia
Marmo antonia.mar@katamail.com
Caffè
Voltaire: Dibattiti in differita
L'open-source è un valore costituente del web e la consapevolezza di questo è ogni secondo più
matura e diffusa. Tale valore diventa forza potenziale di espansione infinita, se le presenze sono attive e reattive.
Risposta,
controrisposta, moltiplicazione dei contributi, amplificazione delle questioni: il feed-back a cascata, in direzioni imprevedibili,
consente alla pubblicazione di innescare "reti", dove ogni contributo è luogo di sospensione possibile, tra i possibili
molteplici percorsi all'interno di un unico, continuo processo di iper-costruzione. I percorsi teorici che sono proposti in questa
rubrica non danno soluzioni conclusive ai dubbi, ma esiti solo parziali.
Perchè ad essere pubblicate sono anche sensazioni,
sensibilità, intuizioni, con l'animo di chi mette un seme in un terreno fertile ed attende una crescita, uno sviluppo. Non si vuole
puramente dare e ricever informazioni, non si tratta di una modalità a senso unico, ma viceversa, si vogliono innescare reazioni a
catena, costruire reti dinamiche di comunicazione.
Il motivo è intellettuale, con una volontà prima di tutto etica: mettere a
disposizione i propri pensieri e le proprie scoperte, viaggi intellettuali che diventino patrimonio comune, risorsa ulteriore, esperienza
fruibile.
È un motivo intellettuale, ma è anche impulso emotivo, di chi sente la necessità di interrogarsi sulle cose ed ha
bisogno di condividere con gli altri, perché gli entusiasmi non si possono contenere e vogliono essere comunicati; perché vogliamo
esserci, vogliamo partecipare ai cambiamenti e renderne partecipi gli altri; è un impulso prima di tutto vitale.
Come in un
virtuale Caffè Voltaire, si confrontano i punti di vista, alla ricerca di nuove soluzioni e nuove crisi; si aprono confronti, dibattiti
in differita, per promuovere le intelligenze e potenziare l'immaginazione.
Italia Rossi if_rossi@hotmail.com
Percorsi della mente
Il "Dictionnaire abrégé du Surréalisme" di
Breton ed Eluard, pubblicato nel 1938, riporta questa definizione: il "cadavere squisito" è un "gioco con carta piegata,
che consiste nel far comporre una frase o un disegno da parte di più persone senza che nessuna possa tener conto della collaborazione o
collaborazioni precedenti. Il primo tentativo che si fece originò la frase "Le cadavre exquis boira le vin noveau" (il cadavere
squisito berrà il vino novello) dalla quale proviene il nome del gioco. Il forum di Coffe Break fa inevitabilmente pensare ai
"cadaveri squisiti" di Breton. Lo spirito dell'operazione è vagamente e piacevolmente surrealista, e ciò nonostante la
fondamentale contraddizione di basarsi sulla conoscenza dei contributi precedenti anziché ignorarli. La partecipazione è, infatti,
indubitabilmente e necessariamente consapevole, responsabile certo, per cominciare ma non fino alla fine.
Spieghiamo: del Surrealismo c'è il potenziale coinvolgimento, totale e radicale,
grazie al web, delle discipline più varie, di domini, universi, province o solo orticelli, a partire, è vero, dall'architettura, ma per
arrivare chissà dove; e c'è, soprattutto, la ricerca di una rottura degli schemi classici di ragionamento, non fino all'
"automatismo psichico" o alla trance medianica, ma di certo sino all'innesco di pensieri e riflessioni possibili solamente
all'interno di una comunità profondamente interconnessa: idee emergenti e, per questo, in qualche misura inconsce; e poi c'è la
struttura della rubrica, fatta di contributi che si accodano man mano ad una lista a crescita infinita, che non è altro che quella del
gioco surrealista, aggiornata, corretta.
Il risultato è in
qualche modo un testo fatto di contributi scollati fra loro (o meno), persino contraddittori (o forse no) ma che sempre, e meglio senza
intenzione, collaborano ad un'emersione di significati altri e imprevisti.
Roberto Sommatino robertosommatino@libero.it
Progettare con i
sogni
Gli edifici analizzati in coffee break, sono tutti
parlanti, anzi in alcuni casi "urlanti" in un mondo dove bisogna urlare per farsi sentire. Urlare in architettura vuol dire
catturare l'attenzione non solo degli esperti in materia (...troppo facile), ma delle persone comuni, quei non "addetti ai
lavori" per cui i progettisti passano giorni (...e notti ...in fondo si progetta anche con i sogni!) per dare forma alle parole. (se
si progetta anche sognando.... leggere un articolo di coffee break la sera è di grande aiuto).
Cristina D'angelo archicri@kataweb.it
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GLI ARCHITETTI
[con riferimento a "Frank
Owen Gehry. Luna meccanica"]
Calder e i tipi di reti
Effettivamente l'opera di Gehry ha grande forza
espressiva. (architettura-scultura); e certamente si possano cogliere certe analogie tra opere come il Guggenheim di Bilbao e "Forme
uniche nella continuità dello spazio". Ma esiste una sottile differenza.
Lo spazio di Boccioni è uno spazio denso. È
materia viscosa, di cui ogni singolo atomo si tiene all'altro saldamente e mai si frammenta o si confonde con altri corpi ed altre
sostanze. Tuttavia ciò non impedisce a due corpi di incontrarsi e relazionarsi resistendosi, sfiorandosi, penetrandosi, mettendo sempre
in scena una lotta. È tutto un misurare la forza e il potere reciproci, affondando o ritirandosi, come in qualsiasi confronto. Tale
sostanza ha, dunque, personalità e manifesta volontà e desiderio nel movimento. Ma un corpo che si muove incontra sempre la resistenza
del corpo-atmosfera, giacché questa stessa è considerata come un'entità materiale: il dibattimento sconvolge le forme, mai la loro
individualità e unità costituzionale. Sono, infatti, "forme uniche nella CONTINUITÀ dello spazio". E quest'ultimo è, dunque,
la somma sintetica e interattiva di due entità in continuo movimento. Per ciò che riguarda il Guggenheim, è indubbio che anche qui
il movimento sia determinante, ma in un modo differente. Come premessa vorrei dire che l'architettura di Gehry va compresa, a mio avviso,
sempre e comunque alla luce dell'anima fondamentalmente pop dell'architetto, sebbene con certe caratteristiche del tutto originali. E
questo non per il fatto che egli collabori con Mr Oldenburg, tantomeno per la poetica del chepscape. Piuttosto è pop, è tutto americano,
un certo modo di porsi di fronte alla realtà, che non è domandarsene l'essenza, comprenderla (come, invece, fa Boccioni), quanto
piuttosto un viverla, prenderla di petto, agirla, agire. In questo senso il cheapscape si inserisce nell'attitudine a manipolare la
realtà partendo dall'accettazione profonda di ciò che vediamo come fatto. Questo è utilizzare la "poverissima rete
incrociata" delle recinzioni dei campi di basket (piuttosto che "dei pollai di campagna"!). Questo è accettare i rifiuti
come prodotto naturale della società che viviamo, ed utilizzarli come un qualsiasi altro materiale, tanto più se economico e in grande
disponibilità.
Ma tornando al Guggenheim, vorrei proporre un
altro parallelo, sempre con uno scultore, ma questa volta americano: Alexander Calder. A differenza dei lavori di Boccioni, gli elementi
costituenti le strutture di Calder sono sempre e comunque superfici, a volte variamente piegate (specie negli "stabiles"), altre
addirittura bidimensionali. Ed il valore spaziale si coglie nel movimento della struttura: i piani, le superfici formano un volume
virtuale, che è quello dell'area del movimento. Non più, dunque, la massa, per quanto stravolta dal movimento; pesante, per quanto
dinamica; fatta di bronzo. Ma piuttosto lamiera sottile, per quanto deformata fino ad essere richiusa su se stessa; leggera, da sembrare
piegata con le dita; a sezionare come lame l'ambiente. Lo spazio è riempito, piuttosto che pieno, di movimento, ed è definito
dall'andamento delle superfici. Tutto è estremamente light, nel duplice significato di leggerezza/trasparenza. E, con questo, rimando ad
un'opera di un altro artista americano, Bill Viola, chiamata "The veiling": consiste in una successione di schermi verticali
paralleli di materiale traslucido, sui quali sono proiettate le immagini di due corpi. Queste ultime si tramutano in successive visioni
(una per ogni schermo) di dimensioni diverse. È figura senza peso, è un corpo sottile, è "anima luccicante".
Italia Rossi if_rossi@hotmail.com
Cattedrali
Ho trovato molto interessante il paragone da lei suggerito tra l'enorme edificio
costruito a Bilbao da Gehry e le antiche cattedrali del nord Europa edificate a partire dal XII sec. Il processo costruttivo, ma
soprattutto il valore simbolico accomuna enormemente i due tipi di cantieri che ergendosi come enormi macchine polivalenti lasciano un
segno indelebile nel paesaggio circostante. A tal proposito vorrei riportare qui di seguito alcuni versi tratti dal libro "Le radici
delle cattedrali" di Roland Bechamann, che forse riescono a spiegare meglio il tipo di accostamento: "Si possono menzionare
città dove l'intera popolazione riusciva a stare dentro la cattedrale, e altre dove questo edificio poteva contenere più di due volte la
popolazione urbana. Non bisogna dimenticare che la cattedrale serviva non soltanto la città, ma anche la regione circostante, e
soprattutto che essa non era destinata semplicemente all'esercizio del culto e alla preghiera, che permettevano una forte densità per
metro quadrato: sfilate, ricevimenti ufficiali, cavalcate, rappresentazioni teatrali ecc. vi avevano luogo regolarmente. Non si lesinavano
inoltre le spese per questi edifici, che contribuivano al prestigio della città e dentro i quali ci si doveva trovare a proprio agio. Non
vi erano vincoli di superficie da rispettare ne limiti massimi di spesa. La cattedrale, per l'ampiezza della sua superficie in rapporto
alla città da servire, ha qualche analogia con gli anfiteatri e con i circhi dell'antichità, le dimensioni dei quali, rapportate a dei
nuclei urbani che erano, come si è dimostrato, molto modesti, ci meravigliano ancora adesso".
Loris Rossi lorisrossi@katamail.com
[con riferimento a "Peter Eisenman. Lotta al cubo"]
Essere tra
Per capire entro quali ambiti si muove oggi il rinnovamento
dell'Architettura, ho scelto di analizzare le nuove sostanze con le quali si è misurato l'architetto americano Peter Eisenman nel
concepire il progetto di una chiesa a Roma. La sua creazione passa attraverso l'interpretazione dell'oggetto da realizzare ed il piatto
si arricchisce di nuovi contributi grazie all'analisi di plastici, modelli diagrammatici
(che permettono una riflessione teorica sul
tema) e plastici informatici. Attualizzare il virtuale è la svolta nella nascita del progetto; vengono infatti superati i limiti
geometrici e i vincoli architettonici permettendo di vedere in anticipo, oltre, superare le forme legate agli schemi nello spazio
cartesiano. Grazie ai modelli informatici il progetto può essere costruito in un parallelo tra interno ed esterno che vengono modificati
di continuo in un processo evolutivo quasi senza fine. La chiesa di Eisenman nasce nella tensione verso due aspirazioni: la prima è il
rapporto fra vicinanza e distanza insita nel concetto di pellegrinaggio e nell'idea dei moderni mezzi di comunicazione; la seconda è la
nuova relazione fra Dio, uomo e natura. E proprio dalla natura vengono prese le forme per
simboleggiare la situazione di vicinanza e
distanza. Il soggetto diventa il cristallo (simbolo di purezza, trasparenza) ed in particolare la condizione dei cristalli liquidi; essa
è di sospensione (parallelismo con la situazione umana) fra il cristallo statico e lo stato liquido. La condizione di ''essere
tra"
propria del cristallo liquido dà la possibilità al progetto di inserirsi nel sito, quasi irrompendo dal sottosuolo, in maniera
naturale, proprio secondo l'ordine delle molecole di un cristallo. I diagrammi dei cristalli liquidi sono stati studiati come possibilità
di produrre deformazioni capaci di modellare gli spazi e lo spazio tra essi; in questa direzione l'architetto americano scopre le
potenzialità dei vuoti che nascono tra volumi netti e volumi ripiegati. L'uso del computer ha permesso quindi all'Architettura di
andare oltre la semplice rappresentazione, offrendole un nuovo ruolo; una rinascita come occasione per inventare, scrivere, superare
ancora una volta i propri limiti fisici, aderire alla complessità del mutare fenomenico zigzagando verso una nuova forma espressiva in
cui lo spazio è la narrazione.
Gabriele Chieppa brio_75@yahoo.it
[con riferimento a "Architetti In Sicilia. Percorsi
dell'imprinting"]
Sicilia non finita
Mi chiedo se abbia senso parlare
di Gibellina in termini architettonici come è fatto nell'articolo. A cosa serve parlare di architettura quando essa diventa simbolo del
fallimento in toto di un programma che non ha voluto realmente ridare vita alle zone terremotate? Avevano ragione i contadini del
Belice: "...Completati edifici, case, scuole, chiese, centri civici, per non morire di fame dovremo trasferirci in Svizzera. Qui
rimarrà il deserto con le cattedrali vuote".
Gibellina Nuova è città vittima di un terremoto metaforico; doppia beffa per i
suoi abitanti, conosciuti per le opere di architettura costruite per ridare loro abitazioni e servizi, ma dei quali non si conosce la
reale condizione di vita socio economica.
L'architettura di
Gibellina è solo simbolica, dunque non elemento propulsore: architettura disegnata
- non per niente luogo ideale per Purini -. Voglio
fare un paragone/provocazione: Gibellina come Berlino. Entrambi campi di sperimentazione linguistica dell'architettura. Peccato che le
basi sociali ed economiche siano talmente differenti da non potere dare uguale giustificazione
all'impegno degli architetti coinvolti.
Personalmente, sono del parere che il simbolo della Nuova Gibellina sia il crollo della chiesa di Quaroni, evento che di diritto si
colloca all'interno dell'anormale linea di condotta del processo post-sismico, determinato da programmi
di ntervento assolutamente
mediocri, che non hanno mai colto nel segno e che hanno trascurato il dato principale: l'occupazione lavorativa della popolazione
residente, aspetto colto esclusivamente da Danilo Dolci, Mumford e Friedmann. A Gibellina entriamo come si entra in un museo, quasi in
silenzio, parlando a bassa voce e cercando di non fare rumore camminando. Buffo, ma proprio a Gibellina possiamo dire -finalmente!- che
non esiste più il problema di come debba essere un museo, se l'architettura debba starsene buona buona per non prevaricare le opere
d'arte esposte oppure emergere. Qui il museo è l'architettura... Lei ha lasciato trasparire le personali perplessità, ma non è
andato a fondo al problema del significato che possono avere opere di architettura fini a se stesse, in quanto non in uso, non curate,
quasi abbandonate. Non creda che la mia sia una critica a quanto esposto, ma avrei gradito se avesse un po' più affondato il coltello,
chiedendosi anche cosa abbia spinto gli architetti coinvolti a misurarsi esclusivamente in senso sperimentale, consci che le problematiche
del Belice fossero ben altre che la bella e pregevole architettura di concetto.
Per chi conosce l'architettura è intrigante girare per Gibellina e venire a
contatto con le diverse ricerche degli anni 70 nell'architettura italiana; gli abitanti di Gibellina non lo sanno e poco si rendono conto
del perchè arrivino turisti ad osservare i loro ...nuovi ruderi.
Nuovi ruderi che in Sicilia sembrano essere di regola. A pochi chilometri da Gibellina ne troviamo uno di cui nessuno parla,
probabilmente perchè aleggia ancora il fantasma di Calogero Mannino - che poi tanto fantasma non
è - .
Cinque anni fa scrissi un articolo pubblicato in ANATKH, che esordiva così: "Sciacca,
via Panoramica delle Terme, teatro popolare, va in scena L'Incompiuta, da un'idea di Giuseppe ed Alberto Samonà, prodotta dalla regione
Sicilia, per la regia di Amministrazioni pubbliche varie (...) il teatro popolare di Sciacca non ha mai potuto esprimere se stesso se non
nel suo essere "architettura incompiuta", ovvero quel qualcosa che, proprio per il suo stato di abbandono, perde ogni potenzialità,
diventando oggetto deturpante". La cosa più amara fu constatare che già nel 1982 la rivista Casabella presentava l'opera
titolando "Finalmente pronto a funzionare il teatro a doppia sala di Sciacca". Con l'autorevolezza che è propria di una
rivista culturalmente presente, Casabella si macchiava di tale svista, forse non
inconsapevolmente. Assolutamente ridicolo. Credo ci sia
grande affinità tra Sciacca e Gibellina.
Sciacca è esempio
della "appropriazione indebita e malavitosa che dalle speculazioni in grande scala agli abusi dei piccoli attraversa per intero
l'isola" , di cui Lei parla.
Io ammiro la Sua schiettezza
nel descrivere la situazione del compromesso siciliano, ma sono cose che tutti sappiamo, è un'evidenza. Ciò che non emerge mai è la
compromissione tra architetti, imprese, istituzioni, mafiosi. Comanda Mannino? Ok, tutti alla "bottega" - così veniva chiamato
l'ufficio manniniano a Sciacca - ed i giochi erano fatti.
Paolo
Ferrara pglf@antithesi.info
Mediterraneo, Sicilia e Moderno
Seguo il naturale svolgersi delle curve della
Costiera Amalfitana, quasi come segni
generati dal movimento circolare delle cupole variopinte, simili a trottole di maiolica. Mare, luce, rocce chiare ed aspre, piante
selvatiche, cielo azzurro e campanili coronati da volumi cilindrici, tarsie policrome, archi intrecciati, intonaco bianco, dedali di scale
e scalette, passaggi voltati, collegamenti sospesi, case che sembrano germogliate dai costoni rocciosi, torri di difesa che scivolano giù
verso le onde, altre, in alto, velate dalle nuvole: tutto questo rimane impresso nei miei occhi... Come fare a dimenticare che laggiù,
verso sud, oltre la distesa del mare, c'è la Sicilia? ... Ricordo le impressioni di una sera di luglio, quando per la prima volta mi
ritrovai presente nella Palermo che viveva lì, prima e senza di me, giacendo in quella che una volta poteva chiamarsi Conca
d'Oro,
ossequiata e difesa dalle solenni sagome dei monti che la circondano...
Uno stupore continuo e senza riserve davanti ai caldi echi d'Islam di S. Giovanni degli Eremiti e S. Cataldo, con le loro
cupolette rosse e gonfie posate sulle coperture piatte, davanti a S. Giovanni dei Lebbrosi, alla Martorana, al Duomo, alla Cappella
Palatina, davanti alla Zisa e al Palazzo della Cuba, coi loro volumi compatti, netti e squadrati, simili a enormi parallelepipedi di
roccia appena sbozzati, mossi solo da modanature leggermente incise a formare archi ogivali di svariate dimensioni e proporzioni, come
strani cerchi nell'acqua...
È purtroppo vero che , procedendo
nei decenni successivi del secolo appena trascorso, la multiforme, rigogliosa, ridondante anima vitale della Sicilia non fu capace di dare
all'architettura moderna di questa regione una propria autonoma fisionomia, una vera tradizione locale...
Nel desolante panorama del dopoguerra siciliano nasceva, comunque, a Palermo, la
Facoltà di Architettura che sarà negli anni a seguire luogo di sperimentazione e sviluppo di nuove linee culturali, rifugio di una
poliedrica sensibilità, ricettiva di esperienze nazionali ed internazionali, che riunisce "l'universale dell'architettura e la
specificità siciliana". Alberto Samonà, Vittorio Gregotti, Gino Pollini, Pierluigi Nicolin: sono solo alcune delle personalità
che hanno guidato la Sicilia in un'infaticabile, continua ricerca di una propria identità architettonica, certamente non favorita dal
difficile contesto ambientale. Non fatemi parlare di speculazione edilizia, abusivismo, mafia... Voglio ancora vedere l'imprinting
di cui parla Antonino Saggio, voglio ancora riconoscere nelle opere dell'architettura contemporanea quella Sicilia che "ha conosciuto
il posarsi delle costruzioni greche" usando "il mare come sfondo e la luce come materia" e che "cerca l'architettura
come inno al cielo"...
È proprio nel rapporto tra architettura e paesaggio (così differente dal modo di sentire del Nord
sempre teso a dominare la natura, ad imporsi come creazione ex novo) ed architettura e città, nodo cruciale dei dibattiti del
neorazionalismo italiano, che la Sicilia ritrova oggi la sua personalissima dimensione, fatta di Mediterraneo e di Storia, ma allo stesso
tempo molto distante dai paralleli sviluppi del panorama italiano...
Rientrano in questo quadro, denso di suggestioni internazionali, le opere di Pasquale Culotta e Giuseppe Leone, esponenti della
"scuola di Cefalù", realizzate nella suddetta città, sia lungo l'asse di espansione che nel centro antico, facendone un vero e
proprio laboratorio, assimilabile alla Urbino di Giancarlo De Carlo. Ritroviamo in questi interventi un costante bilanciamento tra le
nuove realizzazioni e le preesistenze, ottenuto mediante suture sempre chiare e decise, ma mai esasperate, volte a valorizzare i percorsi
pedonali, i camminamenti, gli spazi vitali: piccoli progetti integrati nelle strutture originarie, tasselli perfettamente incastrati nei
frammenti di epoca anteriore, passerelle, scale, attraversamenti, capovolgimento del rapporto tra pieni e vuoti, volumi puri, edifici
ricavati da un unico blocco di materia, in cui l'intonaco assume valenza di abito totale ed il colore diventa parte costitutiva del
progetto. Anche nelle opere di Marcello Panzarella, sempre a Cefalù, ritroviamo lo stesso riguardo per la connessione alla città e per
le strategie di collegamento, insieme all'intento di orientare l'attenzione del passante verso un interno architettonico da riscoprire.
Gli stessi temi sono affrontati in altre produzioni siciliane, come, ad esempio nella villa progettata da Tilde Marra a Lampedusa. Esiste,
infatti, un filo conduttore che comincia a delineare un nuovo stile mediterraneo, nato nella terra siciliana e vibrante di influssi
internazionali, improntato ad "una monomatericità colorata, una interpretazione mistica di costruzione come scultura abitata",
ad un "riannodarsi all'esistente senza rigidezze geometriche e planimetriche", assecondando "la libertà degli edifici nel
contatto con il cielo e il loro profondo radicarsi nel suolo irregolare", senza mai indugiare in "una assialità, una facile
simmetria, un gratuito formalismo" (A. Saggio).
Paola
Ruotolo p.ruotolo@eartmagazine.com
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LE IDEE
[con riferimento a "Il coraggio di aprirsi"]
Comunicazione possibile
Alcune
persone pensano che basta avere uno strumento che "fabbrica informazione" per avere potere, alcune persone pensano che basta
leggere un giornale per avere "informazioni", alcune persone pensano che basta avere internet nella propria casa per avere
informazioni, alcune persone pensano che basta avere la propria home page per dare informazioni, alcune persone pensano che basta stare
seduti davanti ad un televisore per capire cosa succede nel mondo. Ma l'informazione è comunicazione, e la comunicazione è una
"scienza". Per "vendere" le proprie informazioni bisogna saperle comunicare. Non puoi essere un buon politico se
sei muto. La migliore informazione è quella che arriva dritta allo scopo. La migliore informazione ha la migliore estetica, quando per
estetica s'intende la forma più corretta per comunicare una determinata informazione. Anche l'architettura ha bisogno di una corretta
informazione da comunicare. Che cosa comunicano gli architetti moderni? Quali sono le strade per dare la giusta informazione
architettonica alla nostra società? Per l'architettura moderna, l'informazione si è trasformata da un'estetica razionale, finalizzata
dalla praticità dell'oggetto architettonico, ad un'estetica "economica", vale a dire finalizzata alla creazione di una macchina
che a sua volta produce nuove informazioni. Trovare un'unica espressione comunicativa potrebbe portare ad un appiattimento delle
informazioni con un'omogeneizzazione dell'estetica portandoci ad un "think same".
Luigi Valente pento@pulpit.it
Adesione intellettuale
Potremmo sempre allinearci all'idea di un viaggio a Sidney o a Bilbao per tornare
poi a vivere tra le nostre preziose memorie e convincerci che, per sentirsi parte di questa collettività laica capace di erigere le
"nuove cattedrali", è sufficiente un'adesione intellettuale.
Laura Pedata laurapedata@libero.it
La Sindrome di Salieri
A poche centinaia di metri dalla
Facoltà di Architettura di Roma viene oggi
(21/4/2002) inaugurato il nuovo auditorium progettato da un architetto conosciuto in tutto il mondo tranne che nella nostra facoltà (al
di fuori di qualche sporadica invettiva). Qualche giorno fa Curzio Maltese ha definito molto felicemente questo atteggiamento, quello di
coloro che storcono il naso per un Nobel a Fo o un Oscar a Benigni, come "sindrome di Salieri". Non una lezione, non il
coraggio di esporsi per delle critiche, semplicemente il nulla. Non c'è da stupirsi vista la quasi nullità di opere realizzate da
coloro che oggi preparano i futuri architetti; ma c'è da chiedersi come sia possibile che nessuno si renda conto che, in uno stagno di
acqua immobile da decenni, l'auditorium rappresenti un sasso lanciato, volumi e non parole, che non potranno che essere una grande
occasione per tutti, l'inizio di una nuova stagione. Non ho mai visto tante pagine di giornali e riviste parlare di architettura,
grandi architetti, da Nouvel a Rogers, da Fuksas a Purini, che parlano con toni entusiastici dell'opera, il maestro Chung che dopo la
prova generale abbraccia il progettista, e i luminari della nostra facoltà che non se lo filano... Non ce la facevo proprio a tacere. Visite
al cantiere con il contagocce, lezioni manco a parlarne. Ho avuto l'occasione di visitare il cantiere tre volte ed oggi andrò
all'inaugurazione, ho allungato tante volte la strada per andare a casa per passare da corso Francia e poter sbirciare qualche cosa,
e in
facoltà...il silenzio. Penso che Renzo Piano faticherà molto meno a vincere concorsi in tutto il mondo che ad essere accettato
nell'ambito universitario; spero che alla fine ce la possa fare, il contrario sarebbe un delitto.
Emanuele Aronne ema4saggio@tiscali.it
[con riferimento a "Affioramenti"]
Costruzioni della Mente
Ho letto "Affioramenti", suggestivo non solo nel titolo ma anche
soprattutto per i concetti illustrati e le evocazioni che suggerisce in chi si occupa prevalentemente di architettura della mente. C'è
la possibilità, infatti, procedendo per via di metafora, di trovare intensi legami tra quanto lei ha scritto e quello che sostiene la
teoresi psicoanalitica, denominata spesso anche "psicologia del profondo". Freud ha spesso usato metafore di varia natura per
illustrare le sue intuizioni: piuttosto famosa è forse quella che associa il lavoro dello psicoanalista a quello dell'archeologo,
entrambi impegnati nel far affiorare attraverso stratificazioni sovrapposte i "tesori" lì sotto sepolti. Il loro lavoro procede
dall'alto, ma questo vuol dire che il paesaggio si è andato costruendo attraverso un procedimento inverso, e cioè dal basso. Ancora,
sempre lui, Freud, suggeriva di vedere il nostro spazio mentale come una casa a più piani: nei piani alti abitano le nostre migliori
intenzioni, la rappresentazione di noi più accettabile, il nostro agire e il nostro desiderare che ci spingono alle cose egregie, anche
alla astrazione che produce contributi alla teoria scientifica, o che fa comporre versi. Questi abitatori dei piani alti si comportano
come quei ricchi, o nobili, che disdegnano i parenti poveri, maleducati, caciaroni... che però abitano la stessa casa, solo che stanno ai
piani bassi, nei sottoscala, nello scantinato. Sono parenti, seppure alla lontana. Sono forse un
po' troppo abituato a pensare in termini
topologici tali da farmi considerare naturale la collocazione del desiderio nel basso. Forse sono anche un
po' troppo abituato a
considerare (e in maniera decisamente antiromantica) l'espressione "desiderio" come complessa, vale a dire come una
costellazione che include una stratificazione che procede dai "bisogni" (gli elementi più in "basso"), dagli istinti,
dalle pulsioni, fino ai desideri più "alti", le aspirazioni di realizzazione attraverso comportamenti etici. In fondo, che tra
fratelli ci possa essere invidia è piuttosto naturale; che questa invidia possa essere alimentata da odio e possa produrre fantasie
omicide, lo è ugualmente; che possa avere spazio nella mente il desiderio di sottrarre spazio all'altro e di conquistarlo solo per
sé,
è alla base del desiderio di fare guerra (quante volte definite fratricide). Ma fortunatamente questi elementi mentali non producono
sempre o solo distruzione: la loro trasformazione produce costruzioni. La trasformazione degli elementi del basso presuppone un
procedimento fluido, un produrre water front, soglie liquide mobili, non stagnanti, che possano far affiorare (a volte di più, a volte di
meno) la loro presenza, unica speranza che io credo abbiamo per poterli controllare: l'orografia è una, anche se molte montagne (ricorda
la metafora dell'iceberg?) stanno sott'acqua.
Eugenio Tescione eugetes@posta2000.com
Krisis
"Affioramenti",
soprattutto nella prima parte, mi ha regalato attimi di serenità interiore e di
leggerezza. Multimedialità esasperata e performances
virtuali sembrano diventati, forzatamente, i nuovi lari della architettura: la certezza che la Crisi è solo apparente (il concetto di
krisis contiene in sé già il suo superamento avendone raggiunto l'acme) mi è stata data anche dalle sue riflessioni sui progetti di
Eisenman e Tschumi. Disegnare e segnare attraverso le cose che ri-affiorano mi sembra atto di grande sensibilità.
Raffaele Cutillo cutillo@ofca.net
Fuzzy
Architecture
Mi capita spesso di addentrarmi in due mondi
apparentemente lontani dal mio, la psicologia e la chimica, dove la ricerca e la sperimentazione si spingono in territori suggestivi...
per me due piatti da cui attingere incessantemente concetti da ibridare con il mondo dell'architettura e del progetto. Comincio dal
mare magnum dei "legami deboli" o "fuzzy knowledge" o "loose coupling", che partendo dalla bio-chimica
investe i campi dell'economia, della sociologia, fino alla neurobiologia e alla psicologia appunto, tema che può offrire anche a noi
architetti un nuovo paradigma, un nuovo alfabeto, essendo per sua natura concettuale un tema "liquido", complesso e
"stratificato", estremamente adatto a rappresentare e ad aderire al mondo contemporaneo in continua e instancabile evoluzione e
interazione. L'epistemologia della scienza, nel suo significato più ampio, va in questa direzione. Provo ad essere più esplicita e a
far capire perché la teoria dei "legami deboli" ci offre oggi un forte aggancio sia dal punto di vista concettuale sia per i
possibili esiti formali e spaziali. In chimica da un singolo atomo si possono creare tantissimi aggregati di atomi dette molecole. Ma
la struttura molecolare, e anche la sua forma, è influenzata dal tipo di legame che si è instaurato tra i singoli atomi della molecola,
che a sua volta influenza la struttura e la geometria tra le molecole stesse e quindi di tutto il reticolo cristallino. Questo tipo di
legami non è fisso, prevedibile e non è strutturato a priori ma molto flessibile, pur dando vita a elementi definiti; faccio un esempio:
prendiamo dell'acqua... tra le sue molecole non c'è una struttura reciproca fissa e specifica, ci sono legami mobili non perfettamente
strutturati, non "chiusi", e in ragione di tutta una serie di variabili esse si spostano si assemblano si trasformano con
facilità, ma alla fine l'elemento a cui danno origine è sempre acqua, cioè un elemento preciso e identificabile. Così come, detto in
parole povere, anche i due fili del DNA sono tenuti insieme da legami deboli. Durante la divisione delle cellule la molecola del DNA si
svolge ed i legami deboli fra gli accoppiamenti si rompono, permettendo che i fili si separino, dando vita alla sequenza genetica di un
nuovo organismo. [...]
Antonia Marmo antonia.mar@katamail.com
[con riferimento
a "Il
Vuotometrico. Architettura dello spazio"]
Autostrade virtuali
La realtà contemporanea è sempre più caratterizzata da due tipi di "rete", quella dei trasporti e quella delle
telecomunicazioni. La relazione tra fra le due è forte. Infatti, il linguaggio del mondo informatico fa uso continuo di analogie con il
mondo dei trasporti: si "naviga" su Internet, si visitano dei "siti" in Rete. L'architettura da sempre si è dovuta
relazionare con la prima e negli ultimi anni abbiamo dei tentativi di relazione anche con la seconda. Un esperimento di grande
interesse e quello illustrato da Felix Arranz nel articolo: "Algo pasa en la arquitectura... CONTEXTOS VIRTUALES Y ARQUITECTURA
CONTEMPORÁNEA", in cui descrive come si può realizzare un angolo virtuale all'interno delle nostre case, sovrapponendo alle pareti
due schermi che proiettano di volta in volta immagini differenti. In futuro, forse, potremo scegliere di abitare in qualunque parte del
mondo poiché essere al centro di una rete di connessione dipenderà non più soltanto da dove ci troviamo fisicamente, ma soprattutto dal
nostro potenziale informatico di connessione e comunicazione.
Natale Gencarelli natgenc@hotmail.com
[con riferimento
a "Spazi
nuovi"]
Potenziale
Penso
alla Land art che trova un rapporto diverso facendo dello spazio un supporto e un soggetto delle nuove forme di invenzione artistica. Per
la sua stessa natura effimera infatti apre le porte all'idea di intervento nello spazio come "esperienza", non solo spazio
"naturale" di vallate e montagne, ma anche spazio urbano: basti pensare all'intervento di Christo al Parlamento di Berlino,
rivestito con chilometri di stoffa o alla Torre del Vento di Toyo Ito dove ogni impulso esterno è trasformato tramite impulsi elettrici
in luce diversa. Ma stessa cosa si può dire degli interventi sul paesaggio e prendo come esempio uno stage che mi è capitato di fare in
Francia dal titolo "lire et écrire l'espace", che mi ha principalmente portato a vedere lo spazio non solo come costruito, ma
come infinita possibilità di intervento.
Alessia Roselli alrosel@tiscali.it
Evoluzione dinamica
L'evoluzione non-lineare, sembra, ormai, caratterizzare il nostro presente, e quindi il nostro futuro, e in questo gioca un ruolo
determinante l'informatica. Per molte delle metropoli contemporanee non è possibile costruire un sistema di controllo e di previsione
e nemmeno procedere per stati di equilibrio. Il sistema è dinamico e l'equilibrio non è più concepibile. In relazione ai sistemi
dinamici per descrivere il caos delle realtà metropolitane contemporanee, riporto un passo che mi sembra molto lucido tratto da: Geografia
Urbana, B. Cori, G. Corna Pellegrini, G. Dematteis, P. Pierotti, UTET Torino, 1993, pag 114.
"La città può essere pensata come un ecosistema (in generale un ecosistema
è un insieme di popolazioni vegetali e animali e delle relazioni che questi hanno fra loro e con le componenti fisico-energetiche
dell'ambiente in cui vivono. Tali relazioni si concretizzano in flussi di materia, energia, informazioni che , collegando i vari elementi
del sistema, realizzano l'organizzazione del sistema e ne determinano il grado si stabilità) solo se teniamo presente un suo carattere
fondamentale, che la distingue dalla maggior parte degli ecosistemi naturali: quello di essere un sistema aperto, in costante squilibrio
energetico con l'ambiente esterno... Oggi ogni ecosistema urbano ha come suo ambiente esterno l'intero pianeta, e ciò spiega perché non
esistono più limiti alla crescita dimensionale della città. Non solo, ma è proprio il continuo superamento dei vecchi limiti che rende
la città un sistema sempre più energivoro."
In questo contesto l'architettura viene contaminata da segni che sfuggono
alla codificazione tradizionale e all'evoluzione lineare e analitica tipica del movimento moderno. Questi segni sono strettamente connessi
alla modalità dell'agire nomade, cioè un agire privo di controllo, che segue un'evoluzione non-lineare e che
necessita di un nuovo
linguaggio per essere descritto.
Natale Gencarelli natgenc@hotmail.com
[con riferimento a "La via dei simboli"]
Concatenazioni emozionali
L'architettura contemporanea, partendo da un certo
modernismo e postmodernismo, sempre più rifiutandone la maniera, demotivata e occludente, sta divagando in tutte le direzioni della
differenzialità. È un'architettura "multiculturale" che, attraverso una sofisticazione degli strumenti culturali e tecnici,
mostra i disagi ambientali, gli spaesamenti, le incertezze di identità della società in cui vive. L'architettura si sta mettendo a
disposizione del caos. La paura profetizzata da Victor Hugo, quando temeva che il libro distruggesse il ruolo dell'architettura, sembra
essere stata esorcizzata, come una nuova cattedrale gotica, ricca di simboli e sublime stupore, essa è risorta dalle sue ceneri,
incarnandosi e vestendosi di "comunicazione", per palesare il nuovo sentire comune. Oggi l'architettura contemporanea, mentre
ripercorre con maggiore proprietà e adeguatezza tecnologica le astrazioni, semplificazioni, ancora prevalentemente stilistiche del
razionalismo e di altre tendenze del movimento moderno, sta affrontando un'inedita fase di sperimentazione innovativa, che è in rapporto
con la terza rivoluzione industriale, ma più esattamente con le novità tecnico- scientifiche dell'elettronica, del controllo delle
condizioni ambientali, delle ingegnerie biologiche e genetiche, dello sviluppo dell'informazione. Le tematiche dell'androide o del
cyborg, nipote di Frankenstein, estremizzano quella che è soprattutto una mutazione antropologica. Il corpo dell'architettura si
modifica per seguire le radicali evoluzioni dell'uomo contemporaneo. I nuovi maestri come Peter Eisemann, Daniel Libeskind, Zaha Hadid,
hanno in comune una visione della città contemporanea lontana, e, forse, più realistica di quella armonica e
ordinata immaginata dai
padri razionalisti, e ad essa contrappongono una città mutante, in continua evoluzione, contraddittoria ed emblematica, ove "
creature simboliche" mostrano il sistema delle artificiosità emozionali del loro tempo. Le risposte in tale direzione non vengono
date utilizzando schemi e categorie prefissate, espressione di un determinato potere politico, ma confrontando categorie di qualcosa di
indefinito, di vago, di nuovo. La nuova architettura non si pone come modello di comportamento, non promette paradisi artificiali ma,
dialettizzando il conflitto tra romantiche nostalgie e ironie contemporanee, diviene il luogo in cui l'immaginario collettivo può
scatenarsi, farsi sentire. Si va contro l'ordine centrato, grigliato, naturale o macchinista, si cerca lo sgretolato, l'anomalo, non
tanto per creare inquietudine ma, per liberare il differente regime dell'immaginario in una rete relazionale aleatoria
che esclude lo
sviluppo di una manualistica per tipi e modelli. L'architettura si libera dalla pretesa di proporre un modello totalizzante e può
nuovamente dispiegare comportamenti plurali e concatenazioni comunicazionali.
Alessandra Ciccotti ciccottandra@libero.it
Tre
tipi di Simbolo
L'architettura
contemporanea è simbolo. Il significato di simbolo in architettura
può essere, a mio parere, inteso con diverse accezioni:
a.. Il
simbolo può essere un messaggio celato da metafora. Una metafora costituita da elementi architettonici che richiamano alla mente immagini
e idee che costituiscono il messaggio implicito e interpretabile dall'osservatore, che
è quello che il progettista vuole trasmettere. Un esempio di
questo concetto di simbolo come metafora può essere rilevato nello "Yad Layeled" Museum Kibbutz Lohaniemei Ha' Getaot (Arch. Rami
Karmi) dove la spirale che si vede nell'immagine sottostante rappresenta un vortice oscuro
(l'Olocausto) la cui risalita consente di
raggiungere la luce centrale.
a.. Il simbolo può essere un
esplicito messaggio pubblicitario che diviene parte integrante dell'opera architettonica. A questo proposito riporto uno dei tantissimi
esempi di architetture di questo tipo che caratterizzano la nostra epoca dell'informazione: la sede centrale della McDonald's di Helsinki
( Arch. Mikko Heikkinen, Markku Komonen).
a.. Il simbolo può essere la monumentale architettura rappresentativa di una città,
come nei casi, ampliamente illustrati nel suo articolo, del Guggenheim o dell'Opera House.
Marina Lo Re marina.elle@tin.it
Matrice
iniziale
Se i maestri del movimento moderno hanno realizzato delle architetture funzionali
capaci di rappresentare il mondo industriale, gli architetti odierni vogliono confrontarsi con il mondo informatico, che domina
quest'epoca. Viviamo in un periodo di grande trasformazione dove l'architettura sente l'esigenza di rinnovamento, in un'epoca in cui la
comunicazione gioca un ruolo di protagonista in tutti i settori. Nella battaglia tra architettura tradizionale e d'avanguardia i
protagonisti risolutivi sono stati gli architetti del movimento moderno, che pur vivendo in un determinato contesto culturale sono
riusciti a promuoverne uno nuovo, frutto di una ricerca alternativa che ha dato un nuovo aspetto all'architettura. Gli architetti di
oggi attraverso le loro opere vogliono suscitare emozioni e stabilire un dialogo con le persone. Per rispondere a questa nuova esigenza di
"comunicazione" si recupera l'idea simbolica dell'opera, abolita in precedenza dai maestri del movimento moderno. Viene
recuperato il "simbolo" che ha finalità diverse rispetto al passato, non più valore rappresentativo del potere religioso o
politico ma mezzo di narrazione dell'artista. In questo rinnovamento diventa sempre più importante il ruolo che assume l'informatica,
in principio come strumento di progettazione fino ad arrivare ad oggi dove è la matrice iniziale dell' idea progettuale. L'architettura
e l'informatica si fondono in un'unica arte e diventano il mezzo attraverso il quale l'artista comunica.
Roberta Mililli robertamililli@tiscali.it
Nuova
vocazione
Una "nuova
vocazione" dell'oggetto architettonico? È un desiderio di trascendere
dalla materia e dalla funzione? È una volontà di essere e poter dire?
L'edificio che racconta, che emoziona, che nel suo volere apparentemente
emancipare da se stesso l'osservatore, lo condiziona con la sua forte
identità, diventando osservatore esso stesso...cito due immagini esemplari:
il Museo Surralves a Porto e la Escuela de Perodismo a Santiago de
Compostela, di Alvaro Siza, che sorprendono, perché nascoste in un
linguaggio apparentemente diverso ma che rende più vero e radicato
questo atteggiamento.
Le persone vengono incanalate, a loro insaputa, ignare di appartenere
alla composizione architettonica, ignare di interagire e, perché no,
di modellare il volume con il loro camminare: inizia la narrazione,
con un largo incipit e uno scambio di ruoli tra osservatore e architettura.
Un percorso catartico, immagini che si appellano alla memoria e ci
danno continui riferimenti ad altro. Ma tutto pian piano viene svelato.
Lo spazio interno nasconde, dietro la sua pensabile entropia, una
volontà a rompere la scatola...crea ponti con l'esterno attraverso
dei muri che piegano e occhi che aggettano ad inquadrare qualcosa
[...]
Debora Carbini
debee_@hotmail.com
SimbolicoSimbolo
È attraverso l'uso di simboli (simbolismo) che si ottiene un'architettura
simbolica (riferita al simbolo)?
Probabilmente nel caso di Utzon l'operazione sembra riuscita, un'architettura
contenente simboli diventa un simbolo.
Sicuramente non è sempre così.
Prendendo in considerazione le due opere di Renzo Piano citate nell'articolo,
ritengo che il Beaubourg possa essere considerato un edificio simbolico,
mentre il Museo di Amsterdam un'architettura simbolista.
Il primo riesce a incarnare la natura tecnocratica degli anni settanta
(ne è simbolo), senza l'uso di elementi metaforici.
Il Museo della Scienza usa il simbolo della nave per cogliere i fermenti
del porto, "...da sempre deputato allo scambio delle merci diventa
luogo di rapporto virtuale, esperenziale e sociale" (Elisa Ossino,
L'Arca, 121, dicembre 1997), ma non è un simbolo.
Mauro Rossi
mauro.rossi@tiberweb.com
[con riferimento a "Dalla terra al CAD"]
Rapa calcolatore
Il calcolatore è sicuramente la rapa del nostro secolo, ma tanto il
primo come il secondo denunciano più il bisogno di informare o di
essere informati?
I modelli lignei di Michelangiolo prima di servire ai mastri costruttori
non erano forse necessari allo stesso Buonarroti per aiutarsi a esprimere
le sue idee?
Quando eseguiamo una modellazione siamo noi che valutiamo quali siano
le viste da mostrare per controllare i punti significativi del nostro
progetto o per una verifica dello spazio progettato.
Andrea Di Laurenzio
andreo@tiscalinet.it
Strutture gerarchiche
Ecco cosa intendo, quando trovandomi a parlare di architettura, il
più delle volte il mio sguardo si rivolge in altri tipi di fonti.
Le strutture gerarchiche le avrei senz'altro potute spiegare con una
mia descrizione, ma anche in questo caso preferisco riferirmi a un
testo esistente, e precisamente alle "affinità elettive"
scritto da W. Goethe.
Nella parte dedicata al prologo è lo stesso Solger che dimostra la
totale comprensione del romanzo. Egli ammira come "estremamente
ingegnoso" il modo con cui i personaggi vengono contrapposti
tra loro solo in gruppi, mentre poi i componenti di ogni gruppo sono
l'un l'altro non poco affini, pur distinguendosi tra loro in maniera
così ampia, così sicura, così conseguente che "anche in queste
loro diversità sembrano genialmente divisi in sottogruppi". Ammette
che "qualche volta i personaggi sembrano agire più per volontà
dell'autore e specialmente ai fini della situazione da crearsi, che
non per se stessi e in obbedienza alla loro intima natura".
Loris Rossi
lorisrossi@katamail.com
Disegnare
Riporto un brano della premessa di Bruno Zevi in "Rinascimento
e manierismo. Controstoria dell'architettura in italia", Enciclopedia
Tascabile, Tascabili Economici Newton, 1995:
"È l'età della prospettiva, scoperta deleteria poiché, al
posto della realtà vissuta, pone come obiettivo la sua rappresentazione
tridimensionale. Da quel momento, a parte i trasgressivi, gli architetti
non pensano più agli spazi, ai volumi, agli snodi e ai percorsi, ma
solo al modo di graficizzarli. Per facilitare tale compito, impoveriscono
la loro strumentazione, geometrizzano, mortificano l'edificio in uno
scatolone. Impera da allora l'assolutismo sadico del disegno, che
provoca una strage professionale: migliaia e migliaia di persone dotate
rinunciano a fare gli architetti perché "non sanno disegnare",
mentre a quelli che sanno disegnare dovrebbe essere precluso l'accesso
alle facoltà di architettura."
Questo brano di Zevi può, a mio avviso, essere attualizzato e descrivere
appieno il difficile rapporto tra architettura e informatica. Si potrebbe
affermare che troppo spesso, purtroppo, molti architetti non pensano
più all'architettura "reale" ma solo a quella "virtuale".
Troppo spesso oggi nelle fascinose rappresentazioni elettroniche dei
progetti si sacrificano l'architettura e i suoi contenuti reali.
Michele Lisena
mlisena@inwind.it
Liberare l'anima
Da Pietro Abelardo (Dialectica, prima metà del XII sec.) a Leon Battista
Alberti ("De Re Aedificatoria", forse 1445-1450) a Raffaello
("Lettera a Baldassarre Castiglione", 1515), la natura mentale
del progetto non è mai stata posta in dubbio.
Quello su cui è possibile discutere è la tecnica di restituzione dell'idea
architettonica, da sempre influenzata dalla "maniera cognitiva"
(cioè dal modo di pensare) proprio d'una data cultura, e che a sua
volta determina il risultato architettonico. Da Vitruvio ("De
Architectura", ultimo quarto del I sec. a.C.), per tutto il medioevo,
e rimanendo agli esempi citati, per l'Alberti ("De Re Aedificatoria")
e Raffaello ("Lettera a Leone X", 1519, scritta con Baldassarre
Castiglione), la rappresentazione dell'idea architettonica era affidata
principalmente a disegni di piante, sezioni, prospetti. D'altronde
la maniera cognitiva diffusa nell'Europa occidentale sino a buona
parte del XX sec., è stata dominata dai concetti aprioristici di orizzontalità,
verticalità, perpendicolarità.
MICHELANGELO, dall'interno del modello rinascimentale, opera una prima
importante RIVOLUZIONE: pur accettando per buoni programmi celebrativi,
un'idea di visione monocentrica, forme di comunicazione figurative,
modelli urbani chiusi e sistemi di costruzione continui, riesce a
percepire la complessità della realtà e la crisi di valori che attraversa
la cultura del suo tempo. E cerca nuovi parametri di comprensione
del reale: alla presunzione delle regole di natura, immutabili e intelligibili,
sostituisce la consapevolezza della mutevolezza della realtà vivente,
della distanza della realtà materiale dalla perfezione, della dignità
e della potenza espressiva di ciò che non è come gli altri avrebbero
voluto che fosse. L'architettura diventa espressione d'uno stato dell'anima,
che interpreta la vita vissuta come dramma. Michelangelo riesce, come
Cezanne, a rappresentare per paradosso, attraverso la mutevolezza,
l'essenza delle cose (vedi i "Prigioni" del 1530-34).
Il neoplatonismo non rappresenta una via di fuga, ma la percezione
chiara e distinta della preminenza dell'idea non solo sulla funzione,
ma anche sulla forma (vedi il tema del "non finito"). Non
importa lo studio dei tipi, né la sostituzione delle regole imperanti
con altre: da questo punto di vista la rivoluzione michelangiolesca
è superiore a quella tentata da Victor Horta col suo nuovo stile.
È a Michelangelo che si devono i processi mentali da cui scaturiscono
le architetture-sculture di Gehry: Buonarroti stesso riteneva di essere
nato per la scultura; e se credeva che "la pittura mi pare più
tenuta buona quanto più va verso il rilievo" ("Lettera a
Benedetto Varchi", 1546), probabilmente doveva pensare lo stesso
per l'architettura (poiché "la pittura, e l'architettura e la
scultura trovano nel disegno la loro sommità"; Francisco De Hollanda,
Dialoghi romani con Michelangelo, 1548).
Quello che Michelangelo possedeva, e che nessun modello elettronico
potrà mai riprodurre, è la capacità di "cogliere" idee:
nel proprio cervello, o meglio, nella propria Anima.
Massimo Fanasca
maximo@mclink.it
Input e nuovi paradigmi
Oggi siamo sicuramente appartenenti a una epoca di mezzo, ove gli
aspetti di crisi, di slancio verso la modernità e di rigurgiti passatisti,
imperniano il modo di fare e di essere dell'attività umana.
Risulta chiaro che ogni epoca è stata interessata dall'affermarsi
di un proprio paradigma tecnico-economico che "propone"
ripercussioni più o meno puntuali, dal modo di sviluppare i rapporti
economici, dal modo di concepire l'espansione della città, al modo
di intendere e di fare architettura.
Illuminante per capire l'evoluzione della tecnologia e l'influenza
che questa ha avuto sul mondo in tutti i suoi campi, sono gli scritti
di Enrico Ciciotti che in un libro " Competitività e territorio"
fa chiarezza sui caratteri dominanti e gli input che hanno caratterizzato
i vari paradigmi nel mondo cosiddetto contemporaneo, in un arco temporale
che parte dalla fine del 1700 per giungere fino ad oggi.
1. 1770-1840 PRIMA MECCANIZZAZIONE: Input principali sono stati ferro
ed energia.
2. 1830-1890 FERROVIE (VAPORE) : Input principali sono il carbone
ed i trasporti.
3. 1880-1940 INDUSTRIA PESANTE : Input principali sono il vapore e
l'acciaio.
4. 1930-1980 PRODUZIONE DI MASSA : Input principali sono l'elettricità
ed il petrolio.
1970-... TECNOLOGIE DELL'INFORMAZIONE : Input principale è la microelettronica
ove le informazioni hanno un carattere rilevante come input, e la
produzione assume sempre di più aspetti di DEMATERIALIZZAZIONE.
Antonio Castelluccio
antcastelluccio@libero.it
[con riferimento a "La
rivoluzione informatica"]
La stiratura e le nuove pieghe della mente
La stiratura può essere vista come metafora dei cambiamenti antropologici
della nostra società.
Rispolverando le stanze della memoria mi sono ricordata di questa
installazione datata 1993 ad opera degli architetti Liz Diller e Ricardo
Scofidio.
Mi sembrava interessante l'idea di come un oggetto, la camicia, e
il suo uso all'interno della quotidianità, potesse ben rappresentare
i cambiamenti della nuova sociètà contemporanea, che rifuggono ogni
schema pre-ordinato, prestabilito volgendo lo sguardo al caos, alla
casualità, all'interattività di differenti livelli che abbracciano
campo dello scibile.
L'antica scacchiera metropolitana, trasposizione nel contesto urbano,
dei rigidi formalismi della città industriale, lascia il posto alla
era delle informazioni, degli ipertesti, della tecnologia nuova.
Si attua una nuova lettura delle facoltà percettive e motorie del
corpo umano, l'esplorazione di nuovi linguaggi espressivi, l'ampliamento
della libertà di azione.
Bad Press prende in esame la stiratura, un'attività domestica ancora
guidata da principi di economia del movimento progettata da ingegneri
dell'efficienza a cavallo del secolo.
Nello stirare una camicia, ad esempio, con uno sforzo minimo è possibile
ridarle forma trasformandola in un'unità bidimensionale e ripetitiva
che occuperà uno spazio ridotto.
Lo schema standardizzato della stiratura "disciplina" sempre
la camicia dandole forma piatta e rettangolare che trova il proprio
posto all'interno di sistemi ortogonali di esposizione degli oggetti:
gli imballaggi, i display espositivi, i cassetti del comò, gli scaffali
degli armadi o le valigie.
Una volta che l'indumento sarà indossato porterà su di se i segni
della logica ortogonale dell'efficienza.
Le pieghe parallele, gli angoli retti di una camicia pulita e stirata
sono diventati emblemi ricercati di raffinatezza.
Cosa succederebbe se l'attività di stiratura si potesse liberare dell'estetica
dell'efficienza? Forse gli effetti della stiratura diventerebbero
rappresentazione dell'era postindustriale e l'immagine del funzionale
si tradurrebbe in dis-funzionale.
Alessandra Ciccotti
ciccottandra@libero.it
Nuovi domini
Premessa. Sin da quando ero una "matricola" ho sempre pensato
che l'architettura non potesse fare nette distinzioni tra spazio,
uomo e natura, e che progettare un edificio o una piazza significasse
per questo una simultaneità di considerazioni e un rincorrersi di
temi mai contemporaneamente afferrabili; ero quindi convinto che "fare"
architettura avesse una sorta di responsabilità sociale, estesa ben
oltre i limiti della disciplina. Quell'idea, confusa e a volte paralizzante
di cui avvertivo il grande "peso" (inteso come "fatica"
e non certo come "importanza"), prende oggi, con l'IT, nuovi
e inattesi significati che rendono il tutto maggiormente complesso
ma che forniscono anche gli strumenti per governare i nuovi fatti.
E i nuovi accadimenti da cui voglio partire per "parlare d'architettura"
riguardano proprio il rapporto tra lo spazio, l'uomo e la natura.
[...]
Roberto Sommatino
robertosommatino@libero.it
Profezia
Le nostre città saranno invase da migliaia di "mostri metropolitani"?
Le gerarchie scompariranno e la struttura piramidale della società
e dell' architettura muteranno in una struttura orizzontale, rizomatica,
simile alla Rete?
Viviamo in una società dove la parola chiave è Globalizzazione, le
nuove tecnologie corrono così veloci che nemmeno gli addetti ai lavori
riescono a stargli dietro.
L'architettura riflette e dopo Bilbao cerca lentamente di rifondarsi,
o almeno cerca di capire cosa gli sta succedendo.
La rivoluzione informatica è inarrestabile, sostengono alcuni, bisogna
cavalcarla per non rimanere indietro, cercare di intuirne le traiettorie
per non restare spiazzati e entrare vincitori in questo terzo millennio
già avviato.
Uno dei nodi centrali è costituito dal rapporto tra architettura e
Potere (politico, economico, sociale), argomento spinoso se consideriamo
quanto Internet stesso sia rappresentativo di un paradosso di dimensioni
monumentali: portatrice di un ideale anarchico e sovversivo, ma anche
spettro di un Grande Fratello latente.
Lo sviluppo della nuova architettura non può prescindere dalla capacità
di metabolizzare l'orizzontalità della rete, la sua potenzialità rizomatica.
Appare pienamente condivisibile, in quest'ottica, l'orientamento levyniano
per "un'architettura senza fondamenta, come quella delle imbarcazioni
[...] l'architettura dell' esodo fa crescere un cosmo nomade tra universi
di segni in espansione [ ...] Lungi dall' istituire un teatro della
rappresentazione, l'architettura del futuro assembla zattere di icone
per attraversare il caos .[...] traducendo il pensiero plurale, essa
erige palazzi sonori, città di voci e canti, istantanei, luminosi
e mobili come fiamme." (da Pierre Levy, L'intelligenza collettiva.
Per una antropologia del Cyberspazio. Feltrinelli 1996).
Natale Gencarelli
natgenc@hotmail.com
Il Quarto Elemento
"Tre cose in ciascuna fabrica -come dice Vitruvio- deono considerarsi,
senza le quali niun edificio meriterà esser lodato: e queste sono
l'utile o comodità, la perpetuità e la bellezza. Percioché non si
potrebbe chiamare perfetta quell'opera che utile fusse ma per poco
tempo, overo che per molto non fusse comoda, overo, ch'avendo amendue
queste, niuna grazia poi in sé contenesse".
Questo è quanto scriveva, in pieno Cinquecento, Andrea Palladio prendendo
spunto dalle parole di Vitruvio.
Operando una traslazione di questi concetti nell'epoca attuale possiamo
confermare che i requisiti fondamentali per un organismo architettonico
sono la FUNZIONALITÀ, la STABILITÀ (la resistenza), e l'ESTETICA.
Tre attributi che oggi sono ancora necessari ma non sufficienti.
Una forte accelerazione al ritmo del globo è stato indotta dall'entrata
in circolo dell'elettricità; negli ultimi cinquant'anni i suoi effetti
sono stati amplificati dall'introduzione di nuove tecnologie, legate
chiaramente all'elettronica e all'informatica. Le pesanti informazioni
(che da sempre hanno viaggiato incise su oggetti: pietra, papiro,
pergamene, carta) si sono dematerializzate in leggeri e veloci impulsi
elettrici sfondando il muro spazio-temporale e creando una intreccio
infinito di INTERCONNESSIONI: la rete.
Nella nostra società, quindi, in piena rivoluzione informatica, assume
grande importanza la DIMENSIONE COMUNICATIVA.
E proprio di un ulteriore livello comunicativo ha bisogno di rivestirsi
e impregnarsi l'architettura moderna (moderna in senso a-temporale
come frutto di reazione ad una crisi). "Un edificio non è più
buono solo se funziona, è solido, spazialmente ricco, ma perché rimanda
ad altro da sé". (Saggio, 1998)
Un libro che mi ha permesso di analizzare a fondo le radici dei SEGNI
ARCHITETTONICI COME FATTI COMUNICATIVI è stato scritto da Umberto
Eco nel 1968 e s'intitola "La struttura assente. La ricerca semiotica
e il metodo strutturale".
In questo mio scritto cercherò di delineare lo sviluppo dei livelli
di comunicazione tra uomo e oggetto; di evidenziare come oggi l'architettura
sia diventata un amplificatore di significati essendo portatrice di
metafore, di messaggi traslati. [...]
Gabriele Chieppa
brio_75@yahoo.it
Sulla Rivoluzione Informatica... ovvero... sulla Comunicazione...
ovvero... sul Paesaggio
L'architettura nella rivoluzione informatica può manifestarsi tramite
metafore, simboli, icone in modo più o meno intellettualistico o anche
dichiararsi violentemente in creazioni virtuali, cybernetiche sottoforma
di carapaci volanti, forme involute, blob trasparenti dettati da leggi
matematiche e fisiche, legittimando la loro natura improbabile con
algoritmi e frattali.
Uno dei pionieri di "architetture estreme" è MARCOS NOVAK:
il suo lavoro fertile consta di architetture virtuali e temi cruciali
per quegli architetti interessati alla CYberteoria.
"Il CYberspace è architettura e ha un'architettura e contiene
un'architettura " (Novak).
La nuova liquidità del virtuale è all'interno di un oggetto composto
tramite algoritmi, condizionato da un programma che genera genotipi.
"Concepiamo algoritmicamente (morphogenesis) e numericamente,
roboticamente (new-tectonis), abitiamo interattivamente (spazio intelligente),
telecomunichiamo istantaneamente, siamo informatizzati in immersione
(architettura liquida), socializziamo non localmente (dominio pubblico
non locale) e rovesciamo virtualità (trans-architetture), presupponiamo
una nuova soft-Babilonia" (Novak).
Una nuova posizione d'avanguardia che presuppone che la nostra paletta
architettonica digitalizzata ci sta conducendo a creare una città
situazionista cablata, mentre noi lottiamo con alcuni spostamenti
massicci di paradigma che la nostra epoca deve affrontare e affronterà.
Questi cambiamenti non sono senza forma, sono caratterizzati dagli
aspetti del cambiamento metamorfico, agglomerati sotto il prefisso
"trans": tras-mutazione, trasgressione ecc...
La sensuale, fluida forma del progetto richiama e trova la forma nell'esperimento,
in metodi per i quali la forma si autodefinisce derivando dal software
di matematica e ingegneria 3D una serie di forze agenti su una superficie
elastica. [...]
Tiziana Ambrosino
tiziana.ambrosino@libero.it
[con riferimento a "Il
Motivo di Caravaggio"]
Lettura in bozza
La bozza di Caravaggio è bellissima e illuminante, e capisco
anche perchè non può essere compresa senza la lettura
del "Motivo di Sant'Ivo". Sono molti a loro volta "i
motivi" di questo scritto che condivido fino in fondo. Trovo
ad esempio che "spazio in bilico, proscenio, e flash," per
citarne alcuni, siano davvero gli ingredienti incredibili del set
caravaggesco. Un set non a caso, allestito attraverso un gesto fondamentale:
"CALA (Caravaggio) IL MONDO NEL BUIO TOTALE" (espressione
felicissima che cito dall'articolo). Questa operazione, pregna ancora
di quel mistero provocato a teatro dal buio che precede l'apertura
del sipario, innesca tutto lo svolgersi del dramma (non a caso nasce
il dramma barocco),e fa di lui indubbiamente un regista. La luce è
proprio quella del FLASH (altra parola illuminante) e l'immagine dell'attimo,
non del lasso di tempo, è quindi un'istantanea. Questa luce
del resto anche quando è conica diciamo, sembra pericolosamente
letale, pompata a forza in quel proscenio, che proprio per questo
motivo appare ancora più COMPRESSO. Come non condividere lo
stare "IN BILICO?" E' uno spazio funambolico, di alta probabilità
di perdita di equilibrio. Gli amici di Caravaggio infatti (va sempre
rimarcata questa scelta verista) interpretano personaggi che si sono
trovati talmente in alto, in una posizione per così dire "di
vertice", che lo spazio su cui poggiano non può che trovarsi
pericolosamente ristretto. Io trovo che parlare di Caravaggio come
un "regista iperverista ai limiti del Pulp", sia oltre che
un atto di coraggio, anche una grande intuizione intellettuale. Certo
che il regista mette sempre se stesso nella scena, ma quando si tratta
di un autoritratto il suo è sempre fare un autoritratto parlando
con eloquenza di un tema altro. Proprio come Narciso che rispecchiandosi
nell'acqua coglie la propria immagine deformata. Mi piace l'accenno
"all'io diverso". E non posso che rimarcare il fatto che
la vera diversità va difesa con la violenza. E' un mondo di
pericolose incertezze dove si cavalca "senza sella e senza rete",
e dove le scelte personali, non vengono sublimate nelle scene rasserenanti
del Poussin, o in qualche alcova segreta, piuttosto diventano "comme
l'eau qui coule" dove Narciso rispecchiandosi ogni giorno (e
indulgendo pure nell'amarsi) rappresenta il mondoŠ Ma noi purtroppo,
a differenza degli americani non abbiamo i "gender studies"
che potrebbero dirci molto altro su questi ragazzi che sembrano proprio
dei "castrati". Inutile aggiungere che di questi tempi,
dove ci si trova sempre di più "IN BILICO" sull'orlo
di una pericolosissima controriforma culturale basta constatare
come facilmente si trovino in rete articoli di architettura nei quali
si usa il termine barocco secondo la vecchia accezione negativa -
questo itinerario di disvelamento dei nostri barocchi, che dal Motivo
di Borromini (architettura?) passa per quello di Caravaggio (pittura?),
non può che appassionare chi ha a cuore la vera questione:
lo spazio, che Caravaggio (trovo fondamentale questa tesi dell'articolo)
stava già capendo essere prima di tutto quello delle"SCELTE".
Antonino Di Raimo
antonino_diraimo@hotmail.com
Falciata dada
Mi ha sempre incuriosito questo metodo di studio, e come vedrai in
futuro (almeno spero) mi influenza direttamente. Mentre sei immerso
nel vivo della ricerca contemporanea e nello spessore della sua complessità
arriva una falciata trasversale imprevedibile - almeno per noi - che
ti riporta a Borromini e subito dopo a Caravaggio. In realtà
chi ha seguito le tue lezioni sa bene che si tratta di riferimenti
forti, di una sorta di filo conduttore già steso. Insomma mi
colpisce anzitutto il "metodo", che peraltro sintonizza
molto con quello zeviano e cioè questo continuo altalenare
tra figure perturbanti, realmente d'urto: senza tempo. Costruire una
struttura d'indagine e di verifica che sia innervata nella complessità
della cultura contemporanea, nelle sue contraddizioni, e con questa
fare dei carotaggi all'indietro. Il risultato è di una fragranza
sorprendente. La forza sta quindi nel metodo, cioè nell'articolazione
del pensiero, nel tuo lavorare per livelli e parole chiave. Questa
è per me la prima, grande lezione, che ritrovo con prepotenza
sul "motivo di Caravaggio". Conosco poco Caravaggio, ma
entro con estrema facilità nella tua cornice d'analisi. Vi
entro con facilità perché la tua lettura è chiarissima,
densa di parametri. Vi è poi la potenza della contaminazione
e la sua capacità di aprire nuovi orizzonti all'architettura.
La riflessione che fai sullo spazio di quella finestra che da' un
accenno di profondità e poi bruscamente la nega con la chiusura
netta, rimanda alla lettura spaziale che Zevi faceva di S. Ivo e cioè
"quello spazio che tendenzialmente va al di là del suo
involucro murario". Ma in Caravaggio rivedo questa citazione
in una versione più drammatica. La finestra chiusa sembra davvero
uno strumento di protesta assai vicino agli espedienti dadaisti, ai
gesti eversivi di Dunchamp. E' in quest'accezione fai benissimo a
specificare in apertura la forza dirompente dell'arte. E' la sacrosanta
verità: l'arte è autentica quando è maldestra.
Vi è infine l'energia di un linguaggio verbale - il tuo - (forgiato
sull'esperienza spaziale) che ha un effetto adrenalinico e che a me
ricorda sempre Argan. Sono rimasto folgorato dalle parole di Argan
su Degas e non solo, perché ad certo punto nel parlare di arte
lui aveva affinato un linguaggio espressivo che era esso stesso arte.
Una sorta di arte che genera l'arte, e in questa tuo rimbalzo su Caravaggio
io ho avvertito una spiritualità, una drammaticità negli
scatti rivoluzionari che è qualcosa che si può comprendere
solo costruendo le proprie lenti della contemporaneità e, attraverso
queste, guardare indietro.
Giovanni Bartolozzi
bartolgi@hotmail.com
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IT REVOLUTION
[con
riferimento a "Temi il demo?"]
Una storia o tre storie?
Questo libro suggerisce diversi spunti di analisi
sull'evoluzione del linguaggio, sul modo di comunicare e di interagire degli uomini. L'autrice insiste molto sulla comunicazione e
sull'apprendimento come narrazione; quindi per illustrare gli stimoli che il libro ha indotto in me, proverò a raccontare una storia: la
mia storia in rapporto al digitale... UNA STORIA TRADIZIONALE... "Un giorno Marina si iscrisse alla facoltà di architettura,
all'epoca i suoi strumenti di comunicazione erano una matita e la sua voce. La matita e la voce le permettevano di trasmettere agli altri
i suoi pensieri, ma il messaggio che riusciva a trasmettere era poco "accattivante" se confrontato con quello che riesce a dire
oggi con le sue "conquiste" nel modo digitale. Al terzo anno della facoltà decise di avvicinarsi al modo dell'informatica, il
suo avvicinamento all'inizio era stato molto superficiale perché in sostanza aveva solamente sostituito la matita con il mouse con
l'intento di guadagnare in velocità, precisione e resa del disegno. Vi erano due aspetti del mondo dell'informatica che non era ancora
riuscita a capire: in primis che il nuovo strumento forniva la possibilità di comunicare un messaggio in modo diverso e ad un numero di
"ascoltatori" molto più ampio; inoltre che il contenuto del messaggio, soprattutto in riferimento al mondo dell'architettura,
doveva necessariamente cambiare in relazione al cambio di strumento. Il desiderio di conoscenza e di scambio la fece entrare in questo
mondo di ''solidarietà internettiana'' ma non era ancora abbastanza perché il suo modo di pensare non era ancora cambiato, aveva si
allargato i suoi orizzonti, ma vedeva ancora il computer come il "sostituto" di una matita per disegnare, di una penna per
scrivere, di una calcolatrice per contare e di una biblioteca per le sue ricerche. Oggi Marina ha capito di dover cambiare approccio, di
non dover più usare il computer come un semplice strumento operativo con il quale "rappresentare" le sue idee progettuali, ma
come uno strumento per far nascere le sue idee, farle evolvere, verificarle e metterle in pratica...". Questo modo di raccontare
una storia è il più tradizionale, ma nulla dice che esso sia il più efficace. Nel libro si descrivono infatti diversi tipi di storie, o
meglio, diversi modi per raccontare storie; a lungo si parla di storie raccontate con il linguaggio visibile, linguaggio che meglio si
applica al digitale. Il mio è un esperimento atto al confronto tra i diversi linguaggi illustrati nel testo: la forma narrativa
scritta di tipo tradizionale, il linguaggio grafico-figurativo (digitale), il linguaggio non lineare degli
iperdocumenti. UNA STORIA
DIGITALE... [...]
Marina Lo Re marina.elle@tin.it
[con
riferimento a "Si può fare di più"]
Dall'Araba Fenice al Work in Progress
La distruzione, se pur non totale del Teatro La Fenice di Venezia, a causa
dell'incendio del 1996, ha avuto come conseguenza la volontà di ricostruzione dello stesso, si ripropone però un conflitto; imitazione
del "perduto" teatro, oppure rielaborazione moderna ? Ripercorrendo le tappe storiche del teatro troviamo, a mio avviso,
delle somiglianze con la leggenda dell'Araba Fenice, quel variopinto uccello sacro agli Egizi. Il primo teatro è inaugurato su
progetto di Giannantonio Selva nel 1792, nel 1836 è distrutto da un incendio, un anno dopo i fratelli Meduna hanno l'incarico di curarne
la ricostruzione. Quest'uccello riprende vita e forme uguali, caratteristica questa che rende originale l'animale e inconsciamente, ci
si aspetta che originale e immutevole sia anche il Teatro la Fenice. Altra caratteristica, che accomuna l'uccello con il Teatro è la
presenza dell'acqua, il primo si nutre di rugiada, la quale ne garantisce la sopravvivenza, il secondo "sorge" come frutto
nutrito dall'acqua, elemento che la sera del 29 Gennaio 1996 lo ha abbandonato, i rii limitrofi ad esso per lavori di bonifica erano in
secca. Da questo secondo incendio, molti si aspettano che "lo scomparso Teatro", riprenda vita non con un rinnovato aspetto,
magari migliore perché no, ma nella rievocazione dello stesso. Negando la trasformazione, si vuol negare in qualche modo la storia e
quel che essa ha portato e reso concreto. È il passare del tempo che scolpisce, colora, profuma gli oggetti e le persone, ogni evento
caratterizza, in maniera più o meno profonda ed evidente, ogni cosa che esiste. Se nel tempo il Teatro la Fenice è diventato un
simbolo, oppure è nato già con questo ruolo, non basta per molti architetti e persone comuni a voler negare qualcosa che nel tempo si è
svolto. L'incendio c'è stato, questo avvenimento è stato sicuramente una disgrazia ma, qualcuno immediatamente o subito dopo aver
asciugato le lacrime, si è accorto che nel rogo sotto le ceneri, c'era una piccolissima fiamma che alimentava il fuoco della
possibilità. Come ha a lungo insegnato Bruno Zevi, si può ripartire da un "Grado Zero": ''La città deve presentarsi
come un ''work in progress", un non finito. No all'accademia ai vincoli prospettici, alla simmetria, al monumentalismo (che
opprime l'individuo). Il progetto non può negare l'eccezionalità. Il museo di Bilbao di
Gehry, il museo di Libeskind sono conquiste
non solo dell'architettura, ma anche delle giurie, dei committenti, dell'opinione pubblica. Se questo non avviene in
Italia è perché
gli architetti non sono capaci.
Leontina Vannini leontina@gilles.zzn.com
[con riferimento a "DDek"]
Un nuovo alfabeto
"L'elettricità
è l'anima dell'età moderna, l'informazione è il suo spirito." (Erik
Davis, 1998).
La forza di questo libro ritengo sia
nel presentare il passaggio alla nuova era informatica e al valore che essa assume nel quotidiano come un processo logico, inevitabile e
quindi facile e accessibile e tutti. Quando dico facile intendo un processo naturale e necessario, come l'avvento
dell'alfabetizzazione
che viene descritto. La creazione dell'alfabeto, e il come ci si è arrivati comporta un cambiamento fondamentale, che non è tanto
nell'evento materiale, quanto nel determinante cambiamento del processo mentale che vi è alla base. Da questo momento in poi l'alfabeto
diviene una "tecnologia centrale nell'elaborazione umana dell'informazione". Se sostituiamo adesso nella frase precedente la
parola Internet a quella alfabeto il risultato è evidente: una nuova era che per caratteristiche di velocità e spazio non può essere
uguale alla precedente e che è caratterizzata da una nuova "informazione" che per le medesime caratteristiche deve trovare un
nuovo modo di divulgarsi. Il problema che si pone è ora come far convivere e interagire il virtuale e il materiale, soprattutto in un
campo così strettamente correlato al concetto di spazio come quello dell'architettura. L'architettura non interagisce con il virtuale
solo perché esso è lo strumento per crearla ma anche in senso opposto. L'architettura nel senso "tradizionale "viene
influenzata e contaminata dal virtuale. Il punto è riuscire a stabilire un limite, a capire quanto vi debba essere dell'uno o dell'altro,
per evitare che la materialità o la virtualità risultino ridondanti e superflui se messi a confronto. Combinazioni felici esistono, e
qui se ne presentano alcune, come il caso di alcune gallerie che hanno dedicato una loro sezione ad una estensione virtuale. Un
interessante esempio presentato dell'utilizzo del virtuale è quello dell'Art+Com di Berlino, in una città che è luogo di memoria si
cerca, attraverso la virtualizzazione della città stessa e la presentazione di materiale che documenta il passato di Berlino di rievocare
la memoria e di ricollocarla dove ormai ha perso di forza caricando di nuove metafore la città reale. Si parla quindi di interazione tra
reale e virtuale, ma fino a che punto ci si può spingere? Ci sono prove, vedi le università totalmente virtuali o le
cybercittà, di
come uno spazio totalmente virtuale non funzioni più. Forse, come dice Tanaka, questo succede perché c'è una difficoltà ad identificare
il proprio io in Internet. La nuova strada dunque va ricercata altrove. Come si può allora ricollocare il virtuale? Abbiamo sentito più
volte i grandi architetti parlare di "pelle dell'architettura", allora forse il virtuale può essere la nuova membrana che
avvolge l'architettura. Questa idea di pelle è efficacemente rappresentata in un progetto di Moller e Joachim
Sauter, "Networked
Skin", che hanno sviluppato per Ars Electronica a Linz in Austria: un edificio a due piani, la cui particolarità sta però nel
rivestimento, nella pelle, essa che è infatti costituita da pannelli di vetro traslucido che di giorno danno sulla facciata l'impressioni
di una parete puramente decorativa opaca di vetro bianco verdastro, mentre di sera la stessa superficie cambia funzione. Gli stessi
pannelli funzionano come uno schermo di proiezione ovvero mandando e-mail o file di immagini o altro ancora, tutti coloro che sono
connessi alla rete possono vederle accolte e proiettate su questo "globo virtuale" che le differenzia per provenienza. Si
capisce come quindi il nuovo spazio virtuale abbia anche una parte completamente e materialmente progettabile. E questo porta direttamente
alla creazione di nuove figure, si parla qui di cybertect, che siano in grado di concepire e gestire in maniera unificata lo spazio
fisico, mentale e virtuale, comprendendone meccanismi e soprattutto interazioni. Perché risulta così importante decifrare le
possibilità di connessione tra materiale e virtuale? Forse perché "l'architettura dell'intelligenza" avrà nuove esigenze che
bisogna prevedere, deve essere un'architettura connettiva quindi capace di aggiornarsi affinché possa risultare sempre e comunque
utilizzabile e al di là del tempo.
Alessia Roselli alrosel@tiscali.it
Dall'alfa-principio all'e-principio fino all'e-world
Il nostro è ormai un "e-world", un mondo in cui le informazioni non sono
più elaborate soltanto tramite l'alfabeto e, quindi, la stampa e i libri, ma sono sempre di più reperibili su internet grazie al World
Wide Web. Internet, dunque, insieme all'alfabeto, costituisce la tecnologia centrale dell'elaborazione umana di informazioni e l'individuo
è oggi in grado di sviluppare una "mente connettiva". Non una "mente privata" o "spazio mentale" a cui
siamo abituati, un universo privato totalmente individuale dedicato all'immaginazione e al pensiero, e neanche uno "spazio
fisico" esterno oggettivo, governato dalle discipline razionali, ma "menti private connesse tra di loro attraverso il
cyberspazio". Questo non comporta che lo spazio interno (né tanto meno quello esterno) saranno rimpiazzati dal cyberspazio e
dall'ambiente cognitivo supportato da computer e Internet; anzi, la scoperta più interessante di Ddek è che esistono delle vere e
proprie analogie tra spazio mentale e cyberspazio... Uno schermo connesso è una meravigliosa opportunità per un individuo, "è
il punto di coincidenza tra lo spazio mentale dell'utente ed il cyberspazio", e oltre ad essere una "finestra sul mondo",
come avveniva per i mass media prima dell'avvento del Web, permette all'utente di entrare direttamente nel mondo. Il cyberspazio è
definito da Ddek come un "terzo regno fra, intorno e dentro lo spazio fisico e mentale". La parola chiave è, dunque,
"connettività" e l'"Architettura Connettiva" è una disciplina che provvede
all'interconnettività fisica e mentale
dei corpi e delle menti e, quindi, permette alle menti che collaborano ad uno stesso scopo di riunirsi e quindi di
"connettersi". Nel raffronto tra il mondo delle comunicazioni fino al 1992 (invenzione del World Wide Web) e l'avvento del
Network emergono sorprendenti differenze che invadono tutti gli ambiti disciplinari. L'architettura sin dall'antichità prediligeva la
visione frontale e, ignorando gli altri sensi, era mero oggetto di percezione visiva, mentre oggi il Network è ovunque e invade tutti gli
spazi, investe tutti i sensi contemporaneamente e sfida la visione frontale. L'alfa-principio, quello dell'alfabeto, che ha accompagnato
l'era meccanica, sta cedendo il passo all'e-principio, quello governato dall'elettricità che ha permesso ad internet di esistere. Grazie
alle nuove tecnologie si è passati dalla predominanza visiva a quella tattile, la mente ora può migrare verso lo schermo liberamente. Ovviamente
questo nuovo "spazio" porta con se nuovi strumenti, nuove tecnologie dell'interfaccia del cyberspazio si fanno largo nei nostri
Personal Computer; queste tecnologie diventano nuovi organi di senso, alle volte costituiscono veri e propri "arti fantasma". In
un'intervista rilasciata a Chiara Sottocorona Ddek afferma che: "Ogni estensione tecnologica che lasciamo accedere alle nostre vite
si comporta come una specie di arto fantasma, mai abbastanza integrato al nostro corpo o alle funzioni della nostra mente, ma mai
realmente al di fuori del nostro make-up psicologico" (>). Molto
presto i "Tunnel della Memoria Collettiva", le "Gallerie Virtuali", le "Hypersuperfici", l'"Art Impact,
Collective Retinal Memory", l'architettura relazionale del "Alzado Vectorial", le "Global Villane Square"(GVS) e
gli "European Palace" saranno parte integrante della nostra vita sociale e saremo in grado di fare uso di questi strumenti con
la stessa disinvoltura con cui comunichiamo tramite i nostri telefoni cellulari e la nostra posta elettronica oggi.
Laura Pedata laurapedata@libero.it
[con riferimento a "Leggere"]
L'Illusione
Le immagini e il movimento dei progetti di Gianni Ranaulo dimostrano che lo sviluppo
della tecnologia può rendere più vivibile l'ambiente, facendo comunicare la città con
l'esterno, l'ambiente con l'uomo, e può suscitare
delle emozioni il più delle volte illusionistiche. Le emozioni che ci regala il progresso tecnologico stanno ormai sostituendo quelle
offerte dalla maggior parte delle espressioni artistiche. Da un dipinto di Giacomo
Balla, che evoca il movimento, si passa ad ampie
superfici coperte da schermi che trasmettono filmati e immagini in movimento. Ora si mettono in
gioco, quanto più possibile, sperimentazioni di nuova era, unendo alla parte emozionale anche Architettura pura. L'emozione del movimento può essere
accompagnata anche da un efficace sistema di insonorizzazione o di illuminazione in grado di rivelarsi come una vera "strategia"
per apparire ed illudere. E attraverso l'illusione e l'uso di immagini, video
e insegne elettroniche, comunicare e informare. Mi vengono in
mente alcune installazioni o progetti di allestimento fatti da alcuni artisti contemporanei che ricorrono sempre più frequentemente a
veri e propri piccoli spettacoli che amplificano l'idea e spesso coinvolgono il pubblico. Trasformare tutto in un video che integra
immagini con parole e suoni, permette di ampliare l'impatto dell'opera, dell'idea che la
sostiene, delle emozioni e dello stupore che essa
suscita. Aumenta così la possibilità di coinvolgere il pubblico e di accrescerne la sensibilità culturale. [...]
Ramona Vitale r23v@wappi.com
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