EXTENDED PLAY

 

 

In difesa di Euclide*

PARTE(2)

 

[in english]

Bernard Cache
www.objectile.net

 

 

Più o meno nello stesso periodo in cui fu scoperta la geometria non-euclidea, Evariste Galois (1811-1832), costituì quella teoria dei gruppi che più tardi Klein avrebbe applicato alle trasformazioni geometriche. Klein voleva arrivare a definire le diverse geometrie appartenenti ai gruppi di trasformazioni che lasciano invarianti certe proprietà delle figure geometriche. Per esempio: traslazione, rotazione e simmetria formano un primo gruppo di trasformazione, il gruppo di movimenti che trasformano figure geometriche senza interessare né le loro lunghezze né i loro angoli. Questo gruppo di movimenti definisce la cosiddetta "geometria metrica". Adesso, se mettiamo da parte le lunghezze e ci concentriamo sulla "forma" delle figure definite dagli angoli tra gli elementi, giungiamo ad una nuova trasformazione, quella dell'omotetia. Traslazione, rotazione, simmetria e omotetia formano un più ampio gruppo di trasformazioni, il gruppo di similitudini che definiscono la geometria euclidea. Andando ancora oltre, si arriva ad un terzo gruppo di trasformazioni, che assimilano la circonferenza, l'ellisse, la parabola e l'iperbole come sezioni dello stesso cono. Questo corrisponde alla nozione comune di prospettiva secondo la quale una circonferenza appare, se vista con una certa inclinazione, come un'ellisse, e questo ha animato importanti dibattiti in campo architettonico: decidere se il nostro occhio sia in grado di riconoscere dei cerchi percepiti di sbieco (4). Juan Caramuel de Lobkowitz arrivò a proporre, per correggere gli effetti della prospettiva, colonne di sezione ovale nel suo progetto per il colonnato di San Pietro a Roma. In questo modo, sbarazzandoci delle distanze e degli angoli, e prendendo in considerazione le cosiddette 'proprietà posizionali' come opposte a quelle 'metriche', possiamo aggiungere le proiezioni e le sezioni al gruppo delle similitudini. Poi si arriva al gruppo delle omologie, che definisce la geometria proiettiva; e infine, se eliminiamo le proprietà posizionali ed osserviamo soltanto la continuità delle forme e l'ordine secondo cui gli elementi sono connessi, come se le forme fossero fatte di un materiale elastico capace di essere allungato e deformato senza strapparsi, troviamo un altro gruppo di trasformazioni: le omografie che definiscono una topologia.

Pertanto, quello che appare chiaramente nella teoria delle trasformazioni di Klein, così come nell'assiomatica di Hilbert, è che esiste una gerarchia che organizza le diverse geometrie. Tra geometrie euclidee e non-euclidee (quelle di Riemann e Lobacevskij) c'è solo il problema di come specificare la forma del Postulato della Parallela. C'è una biforcazione tra geometrie appartenenti allo stesso livello. Invece, tra geometria euclidea, geometria proiettiva e topologia esiste una relazione di inclusione in termini sia di numero d'assiomi, sia di importanti proprietà geometriche lasciate invarianti da un certo gruppo di trasformazioni. La geometria euclidea richiede più assiomi e più strutturate proprietà. La geometria proiettiva e la topologia possono essere più generiche, per quanto si occupino di trasformazioni ed oggetti meno esigenti. Così, la topologia, offre la possibilità di considerare le fondamentali proprietà dalle quali la nostra intuizione euclidea è sviata per via delle sue apparenze dimensionali. Dal momento che la topologia non registra alcuna differenza tra un cubo ed una sfera, essa tiene conto di ciò che resta (ordine e continuità) e rende esplicita la differenza tra la sfera ed il toro. Ma, naturalmente, ordine e continuità sono anche essenziali alla geometria euclidea. La geometria euclidea include la topologia. La topologia è qualcosa in meno della geometria euclidea. Le incomprensioni più comuni derivano dal fatto che la topologia ha a che fare con proprietà che di solito portano a forme complesse o che, per meglio dire, appaiono molto difficili da disegnare poiché la propettiva non è quasi più insegnata al grande pubblico. Prendiamo un esempio che dovrebbe interessare gli architetti. Il nastro di Moebius è diventato ormai un luogo comune dell'architettura contemporanea, sebbene nella maggior parte dei progetti rimanga una figura retorica piuttosto che una struttura geometrica. Ma esiste un edificio molto conosciuto che in realtà possiede una struttura topologica abbastanza complessa e che è stato trascurato, almeno per quanto ne sappiamo. L'edificio è il Centro Beaubourg di Parigi.

Questa costruzione-impalcatura, attualmente avvolta per il suo mantenimento all'interno di un'ulteriore struttura, non è certamente originale in virtù della sua immagine macchinistica, che non è altro che un revival dei disegni utopistici degli Archigram. Non si può nemmeno dire che funziona come una macchina urbana, dal momento che non è stato colto alcun vantaggio dalle possibili connessioni sotterranee che avrebbe potuto stabilire con la metropolitana che passa lungo la sua facciata est. Comunque sia, l'uso di quest'edificio produce una particolare esperienza per tutti quelli che salgono al di là del primo piano. In questo caso, si può entrare dall'ingresso principale - a patto che si riesca a trovarlo - e, così facendo, è possibile non passare direttamente all'interno ma ad una situazione intermedia, in cui si resta in una specie di spazio esterno pur essendo all'interno dell'architettura. Questa situazione deriva da una serie di condizioni, come l'ampiezza della hall, le chiazze prodotte dall'acqua piovana sul pavimento grigio, la fiumana di persone col cappotto che si dirigono caoticamente verso le scale mobili dove, curiosamente, si scopre una situazione opposta. Come è noto le scale mobili riportano le persone all'esterno, tenendole sospese nell'aria mentre contemplano il panorama parigino; ma allo stesso tempo, pur nell'uscire allo scoperto ci si sente più protetti di prima, quando ci si trovava all'interno della hall principale: le strette dimensioni del tubo, la sua sezione circolare e l'immobilità della gente che in piedi sulla scala mobile comincia a spogliarsi, contribuiscono a creare un'atmosfera tanto accogliente che rischia di diventare soffocante. Alla fine, è solo quando si entra negli spazi del museo o della biblioteca che ci si sente veramente dentro, liberati dalle tensioni tra interno ed esterno. Quindi, riassumendo quest'esperienza, dovremmo affermare che chi proviene da fuori entra in un interno di tipo esterno e poi procede all'interno di uno spazio esterno di tipo interno prima di entrare definitivamente dentro. Quest'esperienza spaziale ha la struttura topologica della Bottiglia di Klein. Quanto tale topologia sia stata presa in considerazione in questa particolare architettura è un'altra questione, ma resta il fatto che questa struttura può essere costruita e che esiste realmente nello spazio euclideo. Inoltre, la Bottiglia di Klein può assumere molte forme



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Una sola struttura topologica ha un'infinità di 'incarnazioni' euclidee, le cui variazioni non sono rilevanti per la topologia, e sulle quali la topologia non ha nulla da dire. Nuove strutture topologiche possono incarnarsi in spazi euclidei sia come forme squadrate sia come forme curve. Non si può dire che una topologia sia curva, perché essa precede qualsiasi assegnazione di curvatura metrica. Siccome le strutture topologiche possono essere in qualche modo rappresentate anche attraverso indefinite superfici curve, si è portati a pensare che la topologia porti libere curvature all'architettura, ma si tratta di un'interpretazione sbagliata. Quando i matematici definiscono questo genere di superfici libere, essi tengono a porre l'accento sul fatto che non si preoccupano della forma fisica nella quale una topologia può incarnarsi. Nel far questo, essi dovrebbero aprire le menti degli architetti e portarli a pensare strutture spaziali prima di formalizzarle come curve o squadrate. E, ovviamente, indifferentemente dal modo in cui una struttura topologica si concretizza in una forma geometrica, si entra in una geometria euclidea; questo significa che la progettazione di una geometria complessa è essenzialmente euclidea. Non si deve pensare alla geometria euclidea come a dei cubi in opposizione ad un libero intreccio topologico. Al contrario, è proprio quando una curvatura variabile comincia a diventare intricata che ci si comincia ad avvicinare alla vera essenza di Euclide, e che all'improvviso il banale concetto dell'unica parallela comincia a farci degli scherzi. Che si voglia o no, gli architetti misurano gli oggetti, e questo implica una metrica. Certo, si può decidere di ricordare l'informe sfondo topologico comune a tutte le geometrie sature, siano esse euclidee o non euclidee. Ma questo ricordo richiederebbe un accurato lavoro sulla curvatura. Soltanto dominando la metrica possiamo fare in modo che la gente dimentichi Euclide.




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Note


(4) Cfr. Juan Caramuel de Lobkowitz, Architectura Civil; vedi anche la discussione sulle correzioni ottiche di Claude Perrault.

 

 

 

   

["In difesa di Euclide" è pubblicato contemporaneamente da Arch'it e da ANY Review. La traduzione italiana è di Marco Brizzi. Di Bernard Cache, MIT Press ha pubblicato il volume "Earth Moves", acquistabile da Amazon.com]

 

 

 

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