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Affioramenti

Antonino Saggio
 

Affioramenti (che è il titolo di un fascicolo monografico della rivista "Gomorra") è una bella parola perché interrela due filoni di riflessione.

Il primo è legato ai flussi, alle tracimazioni, alla limazioni (cioè alle soglie mobili dell'acqua) e quindi, in ultima analisi, alla liquidità, che è uno dei temi chiave della ricerca, non solo architettonica, di questi ultimi anni. Il secondo aspetto si collega al concetto di stratificazione che, da quando è stato usato da Peter Eisenman nel 1978 con il progetto di Cannaregio, (e poi da Bernard Tschumi, Rem Koolhaas e da molti altri), è diventata un'arma decisiva per concepire la progettazione urbana. Si tratta, come è ben noto, di progettare la compresenza di sistemi diversi (il verde, i percorsi, gli edifici forti e quelli deboli, le reti tecnologiche eccetera) nel quale ogni layer, o strato, è per un verso indipendente e per altro verso cospirante con gli altri nel creare la complessità del paesaggio urbano.

Ora la bellezza del termine affioramento è nel suggerire un processo di disvelamento "al contrario". Come se il progetto si debba formare certo attraverso stratificazioni, ma invece che attraverso una modalità "dall'alto al basso" con una modalità dal "basso all'alto". Come un insieme di strati che affiorino, che emergano.

La differenza non è di poco conto perché implica la sostituzione di un pensiero "meccanico", evocativo del mondo artificiale dell'oggetto industriale, con una ispirazione che guarda alle complessità anti romantiche (difficili e complesse) del paesaggio contemporaneo.



Cerchiamo di capirci. Si guardi al famoso progetto di Tschumi alla Villette di Parigi. In quel caso il terreno è un vassoio su cui si sovrappongano gli strati degli edifici-punti, dei percorsi, delle zone d'uso eccetera. Ogni sistema è indipendente e attraverso la sovrapposizione si crea l'interesse della composizione e degli spazi. Non è un affioramento, ma appunto una stratificazione meccanica dove uno strato viene letteralmente posto sopra l'altro. 

Apparentemente più vicino al nostro significato è l'edificio al Check Point Charlie di Berlino. Eisenman ne parla come "sezione stratigrafica" di un minerale scaturito da un increspamento della superfici terreste. Questa riemersione tellurica è estranea però al senso pieno della parola affioramento.

Il centro del concetto quale strumento per pensare a scelte architettoniche, a me pare, debba incentrarsi sulle due componenti cui abbiamo fatto cenno e forse ora chiarite. Da una parte è imprescindibile l'uso dei principi formativi dei fluidi, dall'altra vi è il concetto della "moltiplicazione della quota zero". Intendo dire che se lavoriamo per affioramenti, non può esserci un vassoio, un solo piano d'imposta del progetto da cui far sbucare masse telluriche o su cui sovrapporre strati meccanici, ma bensì molti strati, molte quote che appunto mangiate e sfrangiate, liquidamente sagomate, manifestino un sentire di "affioramento" coesistendo l'una con l'altra.

Io sono convinto che il rinnovamento dell'architettura che stiamo vivendo oggi non è solo un problema di gusto, di nuova moda, di linguaggio ma che esso è motivato almeno da tre grandi temi, che sono da una parte crisi di ricollocazione della cultura del progetto e dall'altra motore di trasformazione.

Il primo (ed è il solo cui posso fare cenno) è una nuova cognizione della frammentarietà del paesaggio metropolitano, che è insieme occasione e ragione di molti progetti di oggi. Le "brown areas" o aree dismesse, rappresentano una delle occasioni fondamentali di questi anni e non deve stupire che esista una ricerca estetica ad esse congruente e conseguente. Una ricerca che si basa sulle caratteristiche di frammentarietà, perifericità e vitalità di questi nuovi luoghi contemporanei. Che li trasforma, come ha sempre fatto la vera architettura, in nuovo sentire estetico. Ora la zona Ostiense a Roma è storicamente quella che è stata in passato più caratterizzata da un uso industriale ed è allo stesso tempo oggi quasi il simbolo della necessità di riconversione, di nuove possibilità urbane, di nuovi ricerche sulla città. 

Naturalmente se l'applicazione gravita sul concetto di affioramento invece che occuparsi delle grandi superfici ex industriali della zona gravitante sul Gasometro da una parte e della fabbrica della vecchia Miralanza dall'altra, l'attenzione può concentrarsi nella zona "tra" che corrisponde al ridisegno appunto delle sponde del Tevere.



Quali sono i principali temi che coinvolgono questo ridisegno? Procediamo per punti. Il primo è l'obiettivo del Risarcimento. È chiaro infatti che le opportunità che presentano le aree dismesse, ancora di più se immediatamente limitrofe ad un corso d'acqua, non possono non comportare una forte iniezione di naturalità, di verde, e di aree a diverso quoziente di preservazione ambientale che parta dalla tutela "totale" a quelle utilizzabili anche per lo sport e il tempo libero. In ogni caso con densità bassissime appunto per risarcire la città e i cittadini che vivono in quartieri, come quello di Viale Marconi, realizzati dalla ben nota "mano sulla città" dei decenni Cinquanta-Sessanta.

Un punto qualificante è che, nonostante il tema del risarcimento e della iniezione di naturalità, non si tratta in nessun caso di fare un "Parco" ma bensì, appunto "nuovi brani di città". La vecchia città industriale aveva come strumento necessario e congruo alle sue modalità produttive lo zoning. Cioè la divisione per fasce omogenee (qui l'industria, qui la residenza, qui il terziario e direzionale, qui, appunto, il parco). La città contemporanea, proprio perché il modello produttivo è basato sulle informazioni e non più sulla produzione manifatturiera, è sempre più una città integrata e polifunzionale dove le funzioni si combinano e si sovrappongano per formare brani di città antizoning che tendono a vivere 24 su 24. D'altronde questa è la strategia proposta per la più importante operazione urbana di questi anni nella Postdamer Platz di Berlino.

Questo vuol dire che dal punto di vista delle funzioni questo nuovo brano di città si caratterizzerà per un misto di attività produttive della società delle informazioni che sono insieme ludiche, commerciali, terziarie e della comunicazione. E che per funzionare realmente non possa che essere fortemente innervato tecnologicamente. Cablaggi che provvedono alla reti, sia a quelle tradizionali che a quelle informative, sistemi di illuminazione, di controllo, di produzione di suoni immagini e messaggi. Sempre più oggi la natura e la naturalità torna in gioco attraverso una ibridazione con la tecnologia. Toyo Ito insegna.

Ora, in un caso come questo, quale concetto migliore dell'affioramento per guidare le scelte del progetto? Le sponde del Tevere in questo caso si abitano dal basso verso l'alto "come se affiorassero". Questo crea appunto la moltiplicazione della quota zero, l'incrocio su più livelli di diverse morfologie e geometrie e un disegno del suolo e dei manufatti dal diverso grado di permanenza e rigidità. La strategia dell'affioramento, oltre a presiedere alla formatività del progetto, ha infatti una componente del tutto pratica perché diventa naturale pensare a questi terrazzamenti in rapporto alle quote di rischio di crescita del livello dell'acqua del fiume. La tecnica deriva dalla pianificazione territoriale e dalla geografia i cui tecnici indicano colture di vario livello di pregio e di costo al variare del rischio di allagamento.



L'immagine e l'evocatività complessiva di un intervento di questo tipo a me sembra si possa avvicinare a quanto Mara Memo, nel suo scritto Liquide soglie, ("Gomorra", n. 2, 1998) evocava "I waterfront della città contemporanea sono paesaggi (...) di intensa luminosità: formati dai riflessi dei mega schermi, dalle insegne, dalle luci accese negli uffici dei grattacieli, dalle facciate in vetro che riflettono la chiara notte." Il progetto -come riassume Ilaria Benassi per spiegare la proposta che qui è illustrata- nasce dall'esigenza di restituire il fiume alla città attraverso un'analisi critica del sistema degli argini tradizionali che sono la fonte primaria del distacco della città dall'acqua. Il bordo diventa così lo spazio del dialogo, diventa un waterfront che abbatte recinzioni e limiti, contamina gli oggetti del paesaggio circostante e da esso viene contaminato. Il progetto di sistemazione delle rive tocca frammenti di aree industriali, ingloba parte della circostante, si incunea nel terreno e nella vegetazione, scava e si allunga fino a toccare l'acqua, lavora su più livelli moltiplicando la quota degli argini: si presenta come un ipertesto metropolitano.

Antonino Saggio

[12dec2000]

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