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Il gruppo di architetti
romani Nemesi combina due approcci spesso rimasti tra loro estranei.
L'uno è quello del "tessuto", l'altro del "paesaggio". Il modo di
progettare che si basa sul concetto di tessuto si deve al lavoro teorico
di una serie di architetti formati già negli anni Sessanta come antagonisti
al credo assoluto dei maestri del CIAM: gli olandesi Aldo Van Eyck
e Herman Hertzberger, l'inglese svedese Ralph Erskine, l'italiano
Giancarlo De Carlo, gli svizzeri Atelier 5, l'americano Louis Sauer.
Il progetto -sostenuto dalle tecniche della psicologia ambientale
e della sociologia urbana- nasce nel primo caso come "una" tra le
possibili configurazioni di una griglia spaziale data: come se fosse
un disegno che intreccia spazi pieni e vuoti sulle maglie di un tappeto.
Il secondo gruppo, quello del paesaggio, è più concettuale, astratto
e filosoficamente impegnato e vede come indiscussi protagonisti l'americano
Peter Eisenman, l'irachena Zaha Hadid, il compianto spagnolo Eric
Miralles, i californiani Morphosis e si consolida solo nella seconda
parte degli anni Ottanta del Novecento. In questo secondo caso l'architettura
introita le regole stesso del paesaggio naturale che viene letto e
interpretato però con le lenti assolutamente anti-romantiche della
scienza contemporanea.
Dobbiamo partire da questi due approcci qui per capire la particolarità
del lavoro di Nemesi (lo studio fondato nel 1997 da Claudia Clemente
e Michele Molè che ne è diventato dall'aprile 2002 il titolare unico).
Nemesi si muove sin dall'inizio della propria ricerca in un territorio
alla confluenza delle due aree. Quindi, per un verso è vicino al concetto
di tessuto (e quindi anche ai dati pragmatici, realistici e sociologici
del progetto), ma contemporaneamente sviluppa una sensibilità "tutto
paesaggio" che lo apre a una dimensione concettuale e letteraria della
ricerca architettonica.
Piazza a Sinnai (con Delogu Lixi, Maria Lai - artista).
Per cogliere in atto questa combinazione si guardi al progetto di
risistemazione della piazza di Sinnai realizzato con Delogu Nixi Associati.
Siamo in un paese della Sardegna denso di richiami ancora vivi alla
cultura contadina che ha spinto Nemesi a re-interpretare quelle presenze
agricole, quelle tessiture di campi arati e di lavoro della terra
come una vera e propria trama per la nascita del progetto. Ma se l'idea
della connessione dei frammenti urbani attraverso la tessitura (significativa
tra l'altro la pavimentazione ideata da Maria Lai) è una bella re-interpretazione
dell'idea di paesaggio, i singoli elementi del disegno hanno ragioni
anche pratiche. Il taglio, nato dagli allineamenti degli edifici che
immettono nella parte centrale dell'invaso raccoglie le acque piovane,
mentre il sagrato, nella sua geometria, integra la scalinata d'accesso
alla parte alta della piazza con una geometria triangolare che ne
nega una amorfa simmetria per fare della chiesa il fuoco dinamico
del progetto. Il progetto di sistemazione urbana è inteso in questo
caso come un insieme unitario e frammentario a un tempo (e in questo
doppio aspetto del fare contemporaneo rimangono dopo Deleuze pochi
dubbi) ma qui vi è un ulteriore strato: affiora anche una storia vera
che parla il linguaggio del luogo e della sua cultura simbolica e
materiale. È un progetto riuscito che dovrebbe servire da esempio
alle innumerevoli scempiaggini che vediamo come risistemazioni urbane
in paesi e città d'Italia.
Stage Store, Roma.
L'atteggiamento di Nemesi a un tempo agganciato ai temi portanti del
dibattito architettonico ma anche attento alle esigenze realistiche
del tema è evidente in due realizzazioni romane. Guardandole pensavo
proprio ad alcune ricerche degli architetti della tessitura e in particolare
agli olandesi Van Eyck e Hertzberger. Bene, si chiedevano questi progettisti,
ma perché un pilastro deve essere solo un pilastro? o una ringhiera
solo una ringhiera o un pianerottolo solo un pianerottolo? È possibile
al contrario accoppiare creativamente più funzioni e reinventare ogni
elemento: per esempio un pilastro può diventare l'occasione per una
panchina magari ingrossando la sua sezione per permettere alle persone
di sedersi, una ringhiera può essere fioriera o elemento di illuminazione,
un pianerottolo un luogo per fare chiacchiere tra vicini e una scala
condominiale può diventare un vero evento sociale. Credo che tutti
abbiamo sotto gli occhi questi esempi e se così non fosse cosi
basta guardare la Casa per madri sole di Van Eyck ad Amsterdam o l'intervento
all IBA di Berlino di Hertzberger.
Torniamo ora ai nostri architetti che devono piegare gli elementi
del programma per ricercare attraverso questi l'architettura. Vediamo
così nel negozio Stage di Roma la creazione di un grande arco che
funzionalmente è l'elemento organizzatore della esposizione dei capi
di abbigliamento ma che gioca contemporaneamente almeno altri tre
ruoli; dinamizza l'interno, dà una nuova dimostrazione dello spazio
rigato (o delle tessiture verticali se vogliamo tornare alla nostra
terminologia) e suggerisce infine un grande telaio da tessitore. Viene
realizzato con una trama di cavi di acciaio che, dopo aver attraversato
il locale definendo una sorta di velario, viene appunto "tessuta"
tra tre tubolari di ferro ad andamento curvilineo; la superficie che
così si determina costituisce il fondale ed insieme il supporto per
l'esposizione dei capi di abbigliamento.
E viene da pensare che se le macchine a cui si ispiravano i primi
architetti funzionalisti erano le turbine dei transatlantici o i motore
delle formidabili automobili degli anni Venti ora la macchina di Nemesi
è proprio un telaio che lancia le sue trame nello spazio e lo riconnette
con le sue fibre. Il progetto ha ottenuto il premio Ridolfi, ma lo
studio Nemesi ha assunto una ben delineata presenza nell'asfittico
panorama della nuova architettura romana particolarmente con la realizzazione
del ristorante Duke's nel quartiere Parioli.
Ristorante Duke's, Roma.
In questa opera vediamo in azione tutti gli elementi fin qui illustrati,
combinati però in un progetto più complesso per scala, per le numerose
caratteristiche del programma e per la stessa esiguità della cubatura
disponibile. Bisogna dire che la richiesta del committente di un ristorante
californiano, risulta quanto mai fortunata per gli interessi degli
architetti: la California è il luogo in cui si afferma il paesaggio
povero di Frank Gehry fatto da pezzi non finiti e in cui Thomas Mayne
o Michael Rotondi operano con continuità anche nell'insegnamento.
I Nemesi "smontano" l'edificio preesistente (in Italia non si può
abbattere neanche una casupola) a eccezione dello scheletro strutturale
e della "tettoia" di copertura in lamiera grecata e fanno in modo
di usare la logica provvisoria della vecchia casupola come risorsa
di progetto. All'interno del Duke's non vi è solo la presenza di una
serie di effetti del folklore californiano ma anche la costruzione
di una nuova spazialità che riconnette il fronte sulla strada e il
retro sul giardino attraverso una serie di onde e isole. Spazialità
evocativa della dimensione californiana e attenta attribuzione funzionale
si accoppiano con efficacia nel ritmo delle travi che, a partire dai
cavalletti che costituiscono i due fronti principali dell'edificio
entrano all'interno dello spazio inserendosi sotto la copertura preesistente;
oppure nella pavimentazione in doghe di legno come il camminamento
dei pontili; o nella materialità del lungo muro che dalla strada conduce
al giardino oppure nella curva del bancone.
Naturalmente chi conosce gli scanzonati e allegri frequentatori del
bar dei Parioli sempre affollato a partire dalle prime luci della
sera, immagina i nostri architetti parte di quel mondo. Incontro invece
Michele Molè e Claudia Clemente sempre nelle aule universitarie. Si
dedicano all'insegnamento della architettura con dedizione e con un
grado di ufficialità e di riconoscibilità, ma questo è un male endemico
in Italia, inferiore all'efficacia delle loro opere. Ma è proprio
l'immagine frivola e allegra che il ristorante Duke's trasmette che
non risponde alle loro figure. Molte volte li ho visti con il volto
segnato e la voce stanca delle ore di fatica che a loro come a molti
dei nuovi architetti italiani costa questo lavoro. E mi prende un
sentimento, misto di rabbia e di speranza, perché anche la nuova architettura
italiana comincia a esistere, e a competere.
Progetto Fori, Roma.
Complesso residenziale al Velodromo. Concorso 1 Premio, Roma.
Poco tempo nei bar alla moda dunque, moltissimo nello studio con gli
amici e i colleghi (tra gli altri Francesco Isidori, Daniele Durante,
Marco Sardella, Leonardo Consolazione, Federico Pitzalis) che formano
l'arcipelago Nemesi. Sul tavolo ci sono lavori che promettono grandi
cose. In particolare la ristrutturazione di un attico al centro di
Roma che si propone come un interno quasi teatrale, una serie di interventi
misurati ma in grado di valorizzare i percorsi museali e urbani nella
grande area dei Mercati traianei a Roma, una casa in Toscana e molti
progetti di Concorso tra cui la notevole trasformazione museale del
Castello di Alicante attraverso nuovi percorsi che attraversandolo
lo riconnettono alla città e soprattutto il nuovo complesso residenziale
al Velodromo di Roma. Ma l'architettura di Nemesi ha assunto un ruolo
spiccato nella nuova architettura italiana con la grande chiesa del
Quartaccio di recente inaugurata. Un vero e proprio miracolo alla
periferia di Roma.
S. Maria della Presentazione, Roma.
È abbastanza straordinaria la storia di come Nemesi, risultato secondo
a un molto frequentato e pubblicizzato concorso per cinquanta chiese
a Roma, riceva in cambio il microincarico per degli spazi sportivi
annessi a un complesso parrocchiale in un quartiere di edilizia economica
e popolare. Ma con intelligenza, dedizione e quella capacità che abbiamo
già descritta di trasformare il dato di progetto in occasione immaginativa
gli architetti riescano a far lievitare il bilancio. Ne nasce un complesso
del tutto particolare. Una specie di cuore pulsante di attività, un
edificio insieme laico e religioso, un luogo di culto e uno spazio
di servizio al quartiere. Il programma finale definisce un complesso
capace di ospitare funzioni connesse alla liturgia - una cappella
feriale, alcune aule per la catechesi, la casa del parroco - spazi
legati allo svolgimento di attività sportive (il Coni partecipa alla
gestione) e attività anche propriamente civiche (rappresentazioni
teatrali, assemblee cittadini). Nemesi crea conseguentemente un edificio
che vive del rapporto e del contrasto tra più organismi architettonici:
la parte civica appare come una "presenza", un volume compatto che
diventa un "oggetto emerso", nel quartiere; la parte "sacra" invece
si configura come un vuoto, un'assenza contenuta ma anche quasi nascosta
all'interno. Non è solo la complessità del programma e la notevole
capacità di risolvere flussi e situazioni all'interno di una ricerca
architettonica di qualità che qui emerge, ma anche la notevole abilità
costruttiva per un gruppo di architetti non ancora quarantenni per
la prima volta a confronto con un opera così impegnativa.
Per esempio la struttura verticale della palestra è realizzata in
un ottimo cemento armato a faccia vista (realizzato con casseforme
Peri e con pannello Vario) ma con una modalità studiata e applicata
appositamente a per questo progetto. La struttura verticale della
grande copertura è invece realizzata con pilastri in acciaio alti
fino a 25 mt il cui diametro di 35 cm è gettato. La struttura della
copertura è composta da una piastra reticolare tridimensionale in
acciaio a geometria variabile da un'altezza massima di 2,20 metri
a una minima di solo 3 mm in punta. La palette di materiali si articola
ulteriormente con pannelli in lamiera pressopiegata in alluminio mentre
l'involucro esterno è composto da una struttura portante appesa in
acciaio zincato a caldo e pannelli di rete metallica. La sfera è stata
gettata in opera con apposite casseforme prefabbricate, mentre tutte
le vetrate sono realizzate con profili standard Metra, occasionalmente
variati per le particolari condizioni del progetto.
Antonino Saggio
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[22jun2003] |