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L'altra
mattina Leon Battista Alberti ha tirato giù le impalcature di Santa
Maria Novella e a Firenze vengono da tutto il mondo a vedere il miracolo
di una nuova visione modulare e geometrica, umana e prospettica. La
visita prosegue con la cappella di Masaccio all'interno e poi con
il nuovo spazio urbano nel Portico degli Innocenti e nella cappella
dei Pazzi del maestro Filippo.
L'altra notizia è che è stata visitata da migliaia di persone la Mostra
Digital | Real ospitata nel Sancta Sanctorum dell'architettura
europea, il Deutsches Architektur Museum disegnato da Ungers a Francoforte.
Al DAM un gruppo di undici opere realizzate e concepite, costruite
e ideate per la Rivoluzione informatica sono state in esposizione.
Non solo Hadid e Gehry, ma anche una nuova generazione di architetti
"Nati con il computer" mostra le foto delle opere costruite (e i modelli
e le animazioni e i pezzi realizzati al vero e montati nella mostra
e in uno strabiliante sito
web).
Il gruppo dei pionieri della nuova architettura prospettica poteva
alla metà del Quattrocento essere preso sottogamba, ma sappiamo come
è andata. La mostra di Francoforte ha mostrato in maniera sperimentale
e d'avanguardia, ma proprio per questo illuminante per chi sa cercare,
le basi di un nuovo paradigma.
Tutto ruota attorno a queste parole: rivoluzione, informazione, soggetto
contro oggetto. Negli anni Venti del Novecento architetti come Walter
Gropius o Le Corbusier o Mies van Der Rohe ebbero la capacità di riformulare
l’architettura sulla spinta del nuovo mondo meccanico e industriale.
Dal punto di vista sociale ci si occupava finalmente delle case e
dei quartieri per tutti e non solo della rappresentazione del potere
civile o religioso, dal punto di vista della costruzione le murature
continue e pesanti lasciarono il posto a una costruzione leggera e
per punti, dal punto di vista estetico una immagine dinamica e astratta
si affermò. Insomma furono proprio i processi seriali, razionali,
standardizzabili e tipizzabili della produzione industriale che furono
assimilati dall’architettura e dalla città. Oggi siamo in un epoca
diversa e le parole chiave degli architetti sono cambiate: si pensa
in termini di personalizzazione e non più di standardizzazione, non
più attraverso una divisione in cicli o una catena di montaggio, ma
come unità tra diversi, la città non è più concepita per zone monofunzionali
(qui si lavora, qui si risiede, qui ci si svaga) ma in un insieme
interagente di usi e funzioni, non si pensa più al modello ripetibile
(la Ford Nera per tutti o l'Unité d'Habitation) ma in termini di adattabilità.
La Rete, i sistemi informativi per l'ideazione e la progettazione
degli edifici, i materiali e i modi stessi della costruzione modificano
l'architettura. Gli spazi tendono ad essere sempre più multifunzionali
e sono ideati attraverso geometrie complesse visualizzate dai calcolatori,
la costruzione è realizzata con una sorta di artigianato informatico
perché si possono realizzare pezzi speciali creati attraverso frese
guidate da disegni digitali, ma soprattutto l'informazione stessa
diventa componente essenziale dell'architettura e dell'ambiente urbano.
E l'informazione nel campo dell'architettura gioca contemporaneamente
almeno tre ruoli. Innanzitutto è comunicazione -pubblicitaria, ludica
o educativa- inoltre è infrastruttura produttiva per lo sviluppo multidisciplinare
del progetto e per la gestione futura degli edifici, ma soprattutto
è diventata il terreno di una sfida estetica. Gli architetti d'avanguardia
stanno cercando di concepire una generazione di edifici e di spazi
che hanno coscienza del cambiamento che l'informatica conduce e che
siano capaci di esprimere questa rivoluzione.
Ora è lecito chiederci a che punto è oggi la generazione degli architetti
"Nati con il computer" di cui la Mostra al DAM aveva rappresentato
una importante tappa di riconoscibilità? Per fare il punto sulla questione
è bene vedere il problema da vari punti di vista. Il primo è l'inserimento
degli ITA (Information Technology Architects, un mio neologismo, un
poco partigiano per la verità) all'interno dei grandi studi d'architettura
e ingegneria. Gli ITA non sono da confondere con i tecnici che mandano
avanti l'hardware e le reti, né con i disegnatori che passano in bella
copia i disegni nei programmi elettronici di rappresentazione. La
figura dell'ITA corrisponde invece ad un professionista, architetto
o ingegnere, che spesso possiede un Master di Computer Science e Architettura
(ne sono offerti molti all'estero) o un dottorato ottenuto con una
ricerca teorico-applicativa molto specifica. In genere durante gli
studi di specializzazione questi professionisti hanno collaborato
strettamente con almeno un docente guida, ne condividono la filosofia
e ne sono stati assistenti.
In un simposio tenuto a Philadelphia (Architecture in the Digital
Age) ho notato che studi d'alto profilo assumono esattamente questo
tipo di persone. Lo scopo, come è stato spiegato dai capi ricerca
di Gehry Associates (James Glymph), di Foster and Partners (Hugh Whitehead)
e di Ove Arup (Chris Luebkeman) è di creare piccoli ma agguerriti
gruppi dove l'informatica entra "nelle fibre stesse" dello sviluppo
progettuale e ne caratterizza fortemente la direzione. Per esempio:
come sviluppare volumi matematicamente perfettamente definiti (come
è evidente nel caso di Foster) o, al contrario, come sviluppare superfici
complesse basate su equazioni non lineari in rapporto a teorie nate
nella biologia (per esempio in alcune ricerche recentissime presso
Gehry) oppure, ancora, come realizzare simulazioni sempre più articolate
che coinvolgono gli innumerevoli parametri di una ingegnerizzazione
consapevole del progetto (un tema saliente presso Arup) e che va dai
calcoli statici a quelli termici, dai flussi di utilizzo alla reazione
al sole sino alle situazioni di rischio come incendio, terremoto o
terrorismo.
In contesti problematici di questo livello, appare evidente che gli
ITA diventano centrali: consentono di far conoscere agli interlocutori
i modi di procedere matematici, scientifici e anche "filosofici" del
mondo dell'informatica e di intessere un dialogo attivo. L'informatica
non è in questo contesto operativo "la realizzazione" di un'idea che
sta già nella mente del progettista, ma un elemento di raffronto costante
che si ha solo con un continuo processo di andata e ritorno, di ipotesi
e di verifica. E, come si sa, il processo quanto più ci si alza di
livello, tanto più è deduttivo: perché le concezioni scientifiche
hanno sempre influenzato il modo con cui l'architettura viene concepita,
pensata e realizzata.
Il secondo punto di vista sotto cui esaminare lo stato complessivo
dei "Nati con il computer" riguarda gli esiti costruiti. Ebbene sino
a poco tempo fa gli esempi di realizzazioni si contavano sulle dita
di una sola mano. Le sperimentazioni di Gehry and Associates nell'auditorium
di Los Angeles o nelle abitazioni a Düsseldorf, alcuni padiglioni
di esposizione come quelli di Bernhard Franken per la BMW, una chiesa
nel Queens di Greg Lynn e Doug Garofalo e poco altro. Alcuni mesi
fa si è invece inaugurato il Terminal di Yokohama nell'omonima città
giapponese. Questo progetto, che ha caratterizzato l'intero Padiglione
inglese alla Biennale 2002, rappresenta un'opera non concepibile senza
computer per il costante mutamente della sua sezione, per l'ondeggiamento
dei suoi corpi per accogliere le diverse funzioni, per il modo stesso
di concepire prima, disegnare poi, e realizzare infine questa architettura.
I due architetti Alejandro Zaera Polo e Farshid Moussavi rappresentano
dunque tra i "Nati con il computer" i primi che realizzano un'opera
di questa complessità e di questo livello. L'internazionalità dell'operazione
(uno spagnolo e un'iraniana che si sono conosciuti a Yale, operano
a Londra insegnando alla Architectural Association e vincono giovanissimi
un concorso in Giappone che "l'onore dei samurai" imprenditoriale
nipponico consente di realizzare nonostante l'età degli architetti)
la dice lunga sullo stato del mondo e sulla direzione in cui i giovani
dovrebbero muoversi.
Jakob&Mac Farlane.
Nelle opere concepite e realizzate con una logica digitale non esiste
però solo l'evento di questa esperienza, ma vale la pena ricordare
anche due recenti realizzazioni che pur se modeste in scala aprono
la riflessioni al terzo aspetto, quello della ricerca. Segnaliamo
l'interessante libreria Florence Loewy che lo studio Jakob&Mac Farlane
(noto per il bel ristorante Le Georges al Pompidou e anch'essi
all'ultima Biennale) ha realizzato a Parigi. Il progetto indica una
strada interessante e non ancora battuta nell'uso della struttura
continuamente cangiante consentita dalle nuove tecniche di realizzazione
con macchine a controllo numerico. L'idea nuova è creare una struttura
abitabile che forse si potrebbe sperimentare anche negli edifici evitando
lo stucchevole gioco "sulle pelle" e il rivestimento su cui troppi
architetti si sono ultimamente concentrati.
L'altra opera è un Lounge (uno spazio in cui i viaggiatori si rilassano
sentendo musica o accedendo a vari sistemi informativi offerti in
questo caso dalla società Wind) realizzato dallo studio Light Architecture
di Gianni Ranaulo a Roma (>).
In questo caso si sperimenta uno spazio reattivo ai desideri degli
utenti (luce, musica, apertura e chiusura di vari diaframmi) e l'integrazione
di sistemi proiettivi che personalizzano, trasformano e virtualizzano
l'ambiente. Dopo l'installazione temporanea a Fiumicino questa idea
avrà senz'altro altre occasioni di realizzazione.
EXPO 2002.
Il terzo aspetto dei "Nati Con il Computer" è infine quella della
ricerca pura, che per anni aveva visto muoversi quasi unicamente le
ricerche nei video, nelle ipotesi di integrazione di virtuale e reale,
nel modo di creare ambienti non solo reattivi ma effettivamente interattivi.
Ora, pur se eco limitata ha avuto in Italia (ma "Abitare" se ne è
occupata a luglio) il 2002 sarà ricordato come l'anno di Neuchatel.
Nel contesto dello Expo svizzera 2002 si sono realizzati per la prima
volta padiglioni-architetture che testimoniano concretamente come
l'informatica dà vita a una nuova concezione di architettura.
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[22oct2003] |