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Coffee Break

Prima del buio e la 7a Biennale di Fuksas

Antonino Saggio
  Ciak, si gira. Partono i titoli di testa: "One zero", "La temperatura a terra è di 84 gradi Fahrenheit", "Visibile invisibile" poi "Land Arch" di Doriana Mandrelli, infine "Pittura architettura", un auto-dialogo a cura di Achille Bonito Oliva. Sono concetti, appunti, frammenti (integralmente tradotti in francese e inglese) che scorrono sullo schermo. Si intuisce che qualcosa di buono seguirà.



E Il film comincia con 250 foto a colori che illustrano sessanta progetti. Scena 1: 1992-1995 Bordeaux, Francia, Casa delle arti. Una doppia pagina ci tira dentro con un edificio scatola; lungo, sdraiato, tagliato a metà da un'asola che lo disossa, e in verticale da due portali che lo attraversano da parte a parte. In cima, una scatola di legno che si spinge fuori e una pensilina che la raccorda al tetto. Verde scuro del prato, verde elettrico del rame, luce e trasparenza attraverso i portali. Giriamo pagina. Un interno con la luce che passa tra i listelli di legno, e una vista d'angolo con l'aggetto che ci salta addosso. Giriamo. Ecco la pensilina e accanto un dettaglio di persiane-muro che richiudono le finestre nella continuità della scatola. Giriamo. È notte, o forse no, quasi notte. Ecco un esterno e un interno del portale che traguarda la città sullo sfondo. E capiamo: la scatola piena contro il buco sul cielo e il paesaggio. Un contrasto riuscito. Fine della prima scena.

Seconda scena. 1990-1995 Herouville Saint Clair, Francia, Residenza universitaria. Apertura: doppia pagina di un edificio poligonale; è staccato da terra, e la strada carrabile lo attraversa. Tre piani sono contenuti tra due lastre bianche in aggetto. L'una che lo protegge chiudendolo in alto, l'altro che fa portico. Giriamo pagina. Il rosso contro l'arancio e l'azzurro di pareti zigzaganti e un dettaglio della pensilina.



Cambiamo ora scena: un edificio che ha al suo centro una ampolla-mongolfiera che esce fuori curvando il curtain-wall, travi e reti di un parcheggio sul tetto, un campo da tennis innestato sul tetto di un edificio-città, due lame che sembrano un Fontana contro il buco di una grotta... e potremmo andare avanti per gli altri progetti che sono montati all'indietro sino alle più antiche opere italiane. Alla fine un minimale curriculum, e le schede dei progetti.



Massimiliano Fuksas One.Zero. Architectures è un libro fatto come un film. Usciamo bombardati, ma felici. All'inizio è troppo. Poi, forse, un concetto, un'immagine, un frammento ritornerà, lo capiremo e potremo, se vogliamo, riusarlo fino in fondo. Il libro è intelligente, ben fatto, mostra una strada pregevole per un testo di architettura, ed è un regalo generoso. Fuksas si sarebbe potuto celebrare di più, ma quello che ci dà è semplice e diretto: le immagini dei propri pensieri.

Ma se volessimo sapere di più? In un film si legge la sceneggiatura, qui si possono studiare i disegni che sono, come è sacrosanto in questa struttura, montati a parte. La voglia di capire l'architetto, la sua storia, le sue vicende, il suo modo di fare si fa forte. In sintesi si può intuire questo:

1. Che arte e architettura appartengono a un'unica sfera. (Basti vedere la filosofia di insegnamento all'inizio del volume e lo slogan affresco nel retro copertina).
2. Che il processo di creazione dell'architettura è anche metaforico. Come lo sono tutti i messaggi contemporanei. (Blu Lagoon ad Amburgo).
3. Che la più potente metafora oggi è quella della natura. Non il liberty-floreale, né una natura buona e madre, ma una architettura-natura viscerale. In cui la natura è spaventosa, cavernosa, tellurica; quella dei microbi, dei terremoti, della non tranquillità (Museo dei graffiti a Niaux, Piano paesistico a Tremblay, Piazza delle nazioni a Ginevra).
4. Che il mercato del lavoro è internazionale. Se vogliamo costruire veramente in Italia siamo nel posto sbagliato nel momento sbagliato, soprattutto chi deve cominciare. (Vedi nell'ultimo decennio le costruzioni di Fuksas in Italia. Risultato: zero contro le decine nel resto d'Europa).
5. Che gli stessi programmi e quindi le occasioni concrete del nostro lavoro sono cambiate. (Si disegnano anche i nuovi media per la musica, per le scenografia, per la pubblictà, per internet...).
6. Che il lavoro dell'architetto, soprattutto quando la città è l'oggetto, deve essere polifonico, avere la capacità di accogliere segni diversi (vedi Torre Geindre progettata in pezzi con Steidle, Alsop, Nouvel).

Su come Fuksas elabori questi punti, che sono condivisi da tutta l'architettura d'avanguardia, rimandiamo alla curiosità del lettore.



Nei flash iniziali è scritto "il mio più grande piacere era la sera, precisamente in quell'attimo in cui il giorno si trasforma in notte." Non il tramonto, ma il momento "in cui il cielo è di un blu denso, e la notte in cinque minuti arriva".



La creatività, il talento, l'energia che emanano queste architetture è intensa come lo sforzo di chi le ha tenacemente volute costruire. Sembra che Massimiliano Fuksas abbia lottato per prolungare con le sue opere l'attimo prima della notte. Il buio verrà, ma che luce adesso.


***


Le scritte al neon sulle stazioni dei vaporetti che emergono dalla nebbia ci accolgono alla Biennale di Fuksas "Meno estetica e Più etica". Centinaia gli architetti invitati a vario titolo da tutto il mondo, decine i padiglioni che ospiteranno mostre tematiche curate dai singoli paesi, molti i luoghi interessati nella città: dagli storici Giardini, agli spazi recentemente acquisiti delle Corderie dell'Arsenale, a luoghi "non deputati" come, appunto, le stazioni dei vaporetti. Come orientarsi, cosa cercare, come confrontarsi con un evento di tale estensione e importanza?



Una delle possibilità è quella di cercare, nelle singole scelte e nelle molteplici occasioni, i principi guida con cui questa edizione è stata costruita. Il primo assunto di Fuksas è che arte e architettura appartengono a un'unica sfera. Da ciò deriva che questa Biennale di architettura ha un grado di contaminazione e di sovrapposizione con le altre modalità dell'operare estetico mai raggiunto nelle edizioni che si sono succedute dal 1980.



Se l'architettura si arrocca in una sua presunta autonomia disciplinare è isolata, sconfitta e ininfluente, come è oggi in Italia. Se si apre ad altre manifestazioni del sentire e del pensiero contemporaneo può concorrere alla trasformazione. Questa tensione all'apertura è, d'altronde, tipica dei momenti in cui si cerca una presa di coscienza diversa sulla realtà. Era successo con l'Umanesimo (Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Alberti) e anche nel momento di nascita della Nuova Oggettività industriale e meccanica (Gropius, Mondrian, Klee, Van Riteveld); si era vissuta una tensione simile negli anni Sessanta quando i fenomeni più forti della società di massa andavano emergendo e lo è di nuovo oggi che siamo negli anni della Rivoluzione Informatica.



Gli architetti d'avanguardia condividano con l'arte non tanto e non solo molte modalità espressive (che è una ricaduta facile e quasi immediata) ma è la stessa tensione "negativa" dell'arte che viene assorbita oggi dagli architetti. Dire "No" a quanto precede è un passo necessario per affermare un modo diverso di conoscere. E questo sguardo diverso sul mondo è imposto dall'accelerazione dei fenomeni che stanno investendo tutti.

Globalizzazione, aree abbandonate dall'industria, squilibri planetari delle risorse, nuove alleanze tra natura e tecnologia, influenza nel paesaggio urbano e naturale della società delle informazione e della comunicazione.



Un avviso quindi al visitatore. L'architettura di oggi non può cercare il bello, il rassicurante, il già visto, ma si deve spingere in nuovi territori. Gli architetti non possono avere paura del brutto, come non ne ha paura l'arte stessa che al suo nascere (Michelangelo, Caravaggio, Manet, Picasso) contesta quanto precede per affermare un nuovo modo di conoscere e trasformare la realtà.

"Le cose brutte sono brutte. Le cose molto brutte a volte non sono più brutte" è il viatico che il direttore trasmette al visitatore per attivarlo, per renderlo partecipe.

Da questo discende che il primo tema che è "fuori" da questa biennale è la ricerca di un'idea di stile o di linguaggio quale fattore discriminante. Le scelte si spostano sui contenuti, sulle proposte, sulle nuove sostanze, non più sull'aderenza o meno ad uno stile. Se stile e linguaggio non sono più il centro, se la contaminazione è la tecnica di base, se la paura del brutto è rimossa, se la conoscenza avviene come per l'arte negando e ricominciando bisogna, allora, aprirsi coraggiosamente al nuovo.

"Siamo in un momento positivo, ma siamo anche in una situazione di chiusura, di egemonia. In un sistema internazionale tanto più globalizzato quanto più di regime". L'unico modo per "scappare da questo sistema di potere è aprendolo: il massimo di apertura e il minimo di chiusura". Queste volontà, espresse dal curatore già all'indomani dell'incarico, si rivelano in tre scelte chiave.



La prima è quella di avere architetti sconosciuti o quasi. Ci saranno, naturalmente, un certo numero di star. E molte di esse legittimeranno il loro ruolo con esposizioni basate su una tesi forte e nuova, piuttosto che sulla celebrazione dei successi passati, ma ci saranno moltissimi architetti nuovi o quasi. E sono questi i veri punti di forza: chi dalle lontane frontiere di una nuova Cina pensa ad un'immagine urbana mangiata dal bambù e chi riesce in cartone a fare un'architettura bella e forte che serve ai terremotati, chi esplora territori sconosciuti nelle aree rimosse dei territori persi delle metropoli e chi pensa ad un'architettura volatile presente ma non ostruente, chi indaga nuove strategie per le infrastrutture delle città e chi lavora a una nuova dimensione di interattività, mutabilità, trasformazione degli spazi grazie all'elettronica. Questo punto ci lega alla seconda novità. Già da molti mesi la biennale di Architettura esiste "on line" con la creazione di un sito (http://www.labiennale.org/) che rappresenta una vera e propria miniera di idee per il rinnovamento. Interviste ad architetti, link, esposizioni interattive. Vi sono in rete alcuni degli architetti che esporranno anche al vero a Venezia, e altri che partecipano all'evento solo attraverso il web. Navigare e studiare questo sito è una risorsa aperta a tutti, che invoglia alla visita a Venezia, ma che ne è anche un possibile sostitutivo.

Infine, ed è la terza novità, vi è il concorso indetto parallelamente alla biennale e i cui esiti saranno resi noti all'apertura della manifestazione. Più di mille tra gruppi e singoli hanno aderito all'invito e tutto sarà disponibile e fruibile in rete. Si tratta quindi di una seconda esposizione la cui stessa virtualità ne costituisce la forza: architetti e artisti anche dal punto più lontano del globo possano verificare e incrociare le loro idee con quelle degli altri.



In fondo il titolo "More ethics and less aestetichs" riassume efficacemente questa esposizione. Vuol dire, con le parole di Fuksas, che "Bisogna diminuire la componente puramente estetica a favore di quella etica". Far capire che esistono contenuti, problemi e che l'architetto è parte di un processo generale e che "può comunicare quello che sta avvenendo nella società".

Ritrovare, smentire o arricchire questi temi, diventare dei cercatori attivi e critici nel grande dominio che la biennale on line e la città di Venezia offre nei tre mesi di apertura è un campo disponibile a ciascuno.

Niente può essere capito se non ci si interroga e non ci si sfida. Alcune domande, allora, possono essere i motori all'apertura dello sguardo: "Come è stata costruita questa Biennale? Cosa avremmo voluto al suo posto? Come ciascuno di noi avrebbe realizzato, invece, la propria?".

Antonino Saggio
[12nov2000]

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