EXTENDED PLAY
gli architetti e lo spazio digitale

 

 

Teoria
dell'Ipersuperficie:
Architettura><Cultura*

PARTE(3)

 

[in english]

Stephen Perrella

 

 

Stephen Perrella and Rebecca Carpenter, Mobius House Study, 1998
Stephen Perrella and Rebecca Carpenter, Mobius House Study, 1998
Transversal nurb animations



Incommensurabili: architettura/cultura


L'ipersuperficie è un risultato che si manifesta sull'interfaccia di due dimensioni culturali rimaste fino ad oggi separate: nel caso specifico, le dimensioni sono la cultura estetica ed i discorsi accademici sull'architettura lontani dalla prassi operativa quotidiana. La separazione esiste da molto tempo, e non è certo originata da un qualche piacere per la discussione. Al contrario, si tratta di un tentativo di identificare e definire l'interconnessione tra due sistemi di sovversione completamente differenti - uno è l'avanguardia, l'altro la cultura comune - che si sviluppano su due distinti piani della cultura ma che si incontrano sulla superficie dell'architettura costruita. La parola "iper" prevede un'attività umana riconfigurata dalla cultura digitale, e "superficie" indica quella cosa che accoglie i contenuti all'interno di differenti topologie. Il termine ipersuperficie non è un concetto contenente significati specifici, ma è semplicemente un evento; qualcosa che ha a che fare con una dimensione materiale. Siamo attualmente sulla soglia di questa nuova configurazione, come fossimo in un luogo provvisorio in cui si incontrano nuove forze culturali e intersoggettive. Toyo Ito ha scritto recentemente:

Attraverso la diffusione di diverse nuove forme di media, la fluidità acquista sempre maggiore validità. Tanto più lo spazio urbano e architettonico è controllato dai media, quanto più esso diventa cinematico e fluido. [...] Da una parte i nostri corpi materiali non sono altro che un meccanismo primitivo, che assume aria ed acqua e li fa circolare. Dall'altra esiste un altro tipo di corpo all'interno del quale circola informazione, e quel corpo che è connesso al resto del mondo attraverso diverse forme di media contenenti microchips. Oggi siamo obbligati a pensare come combinare architettonicamente questi due diversi corpi e trovare uno spazio appropriato per lo sviluppo del terzo corpo.

Noi chiamiamo ipersuperficie il terzo corpo descritto da Toyo Ito. In ogni caso, non si tratta più solo di una metafora operativa che va oltre quello che Deleuze e Guattari hanno chiamato un "corpo senza organi". Dal punto di vista della materialità, in qualsiasi legame architettonico la forma è stata allontanata dalla relazione con la funzione, il progetto si è svincolato dal contesto e la struttura è stata disgiunta dalla significazione. L'architettura può ora essere esplorata come una condizione di operatività variabili (umane), attive ciascuna attraverso, intorno e dentro l'altra, già connesse ed in uno stato di flusso.

In termini provvisori si può parlare di una condizione di ipersuperficie. Questo traslato serve unicamente per accumulare, assorbire e dare significato, funzionando da termine infrastrutturale, come parte di un movimento verso un nuovo terreno di confine per il tradizionale dualismo corpo/oggetto. "iper" indica la finale, esistenziale, attuazione del soggetto consumista, e "superficie" definisce le nuove condizioni di esistenza di un oggetto-in-relazione. Si tratta di un altro modo di considerare le teorizzazioni di Bernard Cache su quelli che egli stesso chiama "subjectiles" e "objectiles", ma con un ulteriore livello di complessità, che porta ad esprimersi all'interno dell'incommensurabile condizione in cui le due polarità, una volta rese dinamiche, si mescolano; polarità che una volta innestate, collegate e co-determinando l'esistente (il soggetto estatico) e l'oggetto-in-relazione (o ipersuperficie), producono insieme una dissonanza all'interno di una condizione problematica e complessa.

Due principali impulsi operano simultaneamente e contribuiscono alla dinamica delle ipersuperfici nell'incontro architettura/cultura. I due stimoli sono riflessi nell'architettura d'élite, che prevedibilmente organizza la schizofrenia da un più ampio contesto culturale. La debole linea che sta affrontando la disciplina architettonica (debole perché va contro i valori dominanti di architettura come materialità, e contro l'assunto modernista della coincidenza del segno con la forma) corrisponde a quella che è stata chiamata architettura dei "pixel": un tentativo di rendere manifesto lo spazio dell'informazione. Storicamente, in architettura, il segno e l'immagine hanno avuto un ruolo secondario, non funzionale, ornamentale. Durante questo secolo di modernismo la significazione è stata assunta solo nella forma e separata dalle attività quotidiane; invece la forma (e l'uso idealizzato che ne ha fatto la geometria), ha cercato la trascendenza. I pixel dell'architettura dei media hanno cercato di trasferire la vitalità del segno elettronico sulle superfici architettoniche, ma per far questo hanno negato o neutralizzato la forma. È una strategia che minaccia di relegare la significazione al ruolo di ornamento (vedi la risposta di Gary Genosko) rendendola così suscettibile di modificazione. In ogni caso, l'architettura dei media contribuisce a costruire un'infrastruttura per le ipersuperfici, anche in assenza della loro manifestazione fisica. L'ipersuperficie raggiunge il massimo dell'intensità quando sia la superficie/sostanza che la significazione si compenetrano all'interno di un flusso temporale. Per esempio, se si potessero eliminare tutti i segnali elettronici di Times Square, si scoprirebbe una cacofonia di quelle superfici materiali realizzate per massimizzare la potenziale leggibilità dei segnali. C'è una specie di meccanismo, dettato da interessi economici, che differenzia le superfici, e che spinge la superficie all'interno del segno, e il segno all'interno della superficie. Questo impulso "volgare" esiste al di fuori della disciplina architettonica in funzione di termini puramente commerciali, anche se, in realtà, è stato riconosciuto dall'architettura dei media; media il cui complesso sistema (così come continua a descriverlo Paul Virilio e come Brian Massumi descrive le sue relazioni col capitalismo) coinvolge un impeto consumistico che si sviluppa attraverso impulsi diffusi, che emergono dalla vita di tutti i giorni e sono pronti per essere traslitterati nelle reti digitali globali. Questa dispersione d'informazioni è come un corpo senza organi. La cultura dell'informazione si sta riversando nell'ambiente costruito, determinando la necessità di superfici attraverso cui possa scorrere l'informazione (ipersuperfici).

Contemporaneamente un'inedita plasticità, derivante dalle tecnologie digitali, sta producendo nuove ipotesi formali nel progetto d'architettura. Come risultato, si ha una generale distribuzione topologica di volume-spazio su superfici diventate attive; questo fenomeno si può osservare nel lavoro di numerosi tra i principali e più influenti professionisti. Il secondo impulso, che viene dagli stessi "corretti" confini della pratica architettonica elitaria, è la decostruzione della forma platonica in frammentarie, flessuose e radicali deformazioni. L'architettura d'avanguardia, che tante volte ha delineato percorsi futuri, dopo essere stata a lungo esplorata e coltivata all'interno dell'accademia, sta ora attraversando un periodo di autocritica, un'interrogazione interiore sugli assunti storici dell'architettura causati dal post-strutturalismo. La topologia, in architettura, nasce da uno spostamento d'interesse dalla teoria del linguaggio (Derrida) verso materia e sostanza (Deleuze) nella loro dimensione teoretica. L'elaborazione di una topologia della forma architettonica può esser interpretata come uno stato di preparazione per la ricezione del flusso di dati che proviene dalle attuali attività culturali. L'effetto principale di questa trasformazione implica interconnettività e continuità tra quelle categorie di tecnologia e produzione architettonica precedentemente sistematizzate. Forma e progetto, influenzati e resi malleabili dalle tecnologie oggi disponibili, rendono inoltre possibile la realizzazione di un'architettura topologica altamente differenziata. Gli stessi impulsi che portano tecnologia all'architettura si sviluppano ovunque ed attraverso ogni aspetto della cultura. Influenze della nuova tecnologia digitale si interconnettono con altre trasformazioni assumendo un ruolo nelle pratiche economiche, sociali, scientifiche mondiali, e producendo manifestazioni fluide, continue e sensibili di una morfogenesi architettonica.

Topologia architettonica è modificazione di forma, struttura, ambiente e progetto in modelli intrecciati e dinamiche complesse. Durante gli ultimi anni è nata una nuova sensibilità progettuale attraverso la quale le superfici architettoniche e la mutazione della forma in topologia sono state sistematicamente esplorate ed applicate a diversi progetti d'architettura. Lo "spazio" topologico, influenzato dagli specifici tempi dei software di animazione, dalla realtà accresciuta, dalla produzione di cad e di informatica in generale, si distingue da quello cartesiano perché include, nella forma, eventi legati al fattore tempo. A questo punto lo spazio non è più un vuoto contenente oggetti e soggetti, ma si trasforma in un'interconnessa e densa rete di particolarità e di singolarità che si possono meglio comprendere in termini di sostanza o come spazio riempito. Più precisamente, questo nesso produce il pervasivo dispiegamento delle teletecnologie all'interno della prassi, portando ad un'appropriazione del reale (materiale) ed all'involontaria dipendenza dalla simulazione.

Come diretto risultato di rispettive deterritorializzazioni e di auto-destrutturazioni, e sebbene siano stati categoricamente separati, i due impulsi - architettura dei pixel ed architettura topologica - stanno in questo momento dando luogo a sovrapposizioni. I casi di sovrapposizione evidenziano l'inizio di più complesse interrelazioni, che possono offrire l'opportunità di esplorare con più rigore e maggiore intensità le manifestazioni di uno spazio "Altro". Le ipersuperfici possono significare nella misura in cui gli assunti tradizionali sono re-indirizzati o auto-configurati. Un'ipersuperficie consiste, come una relazione interstiziale tra corpi ed oggetti, nell'attivazione di un potenziale latente o virtuale interno a substrati formativi, membrane, superfici; ciascuna delle quali è distribuita come materia di linguaggio/sostanza. Questo non accade all'interno di un contesto esistente, ma in un luogo che si rende esplicito in funzione delle complesse interrelazioni tra espressioni tecnologiche e la nostra vita quotidianamente saturata dai media.

Una ipersuperficie, in architettura, è originata da incommensurabili relazioni tra forma e immagine. Le conseguenze dell'ipersuperficie sono infatti "Altre" rispetto a quelle delle immagini tradizionali. Non si tratta della classica applicazione dell'immagine o dell'ornamento alla forma, e nemmeno del contrario. È l'immagine sovrapposta che (attraverso una decontestualizzazione) crea una sorta di forma semi-autonoma e allo stesso tempo incompleta o insufficiente. Sia l'immagine (progetto) che la forma diventano l'una parte dell'altra e parte di altre logiche più grandi. Per esempio, la presenza di una pubblicità su di un pannello per affissioni determina un'incompletezza nelle sue connessioni ad un contesto (come nella nozione Guattariana di "macchinico"). Anche se un'ipersuperficie è un effetto creato da un'incommensurabile relazione tra forma e immagine, questa condizione sviluppa una continuità, e in questo modo promuove delle interrelazioni fluide. Quando un'immagine pubblicitaria è posta sulla superficie di un autobus, la sua grafica accetta la forma dell'autobus e la nega allo stesso tempo. La pubblicità si appropria come un parassita di tutta la superficie leggibile del fianco dell'autobus. Ma questo ha altre qualità che rendono la sua superficie graficamente densa: per esempio la sua mobilità. È una superficie latente, potenzialmente sottoposta all'attenzione di innumerevoli lettori (che essi vogliano esserlo oppure no). L'autobus può rimanere pienamente funzionale pur avendo la possibilità di diventare perfettamente adatto a queste forme di pubblicità e di grafica. Possiamo renderci conto che la presenza della pubblicità è legata ai meccanismi di consumo che assegnano all'uso di queste forme-superfici un valore commerciale; un valore che può essere calcolato come la dimensione di consumo della superficie. Una pubblicità può esservi stesa sopra da corpi-lettori per conferirle valore. Questa è un'espressione rudimentale per esprimere ciò che può esser considerato come una superficie tangibile, o di come le dinamiche del consumo determinano delle qualità spaziali.

L'architettura configura delle forme di soggettività all'interno di un processo che, nella tradizionale distinzione tra soggetto e oggetto, non tende a determinare una polarità specifica. Al contrario, dovremmo invece descrivere un processo che funziona in ogni punto di un piano d'immanenza originato a partire da condizioni medie. Nella contemporanea condizione culturale, l'attività umana si definisce sempre attraverso interfacce tecnologiche. La soggettività co-definisce l'architettura in modo complesso e l'attivazione della vitalità di questa fondamentale zona media non è compresa né come architettura, né come soggettività, poiché queste sono de facto entrambe determinanti in una dinamica co-costitutiva. Dovremo abbandonare la consueta costruzione dialettica - una logica che origina da condizioni di mezzo, condizioni di dispiegamento e di riavvolgimento, di differenziazione e proliferazione.




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["Hypersurface Architecture" è pubblicato originariamente da Academy Editions, una divisione di John Wiley & Sons. Disponibile nelle librerie, presso Barnes & Noble, e Amazon.com. La traduzione italiana è di Marco Brizzi]

 

 

 

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