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Coffee Break

Il Motivo di Caravaggio

Antonino Saggio



   

Impressionanti e convergenti il numero degli indizi del caso Caravaggio, un caso che rimette in moto una relazione inevitabile con Francesco Borromini. Quali sono questi indizi e soprattutto quale è "Il Motivo di Caravaggio?". (Ci scusiamo per il linguaggio cifrato, ma questo scritto è la continuazione del "Motivo di Sant'Ivo" e senza quello non può essere compreso). Gli indizi sono Flash, in Bilico, Attimo. L'accademico e pre-massonico Poussin, in preda ai suoi vezzeggiamenti pre-neo-classici è inorridito, e qualche decennio dopo la morte dice: "Caravaggio è nato per distruggere la pittura". E naturalmente ha ragione. Caravaggio distrugge la pittura come è conosciuta sino allora, ed è un'azione violenta e lacerante. La deve distruggere per creare una nuova visione. L'arte al suo culmine è negativa. Deve eliminare quanto la precede per affermare un nuovo modo di capire, di sentire e di vedere.



IN BILICO. La prima cosa che Caravaggio distrugge è il telaio prospettico, o meglio l'idea stessa di finestra-cornice. Non è il primissimo, intendiamoci, vi erano state avvisaglie nel corso del Cinquecento, ma in Caravaggio è la premessa per la creazione di un nuovo drammatico spazio.

Capiamoci. Mai visto un Piero della Francesca (o un Masaccio o un Antonello da Messina?). La finestra è la chiave. Il quadro è visto attraverso una finestra-cornice che inquadra la veduta e crea profondità; e la profondità è realizzata attraverso lo spazio prospettico: uno spazio regolato, misurato e profondo. Caravaggio no. Caravaggio chiude drammaticamente la finestra prospettica, comprime lo spazio per farlo saltare fuori. Guardate il celeberrimo quadro alla Contarelli de "La vocazione di Matteo". I personaggi sono schiacciati in pochi centimetri e sono a ridosso dello spettatore. Non c'è profondità. E la finestra nel quadro c'è, ma è appunto chiusa, muta, tetra (e sempre sbarrate saranno le pochissime che dipinge). Come dire: lo spazio profondo, respirato, infinito, prospettico è finito. Tutto è drammaticamente qui davanti. Le molte decine di metri che abbracciamo in un Piero, o lo spazio dilatato sino al paesaggio lontano di Antonello viene così improvvisamente racchiuso e compattato. È uno spazio intermedio e nuovissimo che si pone tra la profondità negata dello spazio prospettico "dentro" il quadro e una nuova spazialità invocata "fuori" del quadro.



Ma vi è dell'altro, e il suo "Canestro di frutta" del 1597-1598 all'Ambrosiana di Milano lo esplicita. Anche qui tutto si svolge nei pochi centimetri della profondità della composizione di frutta appoggiata su un asse posto contro il muro, ma il canestro si sporge "oltre" l'asse e proietta la propria ombra sul supporto. Quindi non solo si elimina la visione prospettica e si comprime ai minimi termini la profondità, ma gli oggetti stanno letteralmente in bilico: in bilico tra dentro e fuori, sempre pronti a cadere come unica traccia certa della loro esistenza. L'essere in bilico è una chiave di fondamentale importanza per capire la rivoluzione di Caravaggio, che è sì spaziale e antiprospettica ma è anche molto, molto altro.



PROSCENIO. Direte che questo spazio in bilico si adatta a una composizione di frutta, ma che non funziona con i personaggi vivi della pittura di azione. Esattamente il contrario è vero. Lo stesso tipo di spazio si afferma praticamente in tutti i dipinti di Caravaggio. Guardate la natura morta "vera" (quella della Vergine del 1604 per Santa Maria della Scala, ma rifiutata dai Carmelitani trasteverini e oggi al Louvre). Dico natura morta "vera" in questo caso della vergine, raffrontandola con la natura morta del canestro di frutta, "falsa" perché raramente si era vista una natura più violentemente viva. Ma torniamo al quadro della vergine e al tema dello spazio in bilico e alla sua necessaria evoluzione. Qui l'idea di cornice abitata è rappresentata anche fisicamente da un drappo. Questo drappo racchiude, unifica e compatta la nuova spazialità e immediatamente ci fa capire che la cornice abitata è esattamente un proscenio. I personaggi non si collocano dentro la scena, ma appunto direttamente sul proscenio, quindi accanto a noi e spesso letteralmente sbalzano fuori.



Il proscenio è certamente "cornice abitata" ma è anche molto di più. Il suo essere in bilico tra dentro e fuori non è solo un freddo gioco percettivo ma è la vita stessa che si pone in questi termini. E lo fa senza metafora o retorica, ma direttamente, in forza della sua stessa collocazione spaziale. La vergine appena morta protende un braccio fuori dal quadro. È un braccio in bilico come il canestro di frutta; si muove ortogonalmente al proscenio ed è una freccia che ci colpisce quanto il pianto di una donna che sta letteralmente disperata accanto a noi. Spesso in Caravaggio il proscenio è attraversato da questi vettori diagonali drammaticamente in bilico. Qui tutto il corpo della vergine sbalza dal letto e attraversa diagonalmente il quadro, ma pensate alla Croce della morte di San Pietro a Piazza del Popolo del 1602, o al supporto che si spinge come una prua verso noi nella Deposizione alla Pinacoteca vaticana del 1602-1604, o alla famosa mano del Cristo che chiama Matteo ancora alla Contarelli del 1600 per non parlare della tavola dei giocatori letteralmente in bilico e sospesa nello spazio nello stesso quadro. Gli elementi in bilico tra dentro e fuori e gli attraversamenti diagonali del proscenio naturalmente distruggono la rotondità classica della composizione, tendono a rompere l'idea stessa di rappresentazione in quanto recita separata. Questa distruzione diagonale è una "sciabolata" (come è anche fisicamente nel quadro di Giuditta e Oloferne alla Galleria d'arte antica di Roma del 1599 che della diagonale e dell'essere in bilico è manifesto anche dell'orrore).



CHIEDI ALLA POLVERE. Chi conosce i quadri di Caravaggio, ne riconosce gli attori che di volta in volta popolano le tele. Mario (Minniti) prima suonatore di liuto, poi giocatore nella taverna durante la chiamata di Matteo, poi bravaccio in fuga nella scena dell'uccisione. Lena (Maddalena Antognetti) come Maria sulla soglia o che aiuta il bambino a schiacciare un serpente, naturalmente Cecco (Francesco Boneri) di cui si segue tutta l'evoluzione da bambino a giovane uomo (angelo con Matteo, Davide, Isacco, Giovanni Battista eccetera) e poi tanti altri: il "Francesco" (che oltre il Santo è San Paolo o il Cristo), "Matteo" (che di volta in volta rappresenta il Santo, o San Girolamo o Abramo o San Pietro) o Narciso (nell'omonimo quadro alla Galleria d'arte antica ma anche Angelo nella fuga d'Egitto e giocatore nei bari), o Fillide Melandroni (in Santa Caterina o in Giuditta). Questi attori sono i suoi protagonisti e ogni volta hanno una parte diversa. Ma se c'è una spazialità in bilico tra dentro e fuori, se questo spazio si chiama proscenio e mescola ovviamente non solo dentro e fuori ma arte e vita quotidiana, se addirittura i personaggi sono veri allora il pittore è anche un regista.



Ed ecco la novità e la distruzione. Caravaggio non è un regista di balletti con figure nel paesaggio, o di incantate scene di pensatori, ma è un regista verista, una sorta di iperrealista al limite del pulp. I suoi attori non devono "primariamente" raccontare le scene che il committente vuole, meno che le architetture di un architetto servono a dare un tetto e uno spazio all'abitante. O meglio, naturalmente servono I suoi quadri a raccontare le storie del committente, ma sono ben al di là, incomparabilmente molto e molto oltre. Michelangelo Merisi usa i santi e i martiri, risponde alle richieste iconografiche del caso ma è di ben altro che ci parla. I suoi attori parlano di una vita vera, verissima. Vera nella violenza che difende un io diverso (come diversi erano Leonardo e Michelangelo), vera nei piedi pieni di polvere, o nei sorrisi ammalianti dei suonatori o nella frutta bella e bacata o nella posa incredibilmente suggestiva di Lena o drammaticamente violenta di un atto brutale.

Caravaggio nasce "per distruggere la pittura". La sola entrata in scena di questi attori della strada basterebbe da sola per distruggere la pittura come la intendeva Poussin. La pittura diventa consapevolmente sempre un autoritratto: le idee, le tensioni, le conoscenze, i personaggi, gli amici e gli amanti sono tutti insieme i protagonisti non di una messa in scena ma di una realtà personale e verissima del'io che guarda e vive. Ma se si riflette ancora sulla "continuità" con cui Caravaggio rappresenta i suoi amici, Lena, Mario, Cecco, Filippide si scopre ancora altro. Caravaggio non presenta solo se stesso, ma presenta attraverso il suo sguardo un intero "mondo". Un mondo che da residuale è diventato con lui presente e spinge per esistere.



FLASH. Naturalmente chiunque abbia visto un Michelangelo Merisi ha notato per prima cosa la luce. O meglio l'ombra, oppure no, la luce. Caravaggio letteralmente distrugge la luce e ricrea la luce. E se vi è un senso a questa parola -luce- e a tante delle sue accezioni metaforiche (porre sotto una diversa luce, vedere la luce eccetera) questo "è" Michelangelo Merisi da Caravaggio. Torniamo ad Antonello. In Antonello la luce è quella prospettica del nuovo mondo, della cornice finestra, del personaggio del santo o della Madonna posto in una luce universale, dorata che modella in leggerissimi chiaroscuri le forme e che si perde in nebbioline azzurrognole nel paesaggio. Caravaggio spegne le luci nella sua sala, tira il velo e apre il proscenio e cala il mondo nel buio totale. I suoi attori, che si muovono quasi come se fossero in due dimensioni nello spessore del telaio, sono improvvisamente colpiti da un flash. La luce nuova, la luce della modernità di Michelangelo Merisi è un flash che taglia la scena. Distruggere la luce per crearne una nuova. Ma perché?



Il perché ha due livelli: un primo livello è giusto e corretto e dà una rassicurante spiegazione. La luce del flash pone al centro l'evento che si sta svolgendo, ma non è sufficiente. Caravaggio pone al centro l'evento, certo. Ma non si capisce perché tante brutali distruzioni, tante rivoluzioni, tanti drammi personali e artistici se fosse solo per porre attenzione al singolo evento. No. Michelangelo capisce in quei vent'anni del suo lavoro in bilico tra Cinquecento e Seicento che è proprio il tempo che è finito, che a lui e a noi, solo l'attimo è il brandello di senso che disperatamente abbiamo a disposizione. Solo l'attimo di un flash è il nostro barlume, di vita, di desiderio, di possibilità: solo l'attimo in bilico della sceltà "è". Si tratta di un dramma di folle intensità. La vita, la storia, gli amori, la violenza è quella dell'attimo. E Michelangelo sente questo sulla propria pelle e cavalca senza sella e senza reti come solo gli artisti possono fare, il dramma. Il Seicento che lui inaugura è il secolo della crisi e più crisi di tutte, come è ben noto, è in Italia. Un Paese che perde di centralità e che sta per regredire velocissimamente a provincia. Lui, Michelangelo Merisi, è l'ultimo dei sommi. In una genia incredibile di artisti vi sono i più grandi dei grandi: i Michelangelo Buonarroti i Leonardo da Vinci i Raffaello da Urbino (e scordiamo Tiziano, Giorgione, Antonello eccetera eccetera). Ebbene, Caravaggio sente forse che sarà lui l'ultimo che a questi sommi sarà avvicinabile? Abbiamo già scritto per commentare il Narciso (un quadro che basta guardarlo per ritrovare quasi tutti i motivi che abbiamo ricordato). Ma non era Caravaggio il pittore degli stupefatti e meravigliosi giovani con frutta, strumenti e pelli quasi trasparenti? Proprio una figura per antonomasia della bellezza come Narciso diventa così ombrosa? Narciso si guarda pensoso: sta per cadere forse e la sua immagine si è formata per un solo attimo nello specchio d'acqua. Finendo il Cinquecento, Caravaggio sente che è finito il tempo. È finito il tempo come luce divina, come propensione alla serenità, come spazio e tempo assoluto. Michelangelo sa che il tempo moderno che comincia forse proprio con lui è quello dell'attimo, dell'istante, del dramma e del bivio. Ogni momento può presentarsi come quello della scelta, della morte o della vita.

Antonino Saggio

[15oct2006]

per approfondire

Chi ha la fortuna di vivere a Roma potrebbe esaminare giornalmente molti dei dipinti di Caravaggio. Si trovano in Chiese sempre gratuitamente accessibili e in diversi musei. La consuetudine con Caravaggio è quindi nel mio caso remota e affonda nell'adolescenza, come lontane sono anche alcune chiavi di lettura che qui vengono proposte pubblicamente per la prima volta. Vi è da dire però che questo mio testo è stato stimolato dalla lettura dello stupendo libro di Peter Robb, M L'enigma Caravaggio (che ora si trova negli Oscar Mondadori dopo essere stato pubblicato in Australia per la prima volta nel 1998). Il libro di Robb è un aureo esempio di una lettura profondamente intelligente dei dipinti di Caravaggio insieme ad alcune interessanti ipotesi su alcuni snodi cruciali della vita. Robb insegna come l'arte non è appannaggio esclusivo degli storici-filologi di professione, il cui lavoro, spesso utilissimo, è comunque un lavoro disciplinare mentre l'arte è universale. La questione è lunga e naturalmente ha a che vedere anche con l'architettura e con uno sforzo che nel mio caso si è concretizzato nel libro Laterza di più di dieci anni fa ormai su Giuseppe Terragni. Dopo la lettura di Robb ho naturalmente rivisto una buona dose di bibliografia caravaggesca. Chi pone l'accento su "l'evento" come chiave di lettura è Roberto Longhi, forse il massimo studioso del Caravaggio. Giulio Carlo Argan pone come incipit del suo Borromini (Mondadori, Milano 1952) una relazione Caravaggio-Borromini. Un'utile, completissima e recente fonte filologica sull'opera è quella di Maurizio Marini Caravaggio. Pictor praestantissimus, Newton Compton Roma 2004. Dal punto di vista multimediale raccomandiamo "Caravaggio una mostra Impossibile" http://www.caravaggio.rai.it una produzione Rai di grande qualità a cura di Renato Parancandolo.

legenda dipinti citati in dettaglio

Caravaggio, Canestra di Frutta (1595-1596) 31x47 Milano Pinacoteca Ambrosiana.
Caravaggio, Vocazione di San Matteo. Dettaglio (1599-1600) 322x340 Chiesa di San Luigi dei Francesi Cappella Contarelli.
Caravaggio, Vocazione di San Matteo (1599-1600) 322x340.
Caravaggio, La Morte della Vergine (1605-1606) 369x245 Parigi, Museo del Louvre.
Caravaggio, Narciso, (1600) 115,5x97,5, Roma Galleria d'arte antica.

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