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Accademia Nazionale di San Luca
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, DARC
Fondazione La Quadriennale di Roma

Architettura e arte oggi
nel centro storico e nel paesaggio


convegno internazionale
a cura di Lucio Passarelli con Alessandro d'Onofrio
Roma, 2-3 dicembre 2002

  L'Accademia di San Luca ospita, nei giorni 2 e 3 dicembre 2002, il convegno internazionale "Architettura e arte oggi nel centro storico e nel paesaggio" organizzato in collaborazione con la Direzione Generale per l'architettura e l'arte contemporanee (DARC) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Fondazione La Quadriennale di Roma e curato da Lucio Passarelli con Alessandro d’Onofrio. Insieme al programma dell'incontro, ARCH'IT anticipa ai suoi lettori l'introduzione di Lucio Passarelli e gli interventi di Lorenza Bolelli e di Ludovico Pratesi contenuti nel catalogo. Nei prossimi giorni saranno inoltre presentati, su queste pagine, alcuni degli elaborati del workshop che ha accompagnato l'iniziativa.




[30nov2002]
ARCHITETTURA E ARTE NEL LIMITE

Lorenza Bolelli


Possiamo affermare che esiste un confine o meglio un limite tra l'azione dell'artista e quella dell'architetto? Difficile riconoscerlo, ma certo è che esiste una barriera fisica prestabilita fra opera artistica e opera architettonica (neanche una legge italiana, quella che riserva il 2% dei fondi destinati a delle opere pubbliche, alla realizzazione di interventi artistici è riuscita a definirla); il rapporto dell'opera d'arte (o la sua assenza) con l'architettura, con il paesaggio, o più in generale, con il contesto in cui essa s'inserisce è da molto tempo oggetto dell'attenzione critica contemporanea della che puntualmente ripropone un vecchio dilemma: le città e gli uomini che le abitano sentono la necessità di questa corrispondenza?

Si può genericamente parlare di una demarcazione data dalla relazione fra spazio urbano e extraurbano, fra città e periferia, fra periferia e campagna (o quello che rimane oggi di essa). Spesso è solamente la riproposizione di un rapporto mai risolto fra città moderna e città post-industriale, fra storia e contemporaneità.
Cucire queste separazioni, a volte profonde, che il tempo ha definito e stratificato è operazione alquanto difficile e ambiziosa se si affida questo compito solo all'opera d'arte o architettonica, senza tenere conto del linguaggio impiegato o del sistema di riferimenti topologici e simbolici che è chiamata a rappresentare. 

Con la nascita di alcune avanguardie artistiche (la land art piuttosto che l'arte concettuale, l'arte povera piuttosto che la video arte, la body art e la performance) ha perso consistenza l'idea di spazio museale inteso come luogo esclusivo della rappresentazione. Ciò ha favorito la reinvenzione della scrittura artistica come interazione con l'ambiente, ma anche la messa in crisi del concetto di centro come luogo fisico, di emanazione e conservazione delle diverse forme d'arte. Il luogo istituzionale viene evaso in favore della realtà urbana e della vita sociale. L'opera d'arte si carica proprio di questi nuovi significati, talvolta amplificando le contraddizioni e i conflitti del vivere urbano.

La Francia è stata una delle nazioni che per prima ha sviluppato, coraggiosamente, il rapporto fra architettura e arte o meglio fra storia e contemporaneità. 
Paradigmatica è stata la realizzazione dell'opera di Daniel Buren nella Place Royale a Parigi che ha stabilito, ma solo con gli anni, un rapporto armonico con lo spazio urbano. Un rapporto negato nella fase iniziale perché la memoria dei parigini vedeva quella piazza, quello spazio pubblico, come uno spazio già risolto, consolidato dalla storia politica e urbanistica. Oggi l'opera di Buren pare totalmente "digerita" dalla collettività che ha saputo ritrovare in essa caratteri di nuova armonia spaziale. La stessa cosa non si può dire per gli interventi architettonici che, sempre per rimanere in ambito parigino, si sono realizzati nella grande corte d'onore del Louvre, dove la svettante piramide di vetro dell'architetto Pei non riesce,ancora oggi, a creare un rapporto armonico con il contesto architettonico di straordinaria importanza storica, (una scelta che ha diviso a suo tempo i francesi sull'utilità e la forza dell'intervento) assolvendo esclusivamente la funzione di "servizio di lusso" delle attività collaterali al funzionamento e distribuzione sotterranea del grande polo museale francese.

Gli esempi francesi, pur datati, hanno però aperto la strada a sperimentazioni artistiche e architettoniche volte a modificare la percezione urbana e, per la prima volta, è stato infranto un limite: il rapporto fra città storica e intervento contemporaneo.
Se si esclude il fenomeno artistico della land art, dove appunto il rapporto fra arte e territorio-paesaggio è fortemente integrato, poiché i termini stessi costituiscono la parte fondativa dell'opera, non vi sono casi esemplari di questo "difficile equilibrio". Nella maggior parte degli interventi l'artista (ma questo vale anche per l'architetto) sente la necessità di spezzare il flusso continuo (almeno supposto tale) della storia, inserendosi, volutamente, in modo conflittuale con il contesto circostante per potere, con più facilità, coinvolgere l'osservatore ( i giganteschi ago e filo di Oldemburg in Piazzale Cadorna a Milano). Quando poi l'artista o l'architetto si trovano ad operare nella natura "incontaminata" o nel tessuto urbano consolidato, tendono a impossessarsi con veemenza di questo spazio dall'apparente stabilità immutabile, manipolandolo e plasmandolo, rimanendone tuttavia a loro volta condizionati. In questi casi il desiderio cognitivo si concretizza attraverso la disarmonia dell'opera realizzata con il suo intorno.

Dal momento in cui, alla fine degli anni '60, le neoavanguardie hanno infranto lo spazio "sacro" del museo, il luogo per eccellenza deputato alla contemplazione dell'opera, molte delle nuove forme artistiche nascono fuori e contro gli spazi istituzionalizzati, producendo una forza antagonista il cui scopo è quello di rompere l'armonia urbana consolidata e scontata (le reciproche relazioni tra la piazza, la chiesa, il palazzo del potere…). La conseguenza è che, come sostiene Franco Purini, l'arte (ma io aggiungo anche l'architettura) è più che mai oggi luogo teorico nel quale si elaborano, non solo, i più elevati modelli estetici, ma soprattutto quelli politici, economici e comportamentali. 

Naturalmente non tutte le esperienze di questo equilibrio instabile, fra arte e città, arte e paesaggio, portano ad uno scontro, come alcuni fra i casi riportati nel dossier-studio dimostrano. Purtroppo, molto spesso, si collocano all'estero. Va comunque sottolineato come anche in Italia qualcosa, in particolare negli ultimi anni, sta cambiando, soprattutto fra istituzioni, architetti e artisti. Le esperienze condotte dal Comune di Napoli per il prolungamento della linea 1 della metropolitana, dove architetti e artisti hanno lavorato in sinergia per riqualificare alcuni punti nevralgici della città, lo provano. L'obiettivo dell'amministrazione campana è stato quello di trasformare i luoghi di transito delle stazioni della metro in luoghi di incontro tra cittadini. Su un fronte più ambientale si sono mosse le iniziative dell'Associazione Arte Continua; qui un gruppo di comuni toscani ha creato progetti di integrazione fra le testimonianze artistiche medievali e rinascimentali e l'arte contemporanea. L'obiettivo è stato quello di sperimentare un modello di produzione, diffusione e fruizione dell'arte contemporanea nel territorio specificatamente italiano. Interessanti sono poi le recenti esperienze che Roma ha condotto in alcune periferie della città. L'esperienza di Tor Bella Monaca, dove l'intervento degli artisti invitati aveva l'obiettivo di definire l'identità del quartiere, favorendo il rapporto arte-ambiente caratterizzato dalla mancanza di presenze monumentali storicizzate. Anche l'esperimento della Provincia di Lecce, con l'unione dei Comuni dell'Idruntino, ha coinvolto gruppi di giovani architetti e artisti (del Salento) che hanno dato vita a laboratori finalizzati a promuovere una maggior consapevolezza dei cittadini nei confronti del loro territorio.

Sono esempi in cui c'è, da parte dell'artista e dell'architetto, la forte consapevolezza dell'intorno (urbanistico, storico, sociale) abbinata a una grande umiltà e sensibilità nel cogliere e inserire l'opera in situazioni talvolta degradate; doti che, in alcuni casi, hanno portato ad una sorta di "miracolo urbano". Vi è comunque, prima di tutto la capacità, delle istituzioni e delle amministrazioni locali, di "dare un senso" condiviso, anche dai cittadini, a questi interventi.
Il limite ma anche la forza di queste operazioni sta appunto nel riconoscere la fragilità del contesto in cui si opera, costruendo un rapporto virtuoso tra opera e contesto stesso. Un rapporto che mira a migliorare la vita di coloro che quegli spazi abitano e quei luoghi fruiscono. Animare questa sensibilità nelle giovani generazioni di architetti e artisti è un obiettivo che le università, le accademie, i docenti, le istituzioni, la committenza pubblica e privata, devono perseguire insieme. La qualità nell'arte come nell'architettura si raggiunge con un buon lavoro di squadra.

Lorenza Bolelli
Direzione Generale per l'Architettura e l'Arte Contemporanee del Ministero per i Beni Culturali (DARC)
 

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