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Antonino Saggio
 

Se Parigi è città di cultura, Los Angeles di movimento, New York di cosmopolitismo, Roma è la città della storia. Tremila anni quasi ininterrotti di trame urbane si presentano contemporaneamente, come se fossero scritti su un palinsesto: su quelle pergamene medievali, cioè, in cui ogni nuovo scrittura si sovrappone senza cancellare completamente i testi precedenti.



Insomma Roma è la città della storia non solo perché è una delle più antiche e certo la più ricca di testimonianze, ma perché i suoi strati convivono l'uno con l'altro e molte volte si costruiscono letteralmente uno su l'altro con una idea continua e stratificata che è un'arma di progetto per i suoi migliori progettisti.

Ora l'edificio contemporaneo più efficace per capire Roma come palinsesto è proprio la Stazione Termini, la cui recente terza inaugurazione consente alcune osservazioni.



La Stazione Termini che conoscevamo era stata inaugurata da Luigi Einaudi nel 1950 ed era il frutto di due fasi. La prima, la cui costruzione iniziò nel 1938 per essere aperta per l'E42, era stata concepita dall'architetto più influente delle ferrovie (Angiolo Mazzoni) come un intrigante collage di pezzi in cui trovavano contemporaneamente posto le due più importanti espressioni artistiche dell'Italia del primo Novecento. Iniziava infatti con pezzi e assemblaggi di chiaro sapore Futurista a contatto delle mura aureliane e proseguiva nel suo lungo percorso verso piazza dei Cinquecento con la cadenza ritmica e l'astrazione cara a Giorgio de Chirico e alla Metafisica.



La progressione sarebbe dovuta terminare con una facciata che non fu realizzata per l'arrivo della guerra. Il concorso del 1947 permise di completare l'opera con una nuova e splendida soluzione per la testata rimasta incompleta. Si trattava di una scatola pura, la "galleria di testa", che apriva lateralmente la stazione alla città, di un prisma astratto che si impennava verso l'alto solcato da secche asole, e soprattutto di una dinamica pensilina a doppia curvatura che indirizzava il visitatore verso le terme di Diocleziano e il centro città.

Nel suo percorso lungo più di un chilometro e mezzo la Stazione Termini inglobava o si scontrava così con le mura repubblicane, con resti medievali, con archi e bastioni, con la splendida tardo romana Minerva Medica, per finire sulla Porta Maggiore. Era allo stesso tempo futurista, metafisica, razionalista e organica e vi era rappresentata anche la storia artistica dell'Italia recente.

Questa così importante opera aspettava un segno di vitalità che la riscattasse dal degrado in cui era ultimamente caduta.



Il concetto guida alla base dell' intervento di oggi è chiaro: razionalizzare i flussi dei viaggiatori e il funzionamento della macchina ferroviaria (con una cospicua iniezione di elettronica), operare un re-styling alle attrezzature di servizio, alla segnaletica e al sistema degli arredi per i viaggiatori e per il personale, ma soprattutto trasformare la stazione da oggetto tendenzialmente monouso (con modesti supporti accessori) in un vera e propria piazza multi-funzionale. Si va alla stazione non solo se si deve partire, ma anche se si vuole fare shopping, vedere un film, visitare una mostra, mangiare al ristorante o in un fast food, fruire di negozi specialistici. A Termini si apre una galleria di arte contemporanea e una delle più notevoli librerie cittadine per dimensione.

Il sottosuolo in questo quadro assume una nuova potenzialità. Insieme al pulsare delle attività e alla dignità delle strutture architettoniche, alcuni dettagli, solo apparentemente marginali, contribuiscono in maniera decisiva al successo. Il primo è l'illuminazione che è concepita e gestita senza risparmio, ci deve essere sempre "luce", l'altro aspetto è la sicurezza, che è discreta quanto efficiente: dunque con una dose necessaria in questo contesto di "grande fratello" (telecamere, sensori, web cam eccetera).



Cambia così il significato della stazione: da "porta di accesso" per un rapido transito a "foro" o meglio a nuovo foro della città. Un luogo aperto, dinamico, aperto 24 su 24 in cui lavoro, commercio, divertimento e movimento si mescolano.

La multifunzionalità, d'altronde, è la linea di tendenza della "società dell'informazione". Se la vecchia città industriale funzionava come una catena di montaggio, e cioè per zone (qui la produzione, qui il terziario, qui la residenza, qui la cultura), la città che fa centro sull'informazione mescola e combina, integra e connette. L'elettronica che serve per organizzare il traffico dei treni (e possibilmente fare marciare in orario tutti gli 800 convogli quotidiani di Termini), per controllare i flussi dei 400mila viaggiatori giornalieri e ridurre criminalità e vandalismi, per variare automaticamente la pubblicità dei cartelloni, da qui a breve consentirà anche di creare interi scenari interattivi. Perché luce, suoni, immagini fisse e in movimento potranno formare, come ormai da molti anni gli artisti dimostrano con le loro installazioni, un vero e proprio ambiente individualizzato a secondo delle esigenze.



E questo sia dal punto di vista tecnico (sistemi di controllo della luce o dei suoni al variare delle condizioni esterne), sia dal punto di vista informativo (il sistema della segnaletica può mutare all'arrivo di un treno di tifosi, oppure di pellegrini), sia, infine, dal punto di vista estetico (per esempio attraverso giochi di acqua, di luci, di proiezioni sino al colore stesso delle pareti in apparati multimediali interattivamente variabili). D'altronde, se la rete che ha strutturato la prima rivoluzione industriale fu quella ferroviaria, non abbiamo dubbi su quale sia la rete di oggi. E che le reti elettroniche si incrocino dentro una nuova idea di stazione è naturale e necessario. Ewwiwa!

Antonino Saggio

[19dec2000]

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