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IT REVOLUTION

Temi il demo?

Antonino Saggio


Maia Engeli
"Storie digitali. Poetiche della comunicazione"
(La rivoluzione Informatica)
Italia, 1999
Testo & Immagine (Universale di Architettura, n. 64)
pp96, €12,39
prefazione di Antonino Saggio

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[in english]



> IT REVOLUTION BOOK SERIES
La vecchia idea del computer era legata all'incomunicabilità. Chi lo sapeva usare era avvolto da un'aura di mistero tecnicista. Velocemente batteva codici astrusi e come d'incanto apparivano dati, tabelle, equazioni, grafici. Indossava un camice e, preferibilmente, occhiali spessi; soprattutto parlava poco il linguaggio comune perché gli altri dovevano attendere supinamente i risultati. Ma gli altri, oggi, sono diventati protagonisti.

La rivoluzione ha avuto tre tappe, tutte e tre generate dal basso. La prima è legata alla nascita del personal computer. Alla metà degli anni Settanta, il braccio techno del movimento di controcultura del sessantotto dimostra che da appannaggio esclusivo delle élite (militari, finanziarie, accademiche, professionali) il potere del calcolo poteva essere esteso alle masse. Dalle autorimesse, dai loft, dalle cucine riattate a laboratori nascono i personal computer che progressivamente conquistano il grande mercato di massa. E costringono anche i colossi a produrre un oggetto che per anni avevano disdegnato.

La seconda rivoluzione è centrata sulla lotta incomunicabilità/comunicabilità. I primi personal erano basati su un linguaggio industriale e meccanico. Era assertivo, dichiarativo, certo. Si doveva scrivere ESATTAMENTE quello che si voleva fare. Un errore di punteggiatura, una virgola invece di un punto, bloccava la comunicazione tra persona e macchina. Il linguaggio che si diffonde a partire dall'84 è invece metaforico. La comunicazione viene risolta attraverso "immagini". D'altronde nell'epoca delle informazioni la possibilità di condensare decine e decine di dati in blocchi significativi -in immagini, appunto- è la chiave. Ne abbiamo già parlato, la figura retorica è ridiventata il centro perché statuariamente si pone il problema del comunicare in maniera rapida, interconessa, direzionata, anti-oggettiva e anti-assertiva.

Il terzo passaggio si basa sulla creazione di un nuovo linguaggio di programmazione modulare (cioè che può funzionare per parti indipendenti), multipiattaforma (che può comandare diversi tipi e modelli di computer), multimediale (che accolga dati digitali che descrivano diversi esiti finali: suoni, film, oggetti tridimensionali, testi eccetera) e, "last but not least", facile da imparare e da gestire. La prima uscita in larga scala è stato Hypertalk, il linguaggio oggi di maggior diffusione è HTML (Hyper Text Markup Language) che come è noto e alla base della rivoluzione planetaria di Internet. William Atkinson e Hypercard nel primo caso Mark Andreesen e Netscape nel secondo sono stati i propellenti di un'onda di cambiamento che investe milioni di persone.

E ora veniamo a questo libro. Quale è la domanda fondamentale che qui viene posta?

Diremmo che Storie digitali, poetiche della comunicazione parte da un assunto. La comunicazione è uno dei centri dell'epoca informatica perché è componente "strutturale" della società d'oggi. Dato che l'informazione è il bene primario, la capacità di trasmissione, diremmo di "distribuzione", ne è la necessaria conseguenza. Senza comunicazione, oggi più che mai, non si può quasi letteralmente fare nulla. Il desiderio di sapere, di conoscere, di potere partecipare alle decisioni è sempre più diffuso. La società delle informazioni, se nasconde anche inquietanti scenari orwelliani, può condurre a forme più limpide ed estese di partecipazione. Il processo verso la comunicazione è comunque tendenza ineluttabile. Di nuovo il problema è per ciascuno il "come".

Ora la comunicazione richiede, per gli architetti in generale e soprattutto per quella sempre più numerosa serie di specialisti che si occupa del "progetto di comunicazione", un grado di consapevolezza via via crescente. E su questa ricerca di consapevolezza che l'autrice lavora: ponendo in luce innanzitutto la struttura dei dati, il medium schermo, le modalità del linguaggio per immagini, le strutture sequenziali e quelle ipertestuali. Sottende l'articolazione dei diversi materiali, la tesi che la comunicazione riapre anche un nuovo spazio "narrativo" che è in sintonia con un generale interesse verso un'architettura che riconquisti molteplici strati di significato. L'architettura stessa si pone sempre meno come fatto oggettivo, come Sachlichkeit funzionalista e meccanicista per essere essa stessa e sempre più fatto di comunicazione. Maia Engeli può intrecciare questa componente comunicativa all'interno del rapporto architettura-computer per tante ragioni: la prima, non indifferente, è una personalità aperta alla dimensione comunicativa e letteraria che amplia il suo bagaglio strettamente tecnico. Inoltre la frequentazione del Media Lab di Nicholas Negroponte, il contatto con una ispiratrice di messaggi come Muriel Cooper insieme alla sperimentazione condotta in proprio e con i suoi studenti a Zurigo, ne fanno un sicuro punto di riferimento.

D'altronde il libro stesso, anche solo a sfogliarlo, a leggerne le didascalie, a guardare le immagini, a scorrere i flipthrough in basso alle pagine che permettono di vedere un film, è un esempio di comunicazione. Sotteso a questo sforzo è la grande lezione del pragmatismo. Le idee si mettono in pratica, si sperimentano, diventano cose. "Learning by doing" indicava John Dewey, "Demo or Die" è la formula di Negroponte. Una formula che dai ragazzi che negli anni Settanta hanno creato i primi personal a questo stesso libro viaggia come sfida verso culture più astratte, teoriche, cerebrali. Insomma sperimentare, anche e soprattutto nella comunicazione, è un must. "Non temo il demo" ne è il necessario viatico.

Antonino Saggio
[05nov2002]

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