|
|
In questa
pagina illustriamo tre recenti realizzazioni di edifici con destinazione
mista insieme ad alcuni studi progettuali per la città di Pittsburgh
in Pennsylvania. I materiali sono uniti tra loro dal concetto di Mixité,
una strategia di intervento che si fa sempre più strada nell'affrontare
i temi nuovi della città contemporanea nel passaggio tra un modello
industriale e uno basato sul terziario e sull'informazione. La città
di Pittsburgh è un simbolo di questo processo ed è da qui che brevemente
vogliamo cominciare.
Vista del centro città dal North Side. Pittsburgh,
autunno 2001.
PITTSBURGH CITTÀ POST-INDUSTRIALE. Pittsburgh è una città interessante
e particolare sin dall'orografia che descrive una favorevole confluenza
di due fiumi, delimitante un'area triangolare. Già nel XVIII secolo
i francesi costruiscono un forte in quello che è appunto chiamato
il "triangolo". (Le informazioni che seguono derivano da The Riverfront
Development Plan, City of Pittsburgh, Pittsburgh 1998 e da alcuni
altri testi che sono ricordati alla fine del testo)
Douglas Cooper, Vista dello Strip district,
Pittsburgh, 1995.
La cittadina che circonda il forte viene a rappresentare, nel corso
della prima parte dell'Ottocento, l'ultimo centro civilizzato prima
del gran salto verso la conquista dei nuovi territori occidentali.
La situazione geografica e la presenza dei corsi d'acqua favoriscono
i commerci e preparano il boom dell'industrializzazione che avviene
negli ultimi decenni dell'Ottocento: da avamposto militare e sede
di traffici la città si trasforma nella Iron City, nel simbolo stesso,
cioè, dell'industrializzazione pesante americana. Città dell'acciaio
e città legata al grande industriale e magnate Andrew Carnegie e poi
ai suoi discendenti, Pittsburgh vive a partire dal secondo dopoguerra
del Novecento la trasformazione del suo modello di città "fabbrica".
Già alla fine degli anni Quaranta, quando arrivare al centro equivaleva
ad essere immersi in una fucina a cielo aperto, la zona del downtown
cominciò a essere risanata attraverso l'allontanamento delle industrie
e la nascita di un quartiere di torri immerse nel verde (il molto
pubblicizzato "Golden Triangle"). Ma le trasformazioni ancora più
grandi cominciano negli anni Settanta quando entra in crisi in tutto
il mondo occidentale la produzione pesante.
La crisi, naturalmente, a Pittsburgh è fortissima: si tratta della
perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, della chiusura di
centinaia di fabbriche e della notevole diminuzione della popolazione.
Speciali uffici del Comune e speciali task force sono messe in campo
per contrastare il declino ed il successo di queste politiche di reindirizzamento
della città verso un modello terziario avanzato è finalmente evidente
alla metà degli anni Ottanta. La città vince (attraverso un sondaggio
ufficiale e attraverso la valutazione comparata di molti parametri)
il titolo "città più vivibile di America" costringendo l'intero paese
a toglierle l'etichetta di città fumosa, pesante, inquinata e laboriosamente
provinciale.
The Riverfront Development Plan (aree di intervento
lungo i fiumi), City of Pittsburgh, Pittsburgh, 1998.
La trasformazione da città industriale a città prevalentemente dell'informazione
è potuta avvenire a Pittsburgh facendo leva sulle sette Università
della città, sulla presenza di grandi enti di ricerca, sull'investimento
in ricerche elettroniche avanzatissime (soprattutto nel contesto del
famoso scudo spaziale reaganiano) e sullo sforzo complessivo verso
il disinquinamento, la qualità dei servizi e delle attività culturali.
In questo quadro s'inseriscono negli anni Novanta molti nuovi progetti
soprattutto nelle brown areas e cioè nelle grandi porzioni di città,
spesso qui a Pittsburgh lungo i fiumi, abbandonate dall'industria.
Ma accanto ai grandi progetti urbani comincia ad affermarsi anche
una microprogettualità volta alla trasformazione di singoli edifici
industriali in nuovi organismi e in nuovi modelli di vita.
Presentiamo a questo riguardo in particolare tre progetti recenti:
La Glass Factory che lo studio Davis&Gannon ha realizzato con Bruce
Lindsey, il Dance Alloy di Edge-Studio che le sorge accanto e, infine,
l'intervento Ellsworth Center di Arthur Lubetz Ass., uno studio che
è attivo da molti anni in città.
Ma prima di entrare un poco di più nel merito dei progetti bisogna
soffermarsi sul concetto di Mix Funzionale entro cui gli interventi
muovono.
IL CONCETTO DI MIXITÉ. La città nata dalla rivoluzione industriale
era basata sulla divisione per aree omogenee: ciascuna zona, come
ben sappiamo, era regolata, organizzata e ottimizzata attraverso specifici
standard, densità e tipi edilizi e veniva messa "in catena" con altre
zone funzionalmente distinte in maniera da ottimizzare la produttività
generale. A un concetto di spazio ne era naturalmente associato uno
di tempo. In queste ore e in questi luoghi si lavorava, in questi
e a queste ore ci si svagava, qui si dormiva e ci si riposava. Lo
zoning era il principio cardine attraverso sia lo spazio che il tempo
venivano concepiti, organizzati, progettati.
The Design Alliance e Rusli Associates, Alcoa
HeadQuarters. Pittsburgh, 1998.
Ora, è abbastanza interessante notare come la città dell'informazione
-e tale è sicuramente Pittsburgh- in cui per frammenti stiamo
cominciando a vivere presenta un ribaltamento di questo approccio
perché al concetto di catena sostituisce quello di rete. Naturalmente
continuano a esistere meccanismi unidirezionati per alcuni sistemi
produttivi, ma esistono allo stesso tempo legami traversi di piccoli
entità che sono connesse appunto come le maglie di una rete.
Vista notturna delle attività sul lungo fiume. Pittsburgh,
autunno 2001.
In questo contesto l'idea di zoning e di omogeneità funzionale perde
di centralità. Si tende a operare "per progetti" funzionalmente
integrati che presentino varie attività simultaneamente, piuttosto
che per grandi, spesso irrealizzabili, disegni. La logica di progettazione
diventa sempre più attenta alle interconnessioni tra spazi e funzioni
piuttosto che al miglioramento esclusivo di ciascuno anche per far
emergere modi di vita basati sulla simultaneità invece che sulla sequenzialità,
sul misto di funzioni, di interessi, di commistioni, piuttosto che
sulla monofunzionalità. Insomma, alla città divisa per zone e coerentemente
concepita con le tecniche della separazione in fasi si contrappone
una città dell'informazione basata "esattamente" sui processi opposti;
perché le reti diffondono, personalizzano, frammistano e invocano
processi complessi, stratificati e ibridi di vita e di progettazione.
E questo appunto avviene tanto alla macroscala della città che alla
microscala di piccole architetture.
LO STUDIO LIQUID STRIPS. Su questi criteri è stato impostato lo studio
"Liquid Strips" tenuto alla Carnegie-Mellon University da chi scrive
e che proponeva una serie di progetti di Mixité su delle aree industriali
dismesse lungo il fiume Allegheny. I progetti naturalmente obbedivano
a una precisa strategia di piano proposta dalla task force municipale.
Si trattava innanzitutto di proporre una strategia fatta per "progetti"
ciascuno dei quali presentasse al suo interno una combinazione pubblico-privato.
Dal punto di vista funzionale ciascun progetto doveva presentare cinque
componenti: Living, Creating, Inrastracture, Exchange e Rebuilding
Nature.
Appunti da una Lezione del Corso "Liquid Strips",
Antonino Saggio, Carnegie-Mellon University 2001
(D. Parker) in cui è sintetizzato il concetto di Mixité
attorno alle cinque macro aree Living, Infrastracturing,
Creating, Exchanging and Rebuilding Nature. I grafici
indicano
le diverse percentuali di ciascuna attività a
seconda della forza trainante il progetto.
La definizione apparentemente vaga delle macro categorie funzionali
era invece strumentale a pensare in maniera più mirata un progetto
di Mixité e in particolare a centrare il concetto di driven force.
Con driven force si intendeva la funzione prevalente del progetto.
Se, per fare un esempio, in un caso si riteneva che una determinata
area e una determinata posizione favorisse il tema prevalente del
parcheggio, questo tema diventava semplicemente la "forza trainante"
del progetto; il programma dell'intervento nel suo insieme doveva
"comunque" contenere in una certa percentuale anche le altre quattro
componenti.
Esposizione e Modello, "Liquid Strip" Studio IV.
Carnegie-Mellon University, Pittsburgh, autunno 2001.
Vi doveva essere una quota parte di Rebuilding Nature (cioè di attrezzature
per il tempo libero e destinate a verde), di Exchange, cioè di commercio,
di attività lavorative, cioè creating e anche di Living. Il problema
era studiare come, in quali combinazioni, attorno a quale "storia"
complessiva. Naturalmente questo modo di pensare non era lontano da
quello reale che si poteva riscontrare nei tre interventi di cui ora
parliamo.
TRE ARCHITETTURE DI RIVITALIZZAZIONE E MIXITÉ. Il progetto Glass
Factory ha come motore della propria complessità d'uso quello
della fabbricazione artigianale del vetro. Attorno a questa funzione
prevalente ruotano aule didattiche, laboratori, vere e proprie zone
con forni e naturalmente aree di commercializzazione e di esposizione.
Combinate a queste vi è anche un certo numero di appartamenti per
persone che o fanno parte delle attività del centro o che semplicemente
desiderano vivere in un contesto dinamico e anticonvenzionale.
Davis&Gannon con Bruce Lindsey, Glass Factory.
Pittsburgh, 2001.
Davis&Gannon con Bruce Lindsey, Glass Factory,
vista
dei percorsi interni. Pittsburgh, 2001.
La funzione trainante diventa in questo caso il principio organizzativo,
funzionale e formale insieme. Per esempio esso suggerisce l'adozione
di grandi porte di garage a pannelli di vetro per il trattamento dell'esterno,
oppure consente di affiancare al laboratorio alcune aule didattiche
o luoghi di vendita o suggerisce per la residenza forme ibride di
lavoro e vita anche all'interno delle case. Inoltre gli spazi di smistamento
e di distribuzione sono qui esaltati sia dal punto di vista sociale
che da quello del disegno del dettaglio, non a caso molto curato pur
nella sua apparente brutalità.
Davis&Gannon con Bruce Lindsey, Glass Factory,
vista
e dettaglio della scala. Pittsburgh, 2001.
Accanto alla Glass Factory sorge il Dance Alloy in cui
la funzione prevalente è quella della sala prove per l'esercizio della
danza. Anche in questo caso un mix di funzioni è pensato attorno alla
funzione prevalente, che però non trova come nel caso precedente la
possibilità di rivelarsi con forza nella spazialità interna.
Edge-Studio,
Dance Alloy, vista sulla strada principale.
Pittsburgh, 2001.
Il terzo progetto –Ellsworth Center- si trova non lontano dai
primi due ma in un quartiere diverso, ormai da molti anni quasi completamente
recuperato.
Arthur
Lubetz Ass., Ellsworth Center, vista della
testata. Pittsburgh, 2001.
Arthur
Lubetz Ass., Ellsworth Center, dettaglio.
Pittsburgh, 2001.
L'intervento è meno sperimentale del precedenti, più ampio per dimensioni
ed è interessante soprattutto come testimonianza di come i temi della
mixité (in questo caso due piani commerciali su strada e un misto
di uffici e residenze negli altri, cui si accede anche da una terrazza
retrostante che diventa parcheggio) stanno cominciando a permeare
molti interventi anche di solidi e affermati professionisti americani.
Nell'insieme questi tre progetti mi sembrano veramente dei piccoli
cuori pulsanti di una città diversa, più ricca e complessa che può
aprire occasioni di immaginare d'architettura.
|
|
[19nov2003] |