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SOUTHCORNER. Plenilunio





Mu
ñoz Molina Antonio
"Plenilunio"
Mondadori, 1998
pp304, €16,53

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    "Plenilunio" si pone in continuità con le nostre "Battaglie". La letteratura e l'arte/architettura increspano appena la superficie opaca e violenta della storia. L'intenzione resta quella di affidare alla scrittura/architettura, come alla fioca luce di una lanterna, l'incerto e disperato tentativo di rischiararne il complice rispecchiamento, l'irriducibile contraddizione. [Southcorner/Nella Tarantino e Antonio Cuono. Tres de Mayo è scritto con Antea Zitarosa]

 
   
ore 3.40 in via Saluzzo angolo via Dronero 3 uomini e 1 donna
sconosciuti si allontanano abbandonandosi



I. Tres de Mayo

Nel 1814 Goya dipingerà, insieme al Due maggio 1808, della Puerta del Sol, quel terrificante capolavoro del realismo contemporaneo che è Le fucilazioni del 3 maggio 1808. La storia anonima dei fucilati di ogni rivolta popolare trova in quest'opera la sua impressionante, monumentale epopea.
Dino Formaggio, Goya

Da tempo faceva fatica a seguire il filo di un pensiero, il suo peso o il suo ricordo, e la sua capacità di svilupparsi e di sorprendersi aprendo un varco nel tempo a venire. Come se non ce la facesse a continuare, quando questo gioco l'aveva cercato e l'aveva voluto, e tutto sembrava facile e che non dovesse fare altro che lasciarsi andare e c'era chi l'avrebbe aspettato, lui doveva solo aspettare. Poi lo sguardo è diventato confuso, da tempo ogni notte faceva lo stesso sogno, e la mattina, al risveglio, non distingueva più il sangue dal sogno.

Non c'è luce nello sguardo della marionetta che mi fissa e si moltiplica in questa notte senza luna, in alto sulla collina, la città lontana.
Non ha volto quella maschera disgraziata che si espande e prolifica, non ha voce il plotone d'esecuzione, qual è la voce della morte, perché questa notte mi ha scelto la morte.
In questa notte senza luna han portato fin quassù una grande lanterna per illuminare la mia morte ed io mi son messo la camicia più bianca e non l'ho scelto, io non lo sapevo, che in questa notte senza luna non c'era più neanche il cielo ed io ho alzato le braccia ma non c'erano gli angeli, in cielo, e non ho sentito il loro pianto, ed io ho alzato le braccia, ma non c'era Cristo sulla collina e non ho sentito il suo dolore, ed io ho alzato le mie braccia in questa notte senza risveglio ed ho sentito la carezza della morte sulla mia camicia bianca.

In questa notte senza luna, senza più stelle né vento, in questa notte cupa, ora finalmente sento che era vero quel sogno.

In questa notte già lontana, hanno sbarrato le porte di tutte le città di Spagna, e le nostre case vuote dormono il sonno della nostra morte.
In questa notte scura che non sembra maggio vi offro le notti di quelle estati della mia infanzia, che non bastavano a ridarmi pace, che non riuscivano a ridarmi sonno, che mi sputavano addosso la febbre allucinata del giorno, di quelle notti sfigurate che s'addensavano sul mio sonno, sulla mia giovinezza troppo innocente per sfuggirgli.


Noi pensiamo la vita una sequenza di attimi perché ogni attimo debba seguire il primo senza renderci conto che in qualunque momento potrebbe accadere qualunque cosa che possa stravolgere tutto.
E noi pensiamo che fino all'ultimo riusciremo a sottrarci all'ultimo momento, ma siamo intrappolati in quello stesso istante che prolunga in eterno la nostra agonia e che si oppone all'istante che sta per sopraggiungere e che cancellerà l'illusione di essere scivolati in un'altra scena del tempo, e di esserci messi in salvo, e di non dover più scorrere verso la fine del tempo.

"E ancora continuo a vedere il mondo dall'alto, dal mio Spitfire supermariner, e non provo ancora la sensazione di discesa e di fardello e di vertigine, di caduta e di gravità e di peso che proverò quando il Messrschmitt che mi si è messo alla coda e mi tiene sotto tiro aprirà il fuoco e mi colpirà: ma ancora no, ancora no, e finché sarà ancora no, posso continuare a pensare alla battaglia e a guardare il paesaggio..."(1).

E noi ci sentiamo dipendere da ogni singolo secondo, dalla continuità che è quella da cui riceviamo non soltanto la vita ma la sensazione della vita, la continuità a cui siamo così abituati da non poter credere che possa interrompersi, che fa si che ogni attimo sussegua al precedente e sia uguale al prossimo. Cosicché quel fucile, puntato contro da scure macchie senza volto, finché sarà sospeso nell'attimo in cui non ha ancora sparato, ci darà il tempo di avvertire ancora il cuore pulsare più veloce del solito, i nostri occhi guardare una scena già veduta, ma diversa, perché quel fucile ora ci è puntato contro.
E per un istante ancora non si richiude questa notte di maggio, finché quel fucile resterà sospeso in quell'attimo, ma molti hanno già dimenticato, e molti sembra di vederli già, a terra, illuminati da quella stessa luce che ne dissolve i contorni.

Certe immagini le teniamo prudentemente a distanza, come in una sorta di irrealtà, convinti che alla fine noi ci salveremo, con quella nota di distacco che non ci coinvolge mai del tutto.
E così "non si fa caso a ciò che accade ogni giorno, non si sa se nel dire a domani uno sta salutando per sempre".

"continuava a prendere precauzioni ormai inutili: guardare la strada dalla finestra appena alzato, cercando una presenza inusuale, un'automobile o una persona mai vista da quelle parti, memorizzare le targhe, cambiare il tragitto da casa al commissariato, girarsi spesso per controllare di non essere seguito, guardare sotto la macchina prima di salirvi: E sebbene la usasse ormai molto poco, ogni volta che girava la chiave nel cruscotto provava un attimo di sospensione, una frazione istantanea di panico. Altri erano stati uccisi da quel semplice gesto, e si chiedeva sempre se avevano avuto il tempo di rendersene conto, se avevano avuto il tempo di intuire che stavano per morire, che in pochi decimi di secondo sarebbero stati scagliati chissà dove, fatti a pezzi in un groviglio di metallo, brandelli di tessuti umani e di abiti, plastica bruciata, fumo denso e soffocante, finestre rotte alle quali in un primo momento non si affaccia nessuno, meglio non guardare, non sapere. Forse no, pensava, era possibile che non arrivassero a rendersene conto, che distratti da qualcosa venissero annientati istantaneamente dalla morte, un piccolo gesto e una frazione di secondo costituivano la sola distanza tra vivere ed essere morti, tra salire in macchina pensando fa freddo, o sono in ritardo, o che brutta partita quella di ieri sera, e in un attimo non essere più nulla, nulla di vivo e riconoscibilmente umano, frammenti e brandelli di carne, di vestiti e di viscere, sangue e materia cerebrale sulla tappezzeria, sul cruscotto di una macchina sventrata da un'esplosione, in una via piombata nel silenzio dopo il fracasso dei vetri, un silenzio come prima dell'alba, con qualche volto timoroso che sbircia da una finestra in alto.
Le poche lettere che riceveva gli facevano pensare a quelli che perdono le mani o gli occhi nell'aprire una busta o un pacco che non hanno nulla di sospetto. Meglio una morte istantanea all'orrore della cecità, della mutilazione: ma no, non si augurava nemmeno quel tipo di morte, se volevano eliminarlo e non aveva la possibilità di sfuggire, meglio che lo facessero fuori rapidamente ma dandogli il tempo di capire e accettare che stava per morire."
(2)
E forse si chiedeva come e per quale aggrovigliata via fosse arrivato a quella disgraziata conclusione, quale "corrente sconsiderata e potente lo avesse trascinato verso quell'istante", se fosse stato per prudenza, paura o leggerezza o, al contrario, se per quella sua sottile arroganza e prepotenza.

Perché il cerchio si è chiuso proprio su di noi, perché, e forse già ce ne eravamo accorti, da tanto tempo ci seguiva la morte.
E se quella notte fosse stata notte di plenilunio o se una gigantesca lanterna avrebbe illuminato il nostro sguardo e quello senza volto.
Se l'istinto selvaggio si scatena al crescere della luna, e l'assassino si riconosce e riconosce la sua preda e la segue senza dargli scampo, già rubando la sua innocente inconsapevolezza, fino a quando non gli posa addosso la sua enorme mano e non c'è più nulla che la possa salvare ed è solo il putrido liberarsi dell'orrore, della fiera che si avventa sull'agnello, dell'urlo orribile che ti fa risvegliare di dietro i vetri, chiusi, della tua stanza che non ti riesce più a riparare dal chiarore della luna che ti inonda e che ti fa male.
O se l'orrore per crescere ha bisogno di nascondersi nell'oscuro mare di una notte che ci inghiotte e partorisce il male.
E solo allora ci accorgeremo che avremmo dato tutta la nostra vita pur di morire altrove, per non aver avuto il coraggio di lottare con la consapevolezza di morire e disegnare noi stessi la figura e il quadro della nostra morte.

Altre notti lo avevano raccolto e medicato, notti che lo avevano stretto ed abbracciato, "lontano da tutto, notti in cui si era nascosto provvisoriamente in salvo".

Ma ora che anche quella notte si era dileguata non lasciandogli addosso neanche il senso del ricordo, ora che stava di nuovo per attraversare la luce mattutina del giorno, "fu l'ombra a metterlo in guardia, l'ombra obliqua che si allungava verso di lui alla sua destra e che risvegliò come in un lampo l'istinto di vigilanza e di pericolo, tanto intorpidito negli ultimi tempi, completamente dimenticato quella mattina.
Uscì dal portone con la testa bassa, senza guardarsi intorno, estraneo e ostile alla luce cruda dell'estate.
Fece alcuni passi sul marciapiede senza guardarsi alle spalle, come avrebbe dovuto e come faceva sempre, non controllò il lato destro, che era il più vulnerabile, perché il sinistro era protetto dai muri delle case.
Dunque è questa la faccia dell'individuo che mi avrebbe ammazzato, e in quel secondo interminabile comprese che la vera sensazione dell'imminenza della morte la può conoscere solo chi è sul punto di morire, che nessun'altra sensazione può essere paragonabile o la si può pronunciare: la calma, lo sgomento, il silenzioso arresto del tempo".
(3)



 
[21feb2003]
II. Le grotte di San Isidro

Giù la testa muove dal pretesto della rivoluzione messicana, per diventare una riflessione sulla rivoluzione in generale e, più specificamente, sulle personali delusioni politiche e sociali dell'autore. Autentica confessione personale in forma di racconto, Giù la testa è un film che fa storia a sé.
Francesco Minniti, Sergio Leone

dentro la carrozza
niente lascia prevedere
la vostra sconfitta
travestita
le vostre bocche di violenza
le vostre labbra che succhiano
ma non ho paura
non ho mai avuto paura
esplode la montagna
e avanza la tua solitudine
era tanto tempo fa
era troppo tempo fa
il treno si ferma alla stazione
a Mesa Verde c'è la rivoluzione
i muri della città sono sporchi
del sangue della fucilazione
c'è sangue c'è confusione
Redondo, a te il municipio e la vecchia prigione
Francisco la stazione
Antonio la caserma
Ortega l'ufficio postale
A voi la banca e i soldi da rubare
ancora non so che vi dovrò tradire
e farvi fucilare
ma a volte la rivoluzione
è davvero la rivoluzione
anche se per poco
per caso
la rivoluzione
e si riempie di morti
per favore non parlarmi più
della rivoluzione
la rivoluzione è fatta di morti
e prima della rivoluzione
chi di noi sarà a morire
chi ci dovrà tradire
ma voi no
voi no
voi che non c'entrate niente
voi che siete i miei figli
e che io non so neanche il nome
anch'io potrei morire
se vi vedrò morire

giù al ponte
giù la testa, ora
giù al ponte
spara e spara
s'alza il vento
polvere e vento
ora spara
ora, giù al ponte
ora, giù la testa
e l'immensa nuvola
sale
come la musica sale
sorridi ora
poi non ci sarà più tempo
per sorridere ancora
te li uccideranno tutti
e non li potrai chiamare
tutti e sei
e non li avevi mai contati
io ti ho seguito
non lo sapevo ancora
come poserò il mio sguardo
sui vostri volti
che sembrano dormire
e tu che sei il più piccolo
e che mi guardi ancora
s'accendono i fanali
per le fucilazioni
in questa notte di pioggia
non ti vorrei vedere
in questa notte di pioggia
ma tra i vetri bagnati
ti ho riconosciuto
la notte infame
delle fucilazioni
indicavi me
ed io ti ho visto
dallo specchio
indicavi me
so che morivi
ed io morivo
quella notte per sempre
come voi
fantocci che vi ripiegate

non t'aspettavo più
ora che non me ne frega
più niente di morire
che non mi serve più capire
non tutti riescono a salire
sui treni
come maiali
li stanno trucidando
non ho più sogni
dormire, forse
io vorrei fuggire
non parlare
ma è di nuovo il tempo
di aspettare
questo è il punto dove
li dobbiamo fermare
ti ho visto quella notte
sul camion e ho
rivisto la tua morte
e ho rivisto la mia morte
e quei fantocci cadere
e poi più niente
nell'immenso scontro
e sale il vento e il fumo
e solo polvere e fumo
e colpi di mitraglia
e ti rivedo
ma non mi sembra vero
eppure so che stavolta
vuoi morire
dai, non morire dai
non mi lasciare ora
sono solo
non ricordare
amico mio
non mi lasciare
c'è solo vento e polvere
e fumo
e io sono solo



 
 
    III. Il campo di grano

io voglio andare a casa, voglio vedere,
i servi e la mia sposa e il figlio piccino;
non so se potrò ancora tornare tra loro
Omero, Iliade

Scosso dal vento, un albero di pere perde i suoi frutti. Sulla cittadina toscana incombe la rappresaglia nazista. Un disco suona a pieno volume una marcia americana, i rifugiati nelle cantine escono festanti nell'illusione che la liberazione sia imminente. E celebrano in tutta fretta le nozze tra un partigiano e la sua ragazza incinta, il padre della sposa offre fette di pane, un vecchio recita versi dell'Iliade...
La notte di San Lorenzo (1982) è il film più autobiografico dei fratelli Taviani: da ragazzi vissero quel periodo e quegli eventi. Vittorio aveva quindici anni e Paolo tredici quando nella cittadina natale di San Miniato in provincia di Pisa l'esercito tedesco in ritirata si congedò dal luogo, secondo il suo costume, con un eccidio.
Ugo Casiraghi

Giovanni,
inviato da Dio
Giovanni
mi chiamerò Giovanni
domani che sarà battaglia

e tu, Bruno,
quale sarà il tuo nome?

Giovanni
io, io
mi chiamerò Giovanni
come il figlio di Zebedeo
e di Salome,

fratello di Giacomo detto il Maggiore,
Giovanni di Betsaida,
in Galilea
figlio prediletto
discepolo amato

e io San Martino
e io come te Bruno
e io Requiem
io mi chiamerò Requiem

no io no
io mi chiamerò Giovanni
come te
pallido fiore
bianco giglio di sangue
figlio prediletto
figlio del tuono
stanco della salita

come te
che solo fra tutti
sei salito alla Croce
dimmi come hai fatto
Giovanni
a veder morire
quell'uomo, che
più d'ogn'altro
t'amava

dimmi come
hai fatto,
Giovanni,
insegnami
perché anch'io ne ho bisogno
a sostenere il
dolore di sua Madre
che ora, mentre muore,
t'affida

Si io mi chiamerò Giovanni
come quello delle Scritture
come il discepolo che Egli amava
perché senza quell'amore
io non ce la farei
Giovanni,
come il discepolo prediletto
dipinto nei quadri del Quattrocento
Giovanni del dolore
Giovanni dell'amore

Giovanni con le tue braccia al cielo
Giovanni solo
Giovanni grida al mondo
che non c'è perdono all'orrore
gridalo alle piante e al vento
e al tramonto
e sussurralo alle stelle e ai sogni
e al pianto
dillo ancora, non ti stancare
occhi dolci, riccioli d'oro,
raccontagli delle sere infinite
a camminare e a raccontare
delle scommesse e dei sogni
lancia i tuoi dadi Giovanni
non c'è freccia che ci può far male
credi nel mondo Giovanni
io ti so accompagnare
amami Giovanni
se tu mi ami
non potrai mai morire

per noi è così semplice
per noi dal viso d'animale
basta un nome, una smorfia
la mia criniera di Leone
le mie sopracciglia di Gufo

no, io
io
io
Giovanni
io mi chiamerò Giovanni
come il mio figlio prediletto
giglio di sangue
come il figlio che amavo
ancor prima d'averlo
come il figlio che ho amato
dentro i tuoi occhi innocenti
come il figlio che è morto
straziato gonfio
dentro il tuo ventre
come il figlio che mi hanno
strappato straziato
come hanno strappato straziato
la tua carne
là dentro la Cattedrale
tra le case di San Martino
minate con cura
per farne esercitazione
di fuoco artificiale
perché la bestia che se ne doveva andare
aveva ancora fame
doveva ancora divorare

giglio caro
fiore di campo
io che non ho mai veduto il tuo volto
né sentito il tuo pianto

io che ho il tuo volto
e che sono il tuo pianto
io porterò il tuo nome
sento già i rumori dal campo

giglio purissimo
fiore di sangue
tu che la bestia umana
non ha dato il tempo
di fiorire
per te combatterò
quando s'alzerà già caldo
il primo sole
e dalla notte dei desideri
saranno cadute tutte le stelle
su questo mare d'oro

combatterò per te
con tutta la mia paura in corpo
io canterò per te
con quanto fiato ho in corpo
ti troverò nel grano
giglio santo di campo
ti incontrerò finalmente
figlio che non t'ho mai veduto

e sarò Achille piede rapido
e sarò l'ira e la rovina di molti
e sarò Ettore elmo abbagliante
che dei Troiani è il migliore
e non indietreggia di fronte agli Achei
e non teme il nemico migliore

Quando s'alzò già caldo il primo sole
a cancellare i desideri
di quella Notte di San Lorenzo
di tanto tempo fa
bambino mio
quel che io vidi
fu come in un sogno

in quel mare aperto di grano
si sparse il colore nero
della morte
e aveva la voce dei fascisti
e aveva il rumore dei colpi
di mitraglia
non importa se s'era nati
di fronte o un tempo amici
ora s'era nemici
e non v'era acqua per entrambi

Quando il sole si saturò di luce
il nero coprì tutto l'oro
a più d'uno sfigurarono il viso
te, silenzioso capo,
t'appesero a quella croce
come rinnovarti il martirio
e noi ti deponemmo
in quel lenzuolo di grano

finché li vidi, te lo giuro
e non fu solo nei racconti
del nonno
li vidi alzarsi a schiere
prima una e poi l'altra
e poi l'altra
con gli elmi dai cimieri chiomati
e gli scudi e le corazze lucenti
e l'una schiera tendeva all'estremo
i suoi archi
e l'altra puntava mille lance
di bronzo

li vidi, lo giuro, e sembravano
dei, eroi giunti da storie
e leggende lontane
eroi, il cui sguardo non tradiva
l'inganno, i fiori più belli
che mai fossero cresciuti
in quel campo

e lanciarono, lanciarono, lanciarono
le loro aste una sola
e colpirono, colpirono, colpirono
tutto il male in quel solo uomo

e trafissero, trafissero, trafissero
in una sola ferita
aperta ferita del costato
e tornarono, tornarono, tornarono
i colori del giorno
e i sogni della notte

e tu ti addormentasti, tu ti addormentasti
ti addormentasti
nel sogno, Giovanni
"ha solo quindici anni"
e il tuo bambino
quanti anni aveva
Giovanni?

Il sogno di Alcione

Anche l'idea di testimonianza è vana
e non c'è testimone che possa in verità assolvere
il proprio impegno.
E oltretutto ognuno dimentica sempre troppi istanti,
perfino ore o giorni e mesi e anni,
e la cicatrice di una coscia che vide e baciò ogni giorno
per lungo tempo del suo tempo conosciuto e perduto.
Javier Marias

In questa mattina di luce
io sto camminando
io ti sto pensando
sto venendo da te

Ma si alzano grandi nuvole
nel cielo blu
e ti sto pensando
e il cielo non è più
il cielo
e tu dove sei
ora tu
in questa notte che
avanza
che cancella te
e cancella me

E ti sto cercando
oh dove sarai
dolce stella del mattino
chiara luce del giorno

Vento e vento dovrà soffiare
vento e vento per dimenticare
vento e vento
ma io non mi stancherò
son sempre qui a cercare
in questa notte che cancella
me
e cancella te
e non ci fa respirare
stanco per sempre
stanco
(non riesco più a sognare)

Stanco per sempre
stanco
senza di te
io non sapevo
io camminavo
per incontrare te
io non sapevo
che non ti avrei
più vista
io non credevo
di camminare
in questa luce chiara
verso la morte
verso la notte

"In questa notte sola che
cancella i passi e il tempo
cancella me, cancella il mondo
notte aperta che non s'è chiusa più
per noi
torno a casa
ma casa non c'è più
torno a casa
ma casa io non so"
(4)
Son perduto
ti ho perduto
in questa notte
aperta che non si chiude più

Si alza la nostra bandiera
e sale
e s'alza il vento
e l'odore acre della morte
s'alza al vento
i miei sogni al vento
i miei passi, io ritorno
sale in alto la nostra bandiera
e avvolge i nostri eroi
protegge il nostro sonno.
Noi che ci alzammo
in una limpida mattina
di settembre
che il vento pareva
accarezzarci il viso
e sospingerci verso la vita
e noi non credevamo
che quella era la nostra
mattina
che quello era il giorno
della nostra chiamata
a battaglia
E noi non sapevamo
ma abbiamo combattuto
e la nostra bandiera
non ha mai smesso
di sventolare
E abbiamo combattuto
fino all'ultimo uomo
e abbiamo resistito
fino all'ultima trincea
E ci preparammo alla
nostra battaglia
e ci siamo vestiti d'oro
e d'argento
anche se non sapevamo
perché la nostra bandiera
non ha mai smesso
di sventolare
e di salire su nel cielo

E il nostro cielo era azzurro
e d'oro e d'argento
e il nemico non credeva
e il nemico non sapeva
che fin dal nostro primo
giorno
eravamo pronti a questa
battaglia
a sfidare quel che
solo gli eroi sanno fare
E si sono alzate le nostre schiere
e i cimieri e le lance
nel vento
e i nostri scudi
erano specchi che
riflettevano il sole
e i nostri volti
erano per sempre
scolpiti nel tempo
voi che non ci avete visto tornare
e che vi è apparsa
la nostra morte come in sogno
non temete
per le nostre ombre
ombre d'eroi
segni del tempo
sangue dell'uomo
noi non abbiamo
paura della notte
che voleva cancellare
i nostri volti e il tempo
il mare è calmo
sotto il cielo stellato
sicure avanzano
le navi
lungo le rotte
stabilite
dal volo dei gabbiani

SOUTHCORNER
architettura@southcorner.it
 
   
 
    NOTE:

(1) Domani nella battaglia pensa a me, Javier Marias, Torino, 1998.
(2) Plenilunio, Antonio Munoz Molina, Milano, 1998.
(3) op. cit.
(4) Tobia in Shake, Francesco De Gregori e Zucchero, 2002.
   
 
   

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