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Lo stile informazionale
in architettura* Frédéric Nantois |
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[en francais] | ||||
Urbanizzazione o commutazione, spazio "reale" contro spazio
"virtuale", nuove tecnologie o modelli antiquati? Se è vero che l'informazione
e la comunicazione costituiscono quello che viene presentato comunemente come il paradigma
della società contemporanea, esistono allora degli effetti percepibili di questo modello
anche sull'altra ugualmente importante condizione della nostra società, vale a dire lo
spazio urbano generalizzato? Accanto alle problematiche associate alla portata sociale,
culturale, economica delle nuove tecnologie d'informazione, è possibile intravedere anche
delle conseguenze spaziali? La condizione informazionale dell'architettura Uno degli elementi caratterizzanti (almeno da un punto di vista mediatico) è stata l'invenzione citata tante volte, sulla quale non torneremo, del termine "ciberspazio" da parte di William Gibson, lo scrittore americano autore di romanzi di science-fiction. Se il termine "cibernetico" ha avuto inizialmente -prima d'essere stato severamente rifiutato- una certa influenza sul pensiero architettonico, si può oggi riconoscere nei confronti del ciberspazio un'infatuazione simile a quella sviluppatasi all'epoca della "cibernetica architettonica". Il termine è interessante perché ha rivelato una problematica singolare e complessa (le relazioni sviluppate dagli scambi immateriali, dai flussi d'informazione al visibile, allo spazio sensibile) rendendola immaginabile, visualizzabile. Il limite dell'interesse per questo termine è legato anche a tale rivelazione. Nel presentare un dominio senza dimensioni specifiche, collocandosi di là dal sensibile come uno spazio da umanizzare, da territorializzare, l'ignoto è stato immediatamente ridotto ad una storia di conquista (una "nuova frontiera" per l'abitare) secondo dei termini semplificativi. Così se il ciberspazio ha reso rappresentabile quello che non lo era, la sua visione gibsoniana a base di metafore suburbane ha irrimediabilmente segnato lo spirito di moltissime persone, stigmatizzando il flusso dei bit all'interno del percorso labirintico di un parco urbano a tema tra apocalisse e nostalgia. Con un effetto di feedback dalla fiction al quotidiano, l'allucinazione gibsoniana è diventata un valido modello non solo per descrivere gli scambi d'informazione, ma anche per anticipare lo stesso futuro delle città. Il gran numero di saggi che descrivono la costruzione del ciberspazio a partire da metafore spaziali, e quella dell'urbano sulla base di metafore informatiche non ha fatto altro che amplificare la confusione fino al controsenso -l'assimilazione del ciberspazio alla realtà virtuale, quella della città ad una rete di computer. L'approccio gibsoniano degli scambi di informazione e la forza delle sue suggestive evocazioni poggiano su uno studio più datato, relativo al ruolo sempre presente dei media, l'ipotesi del villaggio globale di McLuhan. La comunicazione che ridefinisce la società a partire dalla diretta partecipazione individuale, la presentazione delle tecnologie come estensioni del corpo, il prolungamento dei sensi attraverso l'elettronica, permettono all'uomo di aumentare le proprie capacità rassicurandolo al tempo stesso sul carattere inoffensivo delle tecnologie; tutti questi sono temi che arricchiscono il discorso sullo spazio digitale (presentato come uno spazio sociale accresciuto) e che affermano una tendenza alla "virtualizzazione" in senso stretto, vale a dire alla sostituzione dell'ambiente fisico da parte di un'architettura affrancata dai suoi vincoli consueti, invece di un "aumento di potere" a partire dall'attuale. Ma lo spazio digitale deve anche essere considerato per quello che è concretamente: uno strumento di ottimizzazione della produttività. La riorganizzazione delle attività di servizio, ma anche della produzione industriale attraverso l'adozione di strumenti di trattamento dell'informazione dalle qualità ben superiori a quelle della tayloristica suddivisione del lavoro, hanno mostrato il loro ruolo decisivo nella modificazione della struttura d'impiego (telelavoro), delle imprese (mondializzazione), e dell'economia (globalizzazione). Tutto ciò non è senza conseguenze nel quadro spaziale delle attività e l'architettura deve ovviamente fare in modo di integrare le tecnologie di ottimizzazione. L'invenzione e la diffusione dell'idea di "edificio intelligente", tanto per gli uffici che per l'industria è una risposta a questa ricerca del massimo profitto sullo spazio, all'approccio manageriale all'architettura. A tali approcci che tengono conto degli aspetti portanti della tecnica (sempre giustificati dalla ricerca del benessere e della tranquillità da parte dell'uomo) si oppone una visione negativa dello sviluppo e dell'uso delle nuove tecnologie di comunicazione. La duplicazione del mondo attraverso un analogo informatico e l'adozione del tempo reale che era una volta sinonimo di ottimizzazione e di produttività, sono invece considerati da altri un pericolo. L'emergere di una "stereo-realtà", la formazione di un "cibermondo", la dominazione dell'istantaneità privano l'uomo del libero arbitrio, aboliscono la dimensione locale e annullano i riferimenti al reale. L'esclusione dell'informazione ed il rischio di un "incidente generalizzato" trovano per Paul Virilio la loro traduzione spaziale nella mondializzazione dell'urbano, all'interno del suo orizzonte negativo: il ritorno a Babele. Ciascuno dei seguenti approcci corrisponde ad un diverso livello tecnico-deterministico. Si tratti di un approccio "utopico", che assimila indebitamente un mezzo di produzione ad uno spazio per l'impiego ripetitivo di metafore, o di un'accettazione incondizionata diretta da chi controlla il mercato delle nuove tecnologie, oppure di un giudizio inappellabile sul "delirio informatico" la tecnologia è sempre padrona del futuro dell'uomo. Il principale problema preso in considerazione è quello della pertinenza architettonica delle nuove tecnologie, cioè la valutazione del punto di vista della teoria dell'architettura relativa nei confronti dell'impiego di nozioni e di termini mutuati dal campo delle nuove tecnologie e della verifica del loro interesse operativo. Poiché se si può ammettere l'esistenza di una condizione informazionale per l'architettura resta sempre da sapere come integrare in maniera critica il discorso architettonico con i costi di questa rivoluzione, quali nuove nozioni operative sviluppare per sfruttare le possibilità delle nuove tecnologie senza dipenderne incondizionatamente, quali obiettivi assegnare al progetto davanti alla smaterializzazione delle attività, e come immaginare il ruolo dell'ideatore all'interno di processi di comunicazione che vedono il suo ruolo ridimensionato di fronte a quello del programmatore? Verso lo stile informazionale Le proposte architettoniche sono molti differenti come anche le analisi, e rimandano ai modelli comuni di riferimento. Si tratta il più delle volte di una evidenziazione, di una attualizzazione, secondo il nuovo "paradigma comunicativo", di idee ravvisabili in alcune correnti dell'architettura contemporanea. L'affermazione del ruolo, in seguito essenziale, del trattamento dell'informazione a partire dalla metà degli anni Quaranta da parte di Norbert Wiener o anche di Claude Shannon si è tradotta nella presa di coscienza, molto immediata presso alcuni architetti o artisti, della necessità di un cambiamento profondo nella loro pratica e nella loro produzione. A questi parve allora importante distinguere la comprensione di tale cambiamento, da questo nuovo stato dominato dal controllo del'ambiente, non più a partire dall'ottimizzazione delle tecniche industriali ma grazie all'introduzione del trattamento elettronico dell'informazione. Parve loro necessario simboleggiare questa nuova presenza, renderla sensibile, percepibile. Il lavoro di Nicolas Schöffer incentrato sulla scomparsa del ruolo del "produttore di un'opera" a favore sempre più di quello del "programmatore di un processo" resta in questo senso anticipatore. L'introduzione da parte di Schöffer dei principi dell'autoregolazione, dell'omeostasi sotto forma di nuova presenza artificiale e già autonoma (la scultura cibernetica Cisp1) mirava a rendere sensibili le possibilità di applicazione ed il senso stesso della cibernetica. Analogamente le torri spaziodinamiche (Tour de Liège, Tour de Paris) erano dei dispositivi che rendevano percepibili nel loro rapporto con l'ambiente naturale il processo di trattamento dell'informazione. I suoi progetti di architettura (théâtre spatiodynamique) o le sue proposte urbane (ville cybernétique) attraverso l'esagerazione della dimensione spettacolare le implicazioni sociali, collettive ed estetiche delle nuove tecnologie. Al contrario, l'approccio congiunturale considera la misura dell'ambiente come uno strumento di controllo e di ottimizzazione. In particolare l'evidenziazione dei limiti della risposta architettonica (sul piano delle capacità dei materiali, dell'organizzazione dello spazio ) porta a considerare il ricorso al trattamento elettronico dell'informazione come una soluzione per accrescere le capacità delle costruzioni e per meglio rispondere ad una società in cui l'informazione e la comunicazione sono soprattutto sinonimi di efficacia, di rendimento, di produttività. Il caso dell'architettura si colloca nella continuità dell'approccio moderno e della razionalizzazione dello spazio per la tecnica ed i suoi valori. L'architettura moderna aveva integrato le nozioni di standardizzazione, di produzione di massa, di normalizzazione per tentare di unirsi armonicamente al nuovo strumento di produzione industriale e per controllarne lo sviluppo. Le tecnologie d'informazione e di comunicazione rinnovano quest asituazione proponendo la flessibilità, lo sviluppo, il tempo reale, sempre al fine di migliorare la qualità della vita ma anche di ottimizzare la produzione dello spazio. Uno dei limiti di questo approccio è la dipendenza dalla tecnica ed il doppio rischio dell'eccesso d'impiego di tecnologie e della accelerazione dell'obsolescenza dell'architettura. La rapida evoluzione delle attuali tecnologie obbliga effettivamente a rivalutare continuamente la qualità delle capacità dei sistemi cosiddetti intelligenti. La sola via d'uscita per l'architetto è allora, come aveva già suggerito Reyner Banham, abbandonare la propria identità a favore di quella della tecnologia per seguirne il corso. Questo oggi significa accettare una nuova forma di neutralizzazione dell'architettura che esprime abbastanza chiaramente il ricorso alle "case bianche" ed alle loro variazioni. L'architettura non viene più definita attraverso lo spazio che propone ma per il numero e le caratteristiche dei servizi che offre, per la sua capacità di trasformarsi il più rapidamente possibile, di accogliere qualunque cosa senza contraddirsi. L'edificio diventa allora esso stesso un servizio il cui valore è legato alla possibilità di rispondere ad un massimo di richieste. Questa tendenza ad una nuova forma di spersonificazione nella produzione dello spazio architettonico porta a delle ipotesi estreme. In tal modo il risultato della logica della neutralizzazione e dell'assimilazione ad un servizio si associa ad una forma di "sparizione" dell'architettura. La ristrutturazione informazionale delle attività comporta da una parte la riduzione degli spazi necessari, che si tratti del settore dei servizi con l'avvento dell'ufficio virtuale (condiviso, cellulare ) o di quello dell'industria con i principi di produzione "just in time" e "zero stock", e dall'altra l'ibridazione degli impianti: gli alberghi diventano uffici, gli aeroporti dei parchi attrezzati, le stazioni dei centri per congressi, le abitazioni dei tele-cottage. Le classiche tipologie funzionali e spaziali tendono a scomparire nella tendenza all'omogeneizzazione dello spazio in ragione del costante ricorso alle nuove tecnologie di comunicazione. Il risultato è dunque, per i difensori del "reale", la fine dell'architettura (dato che questa non può esistere che costruita e vissuta da dei corpi); e per quelli del "virtuale" la liberazione dei convenzionali vincoli del progetto di architettura e la possibilità di sviluppare nuove configurazioni spaziali per un ambiente puramente informazionale. L'architettura diventa allora fluida, liquida, si svilupperebbe intorno alle nozioni complesse di topologia, si affrancherebbe dallo spazio euclideo ma attualmente non esiste se non attraverso delle simulazioni informatiche. Il punto interrogativo costante che sembra attraversare le differenti tendenze architettoniche evocate, delle quali si vuol conoscere l'interesse e la pertinenza all'interno di questa rivoluzione, è relativo all'esistenza di una espressione architettonica specifica della società informazionale. Sia che si tratti di tentativi di simboleggiare la presenza degli invisibili flussi di informazione, dell'ottimizzazione del patrimonio immobiliare terziario e del rinnovamento della "corporate architecture" in funzione dello standard numerico, sia di esperimenti di laboratorio che sembrano allontanarsi da certe preoccupazioni elementari dell'architettura (fornire un riparo per il nostro corpo), la ricerca centrale degli architetti è la definizione di un oggetto particolare dalle qualità formali nuove. E gli architetti sembrano sempre più preoccupati per l'ottimizzazione di quest'oggetto, tanto che questo sia destinato ad arredare uno spazio "reale" oppure "virtuale". Quest'orientamento dell'architettura introduce quello che chiamiamo lo "stile informazionale" dell'architettura, vale a dire un'espressione che come nel caso dello stile internazionale per il movimento moderno rischia di tradurre soprattutto il controllo dei modi di produzione della società (qui informazionale) prima ancora di essere stata l'espressione di un eventuale movimento d'avanguardia. Oppure, se la quotidianità del nostro ambiente è tanto informazionale quanto fenomenica allora l'architettura deve essere pensata come una scelta di comunicazione che non mette in gioco in prima istanza la produzione di una forma o di uno spazio particolare ma la proposta di principi di scambio all'interno dei quali dovranno intervenire le nuove tecnologie d'informazione e di comunicazione, attraverso cui ciascuno potrà esprimere il proprio grado di partecipazione alla vita collettiva. L'architettura ritornerebbe allora ad essere un insieme di condizioni aperte e non di forme chiuse a priori, né una rinuncia, né un'illusione ma un impegno critico (la sola presa di coscienza non è più sufficiente) a fronte dei cambiamenti e delle tecnologie che coinvolgono l'insieme delle sfere della vita di tutti i giorni, laddove l'architettura deve sempre intervenire. |
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