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Coffee Break

Gli ITA da Francoforte a Firenze

Antonino Saggio

 

L'altra mattina Leon Battista Alberti ha tirato giù le impalcature di Santa Maria Novella e a Firenze vengono da tutto il mondo a vedere il miracolo di una nuova visione modulare e geometrica, umana e prospettica. La visita prosegue con la cappella di Masaccio all'interno e poi con il nuovo spazio urbano nel Portico degli Innocenti e nella cappella dei Pazzi del maestro Filippo.

L'altra notizia è che è stata visitata da migliaia di persone la Mostra Digital | Real ospitata nel Sancta Sanctorum dell'architettura europea, il Deutsches Architektur Museum disegnato da Ungers a Francoforte. Al DAM un gruppo di undici opere realizzate e concepite, costruite e ideate per la Rivoluzione informatica sono state in esposizione. Non solo Hadid e Gehry, ma anche una nuova generazione di architetti "Nati con il computer" mostra le foto delle opere costruite (e i modelli e le animazioni e i pezzi realizzati al vero e montati nella mostra e in uno strabiliante sito web).

Il gruppo dei pionieri della nuova architettura prospettica poteva alla metà del Quattrocento essere preso sottogamba, ma sappiamo come è andata. La mostra di Francoforte ha mostrato in maniera sperimentale e d'avanguardia, ma proprio per questo illuminante per chi sa cercare, le basi di un nuovo paradigma.

Tutto ruota attorno a queste parole: rivoluzione, informazione, soggetto contro oggetto. Negli anni Venti del Novecento architetti come Walter Gropius o Le Corbusier o Mies van Der Rohe ebbero la capacità di riformulare l’architettura sulla spinta del nuovo mondo meccanico e industriale. Dal punto di vista sociale ci si occupava finalmente delle case e dei quartieri per tutti e non solo della rappresentazione del potere civile o religioso, dal punto di vista della costruzione le murature continue e pesanti lasciarono il posto a una costruzione leggera e per punti, dal punto di vista estetico una immagine dinamica e astratta si affermò. Insomma furono proprio i processi seriali, razionali, standardizzabili e tipizzabili della produzione industriale che furono assimilati dall’architettura e dalla città. Oggi siamo in un epoca diversa e le parole chiave degli architetti sono cambiate: si pensa in termini di personalizzazione e non più di standardizzazione, non più attraverso una divisione in cicli o una catena di montaggio, ma come unità tra diversi, la città non è più concepita per zone monofunzionali (qui si lavora, qui si risiede, qui ci si svaga) ma in un insieme interagente di usi e funzioni, non si pensa più al modello ripetibile (la Ford Nera per tutti o l'Unité d'Habitation) ma in termini di adattabilità.

La Rete, i sistemi informativi per l'ideazione e la progettazione degli edifici, i materiali e i modi stessi della costruzione modificano l'architettura. Gli spazi tendono ad essere sempre più multifunzionali e sono ideati attraverso geometrie complesse visualizzate dai calcolatori, la costruzione è realizzata con una sorta di artigianato informatico perché si possono realizzare pezzi speciali creati attraverso frese guidate da disegni digitali, ma soprattutto l'informazione stessa diventa componente essenziale dell'architettura e dell'ambiente urbano. E l'informazione nel campo dell'architettura gioca contemporaneamente almeno tre ruoli. Innanzitutto è comunicazione -pubblicitaria, ludica o educativa- inoltre è infrastruttura produttiva per lo sviluppo multidisciplinare del progetto e per la gestione futura degli edifici, ma soprattutto è diventata il terreno di una sfida estetica. Gli architetti d'avanguardia stanno cercando di concepire una generazione di edifici e di spazi che hanno coscienza del cambiamento che l'informatica conduce e che siano capaci di esprimere questa rivoluzione.

Ora è lecito chiederci a che punto è oggi la generazione degli architetti "Nati con il computer" di cui la Mostra al DAM aveva rappresentato una importante tappa di riconoscibilità? Per fare il punto sulla questione è bene vedere il problema da vari punti di vista. Il primo è l'inserimento degli ITA (Information Technology Architects, un mio neologismo, un poco partigiano per la verità) all'interno dei grandi studi d'architettura e ingegneria. Gli ITA non sono da confondere con i tecnici che mandano avanti l'hardware e le reti, né con i disegnatori che passano in bella copia i disegni nei programmi elettronici di rappresentazione. La figura dell'ITA corrisponde invece ad un professionista, architetto o ingegnere, che spesso possiede un Master di Computer Science e Architettura (ne sono offerti molti all'estero) o un dottorato ottenuto con una ricerca teorico-applicativa molto specifica. In genere durante gli studi di specializzazione questi professionisti hanno collaborato strettamente con almeno un docente guida, ne condividono la filosofia e ne sono stati assistenti.

In un simposio tenuto a Philadelphia (Architecture in the Digital Age) ho notato che studi d'alto profilo assumono esattamente questo tipo di persone. Lo scopo, come è stato spiegato dai capi ricerca di Gehry Associates (James Glymph), di Foster and Partners (Hugh Whitehead) e di Ove Arup (Chris Luebkeman) è di creare piccoli ma agguerriti gruppi dove l'informatica entra "nelle fibre stesse" dello sviluppo progettuale e ne caratterizza fortemente la direzione. Per esempio: come sviluppare volumi matematicamente perfettamente definiti (come è evidente nel caso di Foster) o, al contrario, come sviluppare superfici complesse basate su equazioni non lineari in rapporto a teorie nate nella biologia (per esempio in alcune ricerche recentissime presso Gehry) oppure, ancora, come realizzare simulazioni sempre più articolate che coinvolgono gli innumerevoli parametri di una ingegnerizzazione consapevole del progetto (un tema saliente presso Arup) e che va dai calcoli statici a quelli termici, dai flussi di utilizzo alla reazione al sole sino alle situazioni di rischio come incendio, terremoto o terrorismo.

In contesti problematici di questo livello, appare evidente che gli ITA diventano centrali: consentono di far conoscere agli interlocutori i modi di procedere matematici, scientifici e anche "filosofici" del mondo dell'informatica e di intessere un dialogo attivo. L'informatica non è in questo contesto operativo "la realizzazione" di un'idea che sta già nella mente del progettista, ma un elemento di raffronto costante che si ha solo con un continuo processo di andata e ritorno, di ipotesi e di verifica. E, come si sa, il processo quanto più ci si alza di livello, tanto più è deduttivo: perché le concezioni scientifiche hanno sempre influenzato il modo con cui l'architettura viene concepita, pensata e realizzata.

Il secondo punto di vista sotto cui esaminare lo stato complessivo dei "Nati con il computer" riguarda gli esiti costruiti. Ebbene sino a poco tempo fa gli esempi di realizzazioni si contavano sulle dita di una sola mano. Le sperimentazioni di Gehry and Associates nell'auditorium di Los Angeles o nelle abitazioni a Düsseldorf, alcuni padiglioni di esposizione come quelli di Bernhard Franken per la BMW, una chiesa nel Queens di Greg Lynn e Doug Garofalo e poco altro. Alcuni mesi fa si è invece inaugurato il Terminal di Yokohama nell'omonima città giapponese. Questo progetto, che ha caratterizzato l'intero Padiglione inglese alla Biennale 2002, rappresenta un'opera non concepibile senza computer per il costante mutamente della sua sezione, per l'ondeggiamento dei suoi corpi per accogliere le diverse funzioni, per il modo stesso di concepire prima, disegnare poi, e realizzare infine questa architettura. I due architetti Alejandro Zaera Polo e Farshid Moussavi rappresentano dunque tra i "Nati con il computer" i primi che realizzano un'opera di questa complessità e di questo livello. L'internazionalità dell'operazione (uno spagnolo e un'iraniana che si sono conosciuti a Yale, operano a Londra insegnando alla Architectural Association e vincono giovanissimi un concorso in Giappone che "l'onore dei samurai" imprenditoriale nipponico consente di realizzare nonostante l'età degli architetti) la dice lunga sullo stato del mondo e sulla direzione in cui i giovani dovrebbero muoversi.


Jakob&Mac Farlane.

Nelle opere concepite e realizzate con una logica digitale non esiste però solo l'evento di questa esperienza, ma vale la pena ricordare anche due recenti realizzazioni che pur se modeste in scala aprono la riflessioni al terzo aspetto, quello della ricerca. Segnaliamo l'interessante libreria Florence Loewy che lo studio Jakob&Mac Farlane (noto per il bel ristorante Le Georges al Pompidou e anch'essi all'ultima Biennale) ha realizzato a Parigi. Il progetto indica una strada interessante e non ancora battuta nell'uso della struttura continuamente cangiante consentita dalle nuove tecniche di realizzazione con macchine a controllo numerico. L'idea nuova è creare una struttura abitabile che forse si potrebbe sperimentare anche negli edifici evitando lo stucchevole gioco "sulle pelle" e il rivestimento su cui troppi architetti si sono ultimamente concentrati.

L'altra opera è un Lounge (uno spazio in cui i viaggiatori si rilassano sentendo musica o accedendo a vari sistemi informativi offerti in questo caso dalla società Wind) realizzato dallo studio Light Architecture di Gianni Ranaulo a Roma (>). In questo caso si sperimenta uno spazio reattivo ai desideri degli utenti (luce, musica, apertura e chiusura di vari diaframmi) e l'integrazione di sistemi proiettivi che personalizzano, trasformano e virtualizzano l'ambiente. Dopo l'installazione temporanea a Fiumicino questa idea avrà senz'altro altre occasioni di realizzazione.


EXPO 2002.

Il terzo aspetto dei "Nati Con il Computer" è infine quella della ricerca pura, che per anni aveva visto muoversi quasi unicamente le ricerche nei video, nelle ipotesi di integrazione di virtuale e reale, nel modo di creare ambienti non solo reattivi ma effettivamente interattivi. Ora, pur se eco limitata ha avuto in Italia (ma "Abitare" se ne è occupata a luglio) il 2002 sarà ricordato come l'anno di Neuchatel. Nel contesto dello Expo svizzera 2002 si sono realizzati per la prima volta padiglioni-architetture che testimoniano concretamente come l'informatica dà vita a una nuova concezione di architettura.

[22oct2003]

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