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Coffee Break

Franco Purini in-between

Antonino Saggio
[MOSTRA]  

In un volume della Biblioteca di cultura moderna, Manfredo Tafuri pubblicò un disegno di due studenti della Facoltà di Architettura di Roma. Il lavoro, riprodotto anche in copertina, era accanto a quello di Aldo Rossi, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni e pochi altri italiani. Nel 1968 poteva apparire una apertura alla contestazione studentesca, o la super-valutazione che un critico può talvolta permettersi, ma la produzione successiva di Franco Purini (che da allora ha sempre lavorato con la moglie Laura Thermes) ha dato ragione all'autore di Teorie e storie dell'architettura. Per affermarsi come uno dei più significativi teorici-architetti italiani di oggi, Franco Purini ha seguito un itinerario per certi versi tipico, per altri singolare.

Tipico, perché si è laureato tardi (nel 1971, ad oltre trent'anni) perché successivamente ha insegnato a Reggio Calabria, satellite ufficiale della Scuola di Roma, e perché è tornato nella capitale nel 1981 come professore (oggi insegna a Venezia e Laterza ha pubblicato Comporre l'Architettura sui temi della sua didattica allo IUAV).



Singolare, perché negli anni decisivi di formazione ha lavorato con Maurizio Sacripanti -architetto-visionario, popolare a Roma negli anni Sessanta- e poi con Vittorio Gregotti con il quale ha collaborato a Milano ai grandi progetti dei primi anni Settanta come l'Università della Calabria e lo Zen palermitano.

Purini, sin da giovane, non si è lasciato appiattire in scuole di appartenenza ma da esperienze diverse ha costruito la propria specificità. È riuscito a fare tesoro della lezione di rigore classico di Saverio Muratori e, sul fronte opposto, di quella radicata nel moderno di Bruno Zevi. Anche il momento fondativo della giovane intellighenzia romana degli anni Settanta (la rivista Controspazio di Paolo Portoghesi e di Renato Nicolini) lo ha visto protagonista di spicco insieme a Francesco Cellini, Alessandro Anselmi, Laura Fraticelli e altri.

Il suo nome è conosciuto internazionalmente soprattutto per essere stato il campione della cosiddetta architettura disegnata che, dalla galleria romana Architettura arte moderna di Francesco Moschini, ha fatto conoscere il suo lavoro un po' in tutto il mondo.



Negli anni Ottanta quella che a prima vista appare una svolta. Purini e la Thermes cominciano a edificare. La casa del farmacista a Gibellina (1981) si basa sull'idea -di derivazione Manierista- della casa nella casa. I quattro fronti corrispondono a programmi diversi (accesso alla farmacia, entrata all'abitazione, recinzione di un giardino murato, parcheggio dei clienti) e le forme mutano radicalmente sui diversi prospetti. Si abbandona il criterio della coerenza stilistica per aprirsi al molteplice e al collage con un risultato valido tanto nella caratterizzazione degli spazi interni che nell'immagine pubblica.

Una realizzazione di particolare rilevanza è quella delle case popolari a Napoli per il programma di ricostruzione post-terremoto. Purini e Thermes (con A. Aymonino, G. Neri e N. Surchat) basano il loro progetto sul contrasto tra le corti -su cui affacciano prevalentemente gli appartamenti- e lo spazio occupato dalle scale. Il progetto delle 65 abitazioni si articola così in una scacchiera formata da un susseguirsi di spazi serviti e spazi serventi che esemplifica il nesso fondamentale di ogni complesso residenziale. Oltre all'uso di materiali naturali come il tufo in contrasto con le pareti intonacate e la soluzione dei punti eccezionali della planimetria, l'immagine esalta e monumentalizza la corte di distribuzione con la scala-torre che nel passato era stata studiata in moltissimi disegni. 

Il progetto per la nuova stazione Termini si muove nel rapporto tra rarefazione (nella grande piazza dei Cinquecento popolata da pochi oggetti metafisici) e densificazione (con lo sviluppo di giardini pensili sopra le banchine e il un nuovo sistema di parcheggi).

Le cinque piazze che Purini-Thermes edificano a Gibellina seguono l'idea della perimetrazione della spazio pubblico con un portico acquedotto (evidente ricordo di Roma urbanizzatrice nel ex granaio d'Italia). È un progetto che crea uno spazio pubblico efficace in una città che proprio questa sfida non era ancora riuscita a risolvere.



Nella periferia lungo il raccordo anulare di Roma (nel recente concorso di idee per il settore est della città) il gruppo di Purini ricorre a una frammentazione dei volumi che, come i fotogrammi di un film, possono essere ricomposti solo attraverso la visione in movimento. Infine nel concorso per l'ampliamento della Facoltà di architettura di Roma, la struttura a pettine dell'edificio pre-esistente viene reinterpretata come regola assoluta per strutturare l'ampliamento.

*

Una mostra di suoi disegni ospitata nella biblioteca dell'Accademia di Brera è rivelatrice. In inchiostro nero e tutti della stessa dimensione, il soggetto dei trentadue disegni rappresenta un medesimo tema: la parete bucata da una finestra quadrata a cui si sovrappongono tessiture, elementi vegetali, contrasti di profondità. Il motivo si duplica, si trasforma, si spezza e, se visti in rapida successione, le immagini formano un caleidoscopio virtuale. Ma se al facile effetto si sostituisce l'esame accurato, la qualità del disegno, la maestria del tratto, il controllo virtuosistico del bianco e nero emerge. Nessun centimetro di carta è lasciato inesplorato. Anche il bianco puro appartiene a una dialettica serrata che satura il foglio.

È quanto basta a legittimare questa mostra nella prestigiosa accademia che fu di Camillo Boito, ma i significati travalicano l'arte figurativa.

Questi disegni hanno poco in comune con quelli dei grandi architetti-disegnatori di questo secolo. Pochissimo con quelli di Louis Kahn -dove il segno a carboncino viaggia leggero e aereo- o con quelli ondulanti di Le Corbusier o con quelli tutti atmosferici di Frank Llyod Wright. Il referente remoto è Gianbattista Piranesi. Dell'incisore della Roma del Settecento, Purini ha la stessa carica visionaria, lo stesso senso di vertigine, la stessa discesa a vortice nel fondo dell'anima e del pensiero, lo stesso inevitabile misurarsi con lo strato archeologico di Roma (ma anche analoga perizia e incessante produttività).


STRATIFICARE

[da questo link si accede a tutti i disegni della mostra]

Referenti più vicino nel tempo sono Sacripanti, e Mario Ridolfi. Del primo Purini conserva la tensione al nuovo che fu del futurista Antonio Sant'Elia, del secondo la densità del disegno come strumento di pensiero. Nell'architetto che ha legato il suo nome a Terni (Ridolfi vi ha realizzato molte architettura e finalmente si sta edificando il suo progetto per il Municipio) si tratta di un disegno che sonda le implicazioni costruttive, in Purini è un disegno-scrittura: Ridolfi guarda verso il basso, a quello che l'architettura dovrà essere, Purini verso l'alto, al fondamento teorico. Basti notare i titoli che l'autore, quasi con timidezza (come nota Gianni Contessi che insieme a Fernando De Filippi direttore di Brera ha promosso la manifestazione), scrive a matita sotto i suoi disegni.

La serie inizia e termina con il titolo di un libro Come si agisce e Dentro l'architettura Il primo da un volume di Nanni Balestrini degli anni Settanta, il secondo da uno scritto recente di Gregotti. Ogni disegno all'interno di queste due parentesi è siglato con un verbo all'infinito: deformare, sovrapporre stratificare eccetera. Nell'insieme è quindi la dimostrazione pratica di "Come si agisce dentro l'architettura" dall'osservatorio puriniano.

I disegni diventano esemplificazione sintetica di un fare e hanno la stessa forza di sintesi dei frontespizi dei libri dell'Illuminismo. La loro collocazione nella biblioteca che conserva opere rarissime del Settecento ne sottolinea il vero significato.


AFFOLLARE

[da questo link si accede a tutti i disegni della mostra]


Purini usa di volta in volta mezzi diversi per affermare lo stesso pensiero. "Tutto parte dalla scrittura e tutto ritorna alla scrittura" sostiene. Disegni, costruzioni, progetti attraversano "i numerosi spazi della società di massa con la forza di uno slogan e con il peso della riflessione saggistica." Lo sviluppo delle proprie tesi è condotta con tale coerenza e con tale intensità da poter stimolare una riflessione, una valutazione, una nuova scrittura.

Naturalmente la vocazione teorica e manualistica, lo stabilire una serie di atteggiamenti per orientare il progettare è condivisa da altri teorici-architetti di oggi. Peter Eisenman, con il suo graft, folding, scaling, per esempio, vi ha fondato il proprio insegnamento.

Con il lavoro dell'ex membro dei New York Five e teorico dell'in-between, Purini stabilisce affinità, ma anche sensibili differenze. Anche Purini, come tanti della sua generazione, è il risultato del big-bang degli anni Sessanta quando la visione globale tenuta insieme dai maestri del moderno esplode in una serie di particolari. Purini lavora per esclusione, anziché per inclusione. Le scienze sociali e psicologiche, le specificità tecnologiche e urbanistiche sono per lui accidenti da perimetrare in sfere esterne. Il centro non è cosa ruota attorno all'architettura, ma bensì l'architettura stessa, o meglio il fondamento didattico che la motiva. (L'architettura didattica è il titolo del suo primo libro).

Ma Purini, a differenza di Eisenman, non è troppo interessato ai significati puramente sintattici né all'allusività metaforica che l'americano ha riscoperto nell'ultimo decennio. L'obiettivo di Purini -e non può essere che così per un architetto romano- è di natura storica.

Purini ha colto che le uniche esperienze artistiche di livello europeo prodotte nel nostro paese sono il Futurismo e la Metafisica. Del primo, si sono perse le tracce già negli anni Trenta (a parte alcuni lavori di Oriolo Mazzoni, di Luciano Baldessarri o di Carlo Mollino) la Metafisica, invece, ha contribuito -lo aveva notato per primo Edoardo Persico- a formare una singolarità dell'architettura italiana già con alcune opere di Gardella, di Libera, dei Bbpr.

Aldo Rossi a partire dagli anni Sessanta ha rilanciato la Metafisica e ne ha fatto l'ingrediente fondamentale della sua architettura. Il Futurismo, invece, non è mai stato recuperato se non da Luigi Pellegrin, Sacripanti, Leonardo Savioli o Aldo Loris Rossi, ma senza superare le esperienze dei singoli. Rimane Renzo Piano, ma l'architetto genovese ha stemperato le evidenti tracce futuriste dei suoi primi progetti, in una nuovo internazionalismo.

Ma Purini spesso parla anche della marginalità del nostro paese, del nostro essere periferia. Sostiene che la nostra architettura deve assumere una pesantezza semplice, lapidea, povera: lontana dall'eclettismo francese, dai vetri specchianti americani, da ogni armamentario alla moda. Forse pensa a valorizzare quella componente che, guardando al cinema più che alle costruzioni, si potrebbe chiamare Neo-realista.

Antonino Saggio

[08dec2000]

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