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Lo sguardo di Corboz

Antonino Saggio
 

André Corboz è un autore. Ma, si chiederà, "autore di cosa"? Di norma è una domanda legittima perché nel grande mondo della comunicazione abbiamo bisogno di generi e specialismi ma il field base del cognome è nel suo caso riempito solo da un sostantivo: intelligenza. Che si occupi di urbanistica attraverso l'analisi puntuale di un episodio (L'invenzione di Carouge) o in saggi di bilancio e proiezione al futuro ("L'urbanistica del XX secolo", "Il territorio come palinsesto", "L'ipercittà") oppure di storia dell'arte (Canaletto. Una Venezia immaginaria in cui rivela che le vedute del pittore sono in realtà costruzioni critiche, anziché viste oggettive) o di storia dell'architettura ("A proposito del tema del tunnel") quello che guida Corboz è una lotta intellettuale con in mondo.



Leggere Corboz vuole dire essere condotti, lungo percorsi dolci e ondulati (magari quelli nei dintorni di Ginevra dove è nato nel 1928). Si cammina, si incontra e si osserva, si pensa insieme. Questi viaggi sono ricchi di scoperte anche lungo itinerari che credevamo di avere già battuto in lungo e in largo, perché Corboz rivela angoli che non avevamo mai visto così. Per esempio nello scritto "Avete detto spazio?" spiega come la concezione del vassoio del funzionalismo Ciam (spazio illimitato, isotropo su cui poggiare architetture volume) si leghi al neopositivismo, all'illuminismo, all'utopia, alla concezione di Isaac Newton. Chissà, nel Medioevo parlare con un tale maestro sarebbe possibile solo dopo aver attraversato baratri, sconfitto draghi, superate foreste di spine; oggi si compra un libro. Ecco perché la pubblicazione di Ordine Sparso con una serie di scritti selezionati che proseguirà a breve con un secondo volume, è un evento. È nato dall'incontro tra una casa editrice -Franco Angeli- che persegue una pubblicazione saggistica di qualità, in cui è il testo il valore, un direttore di collana come Bernardo Secchi e la curatrice Paola Viganò che muove la propria ricerca tra progettazione architettonica e urbanistica. Secchi tratta della categoria del nomadismo: "antiaccademico per eccellenza" Corboz "non si sente legato ad alcun campanile, ad alcuna chiesa; sa che le divisioni disciplinari sono un costrutto, esito di una divisione del lavoro sempre revocabile, che non riflette alcuna verità epistemica. Come il nomade Corboz pianta il proprio campo studiando il luogo, l'oggetto della sua ricerca, pronto a spostarsi, a modificare il modo di insediarvisi". La curatrice oltre alla selezione dei saggi e alla revisione delle traduzioni il cui italiano fila sempre liscio ed elegante scrive un saggio di inquadramento che rivela come Corboz sia stato vicino a Bruno Zevi, autore che insieme a Marcello Fagiolo, Eugenio Battisti, Jean Starobinski e Paul Zumthor, rappresenta un riferimento. Inoltre la Viganò riassume con efficacia i lavori principali ed estrapola alcune citazioni che diventano guida per procedere.

In particolare una: "Se diventa domanda lo sguardo genera un campo". Detto così sconcerta, in realtà vi è condensato il pensiero di Corboz. Lo sguardo è il nostro comunicare con il mondo. Senza sguardo (curiosità, amore, passione) non v'è relazione.

Ma se lo sguardo diventa domanda allora c'è un passo, uno scarto perché quello che osserviamo entra intellettualmente in noi. Si formula cioè "l'ipotesi" che trasforma lo sguardo in azione attiva che genera "un campo". Che è quello della ricerca, delle sue strade, del suo processo di legittimazione (che si chiama "verifica" nelle scienze esatte o "efficacia" nelle scienze umane). Corboz ci parla di tutto questo nel saggio "Per l'interpretazione" che è quanto di più affilato abbiamo letto come teoria della critica contemporanea. Sembra che la lotta sia tra soggetto e oggetto (tra chi vede l'opera come "oggetto in sé" e chi la vede come proiezione del proprio io). Corboz invece fa centro sulla domanda, sull'ipotesi e appunto sul campo interpretativo quale ricerca costante di nessi e di rimandi che calamitano l'altrimenti informe massa dei dati in nuove domande e parziali risposte. In questo processo poniamo "d'assedio il reale fino alla resa". A poco a poco, anche se Corboz mai esplicitamente lo dice, capiamo: la vera relazione è sempre tra soggetti, tra noi e gli altri. Lo scienziato indaga solo apparentemente la materia, in realtà si misura sulle interpretazioni precedenti del fenomeno e sui residui delle teorie precedenti. L'indagine nelle scienze umane (un quadro, un'architettura, un testo) si scontra anche con un secondo soggetto: l'autore dell'opera. Quando progettiamo vi è un terzo livello dove ci misuriamo anche con noi stessi, con quello che vogliamo, con la nostra tensione a divenire e migliorarci. Daltronde per Corboz, e non solo per lui, "il mondo non è mai da leggere", ma sempre da "scrivere". Ecco perché il destino ultimo dello sguardo è sempre e comunque il progetto. Immaginiamo allora un paesaggio: le colline nei dintorni di Firenze descritte da Palazzeschi (dove tutto -casolari e suolo, alberi e borghi- "sembra fatto dall'uomo"), un agglomerato di rocce e case sul mediterraneo o un picco dolomitico (oppure paesaggi meno nobili, più periferici, più derelitti, più inquieti). Ed ora associamo alle immagini delle parole. Alcune buone sono: Frammentarietà, Mutamento, Socialità, Spettacolarità.



Ora queste parole si possono adoperare con altrettanta efficacia per descrivere alcune ricerche di architettura, soprattutto quelle degli ultimi anni. E rincominciare così a pensare e a progettare.

Antonino Saggio

[21dec2000]

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