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Coffee Break

Laboratorio in azione

Antonino Saggio





Stefano Converso
SHoPWORKS. Collaborazioni costruttive in digitale
(IT Revolution in Architecture)
Edilstampa 2008
pp. 96, € 14,00
prefazione di Antonino Saggio

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[in english]
Louis Sauer, architetto americano grande esperto di housing, insisteva spesso su un punto chiave: l'importanza di lavorare dentro il development process, dentro cioè la rete di reciproci condizionamenti che i diversi attori del processo edilizio determinano. Solo la capacità operativa, i metodi e la flessibilità operativa dell'architetto possono garantire, tra l'altro, che un processo intrinsecamente conflittuale come quello edilizio possa portare ad un arricchimento del progetto invece che ad una progressiva castrazione della qualità.

La posizione di Sauer, i suoi articoli e l'insegnamento rappresentavano, quando lo avevo conosciuto, una posizione di minoranza: da una parte gli architetti star erano disinteressati ad un approccio apparentemente compromissorio perché essi potevano imporre le decisioni per "chiara fama", dall'altra parte una grande massa di professionisti era rassegnata a vedere eroso il progetto dal prevalere di logiche settoriali e dal fatto che ogni gradino verso la realizzazione diventava un progressivo impoverimento del progetto sino alla generalizzata mancanza di qualità che investe gran parte del patrimonio edilizio in tutto il mondo. Tutto l'insegnamento di Louis era invece rivolto allo sviluppo di una coscienza operativa di questi conflitti e soprattutto allo sviluppo di metodi capaci di guidare i conflitti verso il mantenimento anzi, lo sviluppo, della qualità. Alla rassegnazione intendeva sostituire la consapevolezza attraverso il possesso di nuovi strumenti. "How can you work with developers and actually enjoy it", era un suo slogan e il grande interesse dei moltissimi suoi progetti, in particolare quelli a Society Hill, Philadelphia, erano un concreto esempio.

[15 agosto 2009]

Diagrammi prodotti da SHoP per delineare i rapporti con gli attori del development process: l'unica configurazione rifiutata è quella che non implica intersezione tra l'attività dello studio e quella degli altri soggetti coinvolti.

Naturalmente attorno a questo atteggiamento esistevano alcuni sostegni culturali e scientifici. Sicuramente tutto il lavoro di John Habraken e del Sar olandese, la ricerca filosofica e metodo-logica ad un tempo di Christopher Alexander, l'indagine sociologica di John Zeisel, quella di psicologia ambientale di Oscar Newman e anche alcuni settori di ricerca che intrecciavano il problem solving con le nascenti tecniche di intelligenza artificiale, per esempio nel lavoro di Herbert Simon, erano di interesse. A questo ambito di studio dedicai una certa attenzione nel mio lungo periodo statunitense alla metà degli anni Ottanta sia con una monografia dedicata appunto a Louis Sauer sia in un piccolo libretto che si chiamava Using goals in design che tentava di ipotizzare metodi e procedure per un lavoro di qualità entro il development process. Eravamo nel 1988.


Estensione del Fashion Institute of Technology di New York. Schema, realizzato con GenerativeComponents, della struttura digitale del sistema di facciata, condivisa con ingegneri e impresa realizzatrice (Buro Happold e Front).

In questo libro di Stefano Converso, dopo più di vent'anni da quegli studi, l'argomento delle "collaborazioni" nel processo progettuale ritorna in primo piano attraverso una doppia e importante nuova chiave. La prima è rappresentata dalla maturità raggiunta da un insieme di strumenti informatici. L'informatica, essendo per sua intrinseca natura, flessibile, parametrizzabile e modellabile consente appunto la gestione di un aspetto collaborativo. Consente in una parola la creazione di modelli, come un insieme di parametri manipolabili e quindi consente un campo possibile per affrontare complesse negoziazioni tra obiettivi apparentemente divergenti. Obiettivi che se affrontati senza strumenti e metodi portano ad un impoverimento del progetto, ma se affrontati con strumenti adeguati (oggi appunto informatici) non solo possono essere risolti con successo, ma possono anche portare a del tutto inaspettate nuove invenzioni creative (come appunto il lavoro di Louis Sauer aveva ampiamente dimostrato). La seconda scelta di campo di questo libro di Converso è assumere un emblematico caso studio di questa problematica focalizzandosi sul lavoro di SHoP Architects. Si tratta di uno studio newyorchese in rapida ed entusiasmante crescita proprio perché ha collocato la propria attività nell'incrocio di una serie di importanti e attuali questioni.




Vista dell'alto dell'installazione DUNESCAPE presso il P.S.1 di New York e immagine dell'unico elaborato prodotto per la realizzazione: template in scala 1:1 per il taglio sul posto dei componenti standard in legno che costituiscono l'intera struttura.

Innanzitutto quello che caratterizza SHoP è un atteggiamento anti-star, un atteggiamento rivolto all'ascolto e alla collaborazione con i diversi attori del processo edilizio che è appunto consentito e facilitato dai nuovi strumenti informatici. In secondo luogo una sperimentazione e una forte carica pionieristica è accesa con entusiasmo dallo studio in ogni singola occasione progettuale, da quelle semi dimostrative dei primi anni Duemila a quelle via via più impegnative di questi ultimi anni. La terza componente è una presenza sempre marcata da parte di SHoP di un'interessante ricerca figurativa. Una ricerca che si concentra verso il tema delle variazioni, delle tessiture mobili, delle modifiche delle componenti che fanno vibrare i loro progetti in una dimensione tutta contemporanea e digitale. E la bellezza delle opere diviene tanto più rilevante proprio perché connessa ai due aspetti precedenti e anzi spesse volte deriva dalle stesse limitazioni di ciascuna situazione operativa.

 
Vista della facciata nord del centro commerciale SanLiTun di Pechino.

Il libro di Converso analizza SHoP architects con un'attenzione che è sì analitica alle specifiche evoluzioni e ricerche di ogni progetto ma che conserva allo stesso tempo un respiro generale e quindi un implicito scopo dimostrativo e indicativo alla trattazione: attraverso i progetti di SHoP si possono ripercorrere ed eventualmente tentare di duplicare le tappe che hanno portato dei giovani architetti a sperimentare (spesso con pochi mezzi) una logica digitale di progettazione e di esecuzione. Al lettore impegnato in questo campo è porto un testimone operativo. Il secondo aspetto di questo libro che bisogna segnalare è l'attenzione che l'autore pone ai diversi strumenti software che ShoP usa; strumenti capaci di portare a realtà i progetti, a creare modellazioni di vario tipo, a interagire con i costruttori e con gli stessi operai.

Il fatto che gli esiti architettonici di SHoP siano tra l'altro pregevoli, non fa che rafforzare il valore delle componenti che lo studio americano ha messo in gioco e che Converso ci indica con chiarezza e precisione rara. Infine l'autore punta l'attenzione ad una serie di termini che visti dal di fuori sembrano appartenere ad un buffo gergo specialistico. Termini come kit, versioning, sartorializzazione eccetera. È invece, crediamo, che proprio questi neologismi siano rappresentativi di una modalità profondamente nuova di affrontare i temi della progettazione. Una modalità che sta dando i suoi frutti e che comincia a funzionare: SHoP works.

Antonino Saggio

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