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Louis Kahn. Bach dell'architettura

Antonino Saggio
  Louis Kahn è il solo architetto della seconda metà del novecento che può essere collocato nell'Olimpo di Le Corbusier, di Walter Gropius, di Frank Llyod Wright e di Ludwig Mies van der Rohe.

Nasce in Estonia nel 1901 e a quattro anni emigra con la famiglia dalla Russia per trasferirsi in Pennsylvania dove vive poveramente nei sobborghi di Philadelphia. Il talento per il disegno gli permette di ottenere una serie di borse di studio che lo mantengono sino alla laurea in architettura ottenuta nel 1924 all'Università della sua città. Il suo maestro è Paul Cret da cui assimila una solida preparazione Beaux Arts approfondita nel suo primo viaggio in Europa nel 1928. Dopo una pratica negli studi di Philadelphia, apre un proprio ufficio nel 1937 cui si associeranno nel 1941 George Howe e Oscar Stonorov. Le opere non sono numerose e si richiamano sia negli intenti sociali che nel linguaggio al tardo razionalismo.

Dopo la guerra diventa professore di architettura a Yale e ottiene nel biennio 1950-1951 una borsa Fulbright all'Accademia americana di Roma che gli permette di viaggiare anche nel bacino del Mediterraneo. Al ritorno a Philadelphia il suo stile muta radicalmente e la realizzazione alla fine degli anni Cinquanta dei laboratori Richards all'Università di Pennsylvania - di cui dal 1956 è diventato professore - lo proietta all'attenzione critica internazionale. I capolavori si succedono l'uno all'altro e l'architetto ottiene anche incarichi fuori degli Stati Uniti. Il dibattito architettonico del secondo dopoguerra viene profondamente vivificato dal lavoro di Kahn e la sua influenza è decisiva in architetti come Robert Venturi, Charles Moore, Louis Sauer, Mario Botta, Romaldo Giurgola e tanti altri. Il dettato razionalista che lega meccanicamente forma e funzione, lascia il posto alla riflessione sulle ragioni umane, simboliche e istituzionali del costruire. A quello che il maestro chiama il voler essere di ogni progetto. La separazione tra il momento razionale e quello espressivo della progettazione viene definitivamente superata. La forma, nelle costruzioni di Kahn, ridiventa funzione e la funzione, forma. La morte lo coglie il 17 marzo del 1974 al ritorno da Ahmedabad per una supervisione del cantiere dell'Istituto Indiano di Amministrazione che insieme al parlamento di Dacca lascia tracce visibili del suo pensiero anche nella lontana India.

Il lavoro del Kahn che opera negli anni Trenta e nel periodo bellico ha una chiara impronta funzionalista e si sviluppa in progetti di urbanistica e per la razionalizzazione degli insediamenti da edificare in supporto allo sforzo bellico degli Stati Uniti. Oltre ai temi di rilevanza sociale, condotti in associazione con Howe e Storonov, l'architetto progetta case unifamilari che riecheggiano i motivi formali e gli impianti di Walter Gropius e Marcel Breuer emigrati dalla Germania. In queste case non vi è alcun elemento che lasci presagire il successivo sviluppo di Kahn, eccetto un forte senso di radicamento al terreno della costruzione. Il passaggio da questa prima fase funzionalista al Kahn maturo è segnata dai disegni che l'architetto esegue nel 1950-51 nei suo viaggio nel bacino del Mediterraneo. È la premessa che apre la strada allo sviluppo della sua poetica. I capolavori cominciano a nascere dalla metà degli anni Cinquanta: la nuova Galleria d'arte di Yale, i laboratori Richards a Philadelphia, l'Unitarian Church a Rochester, l'istituto Salk a La Jolla, la biblioteca Philips a Exeter, il museo Kimbell a Fort Worth.



Chi è dunque il Kahn che emerge a metà degli anni Cinquanta? E' certo un maestro inquieto, lontano dalle certezze del primo Le Corbusier, dalla perentorietà didattica di Gropius, dal rigore astratto-tecnologico di Mies, dalla applicazione di una nuova grammatica di Wright.

Tre materiali assumono il valore di autentiche pietre miliari del percorso artistico di Kahn e permettono di cogliere con chiarezza il passaggio dall'architetto di scuola bauhausiana, al grande innovatore successivo.

Il primo è un disegno a pastelli delle piramidi di Giza. Kahn è un professore di architettura di cinquanta anni che gode, come si diceva, di un anno di studio all'Accademia americana di Roma. Studia l'antico e viaggia in Egitto e in Grecia. Il disegno a pastelli delle piramidi, è lontanissimo dal tratto calligrafico che gli permise da giovane di finanziare la sua educazione a Philadelphia. È il disegno deciso e forte di un architetto moderno che guarda con occhi nuovi alla storia. Che tenta di reinserirla nel flusso vivo del progetto.

Ma questo, come altri disegni del biennio 1950-1951, dimostrano che la storia per Kahn non è quella degli ordini rinascimentali, degli stili, del pastiche eclettico. E' una storia concentrata nella sua essenza, riportata al dato ancestrale, magico e simbolico. A quarant'anni dalle Damigelle d'Avignone di Picasso, dai ritratti di Braque, dalle sculture di Brancusi, Kahn fa suo il momento fondativo delle avanguardie artistiche del Novecento, trascurato nell'evolversi del razionalismo architettonico: è il ritorno al primitivo per ritrovare le ragioni della ricerca del nuovo. Kahn è interessato all'essenza profonda del costruire, e alle sculture negre dei cubisti, fa corrispondere la sua attrazione per l'architettura delle piramidi, dei Dolmen, delle scarnificate colonne dei templi greci, degli acquedotti, degli impianti della decadenza romana, e più tardi dei tipi puri dell'architettura bizantina.

Sono influenze profonde che germinano in tante direzioni, ma che in questi primi disegni assumono il valore dell'intuizione pura: tanto da far pensare a una illuminazione, a un San Paolo sulla via di Damasco colpito da una nuova indiscutibile verità sulla essenza sacrale del costruire.

Un secondo documento fa cogliere come l'intellettuale e il professore senta il bisogno di razionalizzare l'intuizione per avere gli strumenti da usare nel suo progettare.

Si tratta di due pagine manoscritte in cui l'architetto parla della pianta palladiana e, in tutta modestia, descrive quella che è per lui una autentica scoperta: struttura e spazio sono un tutto unico. La pianta libera della griglia regolare razionalista, degli indipendenti panelli ondulati o rettilinei per formare un involucro trasparente tra interno ed esterno è un errore. Spazio e struttura formano in Palladio un tutto unico, inscindibile, coesivo. È la stanza l'origine della architettura. Attorno a questa la ragione profonda e simbolica della funzione trova il suo punto di coagulo. Spazio, struttura, luce e persino gli impianti vi trovano la ragione del loro esistere.


Unitarian Church, schizzi dell'ideazione (a sinistra). Vista esterna del college di Bryn Mawr.

La struttura non è più un'astratta griglia cartesiana, ma sagoma l'invaso. Il valore del muro pieno, del setto, della colonna è reintrodotto nel vocabolario moderno insieme al significato dell'attacco a terra, dell'elevazione e della copertura. La luce, non è l'entità funzionalista dell'asse eliotermico, ma la materia che rivela la forma. La direzione e il modo con cui è modulata svela il valore funzionale e simbolico della stanza. Gli stessi impianti sono accolti organicamente nella costruzione. La struttura si articola nelle ossa di uno scheletro che accoglie le vene che portano linfa in tutto l'organismo.



È quanto si comincia a manifestare nella terza tappa significativa della rivoluzione Kahniana. Nella casa Alder, che appare con la contemporanea casa De Vore e il Museo di Yale, il primo progetto del Kahn maturo, che a cinquant'anni inizia a narrare con i progetti la sua nuova concezione. 

Basta confrontare la pianta, articolata in cinque quadrati marcati dalla nuova idea della stanza come cellula base dell'architettura e contenuti negli angoli dalla muratura, con alcune delle opere degli anni Trenta e Quaranta (come la casa Weiss) quando l'architetto propone timidi assemblaggi di materiali su piante create con l'impostazione razionaliste di minimizzazione dei percorsi, di divisione tra zona girono e notte, di corrispondenza tra interno ed esterno. Questi dettami non sono più i criteri fondativi dai quali iniziare il progetto, ma diventano solo requisiti, esiti finali di un processo che parte da altre domande e che si articola con altri mezzi concettuali. 

La pianta della casa Alder segna con evidenza questa rivoluzione e subito è seguita dai padiglioni della comunità ebraica di Trenton (che ingabbiano nella stessa logica interno ed esterno), dal solaio a trama triangolare del museo di Yale e dalle torri dei laboratori Richards. 



Ma Kahn, partendo dalla stanza come matrice della sua filosofia progettuale, riscopre un altro momento fondativo dell'architettura. Il Tipo (configurazione base che governa relazioni e gerarchie tra le parti dell'edificio) ridiventa uno strumento fondamentale per la riflessione progettuale. Ridotto dal Movimento Moderno a semplice schema distributivo, il tipo ridiventa in Kahn memoria storica della geometria. Diventa la regola con la quale le stanze, i percorsi, gli spazi della vita e delle funzioni si associano per diventare architettura. Ma la ragione di questa associazione geometrica delle parti, non può che ritrovarsi nella storia, nel valore che gli uomini hanno dato al loro associarsi e ritrovarsi negli edifici. Kahn riscopre allora il valore celebrativo dell'invaso centrale e il ruolo della corona ancellare delle funzioni specialistiche (che applica nell'Unitarian church, nel College a Bryn Mawr nella biblioteca a Exterer e nel parlamento di Dacca), ma anche il sistema precinto esterno rettilineo e regolare e invaso interno saturato con le irregolari geometrie delle vari parti del convento a Media, oppure il senso del rapporto percorso-tessuto nel museo Kimbell. 



La riscoperta del tipo nelle sue profonde valenze per la storia delle istituzioni umane è il solo modo in cui l'etichetta che vuole Kahn come l'architetto che segna il ritorno alla storia è valida. Non è il ritorno allo stile, alla ricerca mimetica, ma il ritorno alla ragione profonda, al senso stesso dell'architettura per gli uomini.

In un suo quaderno di appunti l'architetto cinquantenne paragona Le Corbusier a Ludwig van Beethoven, Mies van der Rohe a Muzio Clementi e Frank Llyod Wright a Richard Wagner e sostiene "ci servirebbe un Bach dell'architettura, come Brunelleschi, come Bramante". Ci pare che la profezia caratterizzi, al di là di ogni commento, il suo contributo alla storia dell'architettura di questo secolo.

Antonino Saggio
[22nov2000]

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