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Lettere da Fermo

Autori senza parole



 
Cara L.

Non so se riuscirai a dedicare un ritaglio del tuo tempo alla visita della casetta dei genitori di Le Corbusier a Vevey.
Suppongo di sì.
So che sei diligente e che ti vergogneresti di confessare di essere stata sul lago Lemano senza visitare la petite maison... trascurerai invece, suppongo, un'altra casa, che si trova a non molti chilometri da lì, affacciata sul lago, di Zurigo, a Bolingen.
Se l'è costruita nientemeno che Carl Gustav Jung nel corso di tutta la sua vita e, infine, ci è morto.
Se guardi le sue foto nel corso degli anni, dal 1923 al 1955, ti accorgerai che essa, progressivamente, si avvicina all'acqua e l'ultima stanza costruita, quella in cui Jung volle morire, vi si bagna.
Man mano che la morte si avvicinava Jung si accostava al lago.
Lo trascurerai, comunque, perché essa non rientra, mi pare, negli itinerari prescritti a un giovane architetto il cui tempo è, lo so benissimo, prezioso.
Così come trascurerai (questo non lo suppongo, ne sono assolutamente certo) una piccola visita al paesino di Herisau, dov'è sepolto Robert Walser che, il giorno di natale del 1956, vi morì adagiato sulla neve, durante la sua quotidiana passeggiata lungo quella che oggi si chiama, mi pare, Robert Walser Strasse ma che allora era solo un sentiero di campagna.
Di questi tempi che reclamano e pretendono obbligatoriamente la vita spericolata e nervosa, visitare cimiteri non è solo outdated, è, direi, profondamente sospetto.
Nel viaggio di un giovane architetto, una tappa di questo genere è ammessa, e addirittura prevista, soltanto in caso di monumento tombale, cappella funeraria di pregevole fattura o cimitero di gran firma e qui non si dà nessuno dei tre casi.
Va bene così. Del resto il posto è fuori mano

Ma veniamo invece a Weil am Rhein, luogo di convergenza di tutta la cultura architettonica del pianeta, cui dedichi parole entusiastiche.
Ti è particolarmente piaciuta, vedo, una famosa caserma per pompieri.
Con essa, scrivi, Zaha Hadid ci regala un saggio del suo, come dici tu, "enorme" talento.
Sì, effettivamente è un amore (perdonami l'aggettivazione confidenziale, è che non saprei come altro definirla...).
Le panche con le fioriere, soprattutto, mi piacciono...
Sempre che si tratti di panche.
E mi piace un mondo la pensilina, che si segnala per la sua sobrietà...
Sempre che si tratti di una pensilina.
Insomma mi pare una cosa adattissima ai pompieri...
Sempre che, naturalmente, un pompiere vi abbia mai messo o mai vi metterà piede.
Le vetrate sono ampie e sghembe come si deve e muri e pilastri s'inclinano quel tanto che serve a renderli espressivi.
Un muro a piombo, infatti, che mi rappresenta? È banale.
E un pilastro che lavora in verticale? Son cose di cui non sappiamo più che farci.

Possiamo ben dire che l'unica cosa che manca a questo frutto maturo della contemporaneità è la parola, ma non disperiamo nel futuro: appena se ne ventilerà la semplice possibilità gli architetti ci forniranno pensiline parlanti che ci intrattengano in forma erudita circa il loro punto di vista sull'arte figurativa del novecento.
Quello che è davvero interessante in questo genere di architetture è, se posso sintetizzare, che riescono a dirci molto di più di se stesse di ciò che ne dicono i loro autori i quali, forse per ragioni di sicurezza, esternano sempre sotto la soglia della significatività.
È giusto: esse sono loghi e, come tali, perfettamente adeguati a un mercato che si nutre essenzialmente di marchi di fabbrica.
E un logo deve dirci tutto e subito; oppure non funziona.
Deve dirci, anzi, sempre molto di più di quello che noi abbiamo da dire di lui e ciò che ci dice deve essere incomparabilmente semplice e diretto.
Non importa niente a nessuno quanto sia importante né che cosa ci dica.
Importa solo che lo dica.
Una volta che l'ha detto, di qualunque cosa si tratti, la sua mercanzia è già in vendita.
Ci sarà, poi, un critico volenteroso che gli farà dire ciò che occorre.
In questo caso ci si parla della modernità e del nostro proiettarci nel futuro, di una "avant-garde" che non ha ormai nemmeno più zampette su cui reggersi da sola e deve venire pompata dai mercanti d'arte.
Un'attività culturale, mi sembra, che ha più a che vedere con i meccanismi intellettivi di chi salta dai ponti attaccato a un elastico che con una qualche forma di pensiero.
Ma è divertente.
E, soprattutto, non c'è da preoccuparsi circa la sua attualità.




Tod und verklärung.



Che tutto sia molto complesso e "plurale" è cosa che, come sai, si sente, insieme alle canzoni di Lady Gaga, in qualsiasi supermercato dell'impero. Vai dal pizzicagnolo e lui te lo spiega, con tanto di citazioni tratte dalle terze pagine dei quotidiani, mentre affetta il prosciutto.
Perché il pizzicagnolo, oggi, la gazzetta la legge, anziché involtarci la soppressata.
Anche questo, diamine, è progresso.
D'altra parte i cretini, beati loro, s'incamminano danzando in processione, dietro il feticcio della "complessità" come un tempo si dilettavano al pallottoliere. Oggi se ti azzardi a sostenere che la linea più breve tra due punti è quella retta susciti al massimo un sorrisetto di commiserazione.
È chiaro, dunque, che hai ragione: Weil am Rhein è una vera bellezza.

Ma... aspetta... non senti anche tu degli scricchiolii?
No?
Eppure ho come l'impressione che gli ingranaggi della moda macinino già altre granaglie... mi sbaglierò... ma non mi meraviglierei se da un momento all'altro questi propugnatori della tridimensionalità antiprospettica riscoprissero le gioie della simmetria, giusto per restare al passo coi tempi. L'ottimismo pirotecnico di qualche anno fa sembra infatti segnare il passo e si scopre che i famosi propugnatori del bicchiere mezzo pieno erano allegri perché si erano bevuti l'altra metà, e doveva essere roba forte. Vedi bene in che stato è il vecchio continente, il nuovo non sta meglio e l'oriente sembra del tutto rincitrullito. La pazza gioia è finita e con la sua fine s'è scoperto che c'era assai poco di cui gioire.
I piazzisti dell'era informatica, che ci promettevano un futuro meraviglioso, si sono messi in fila per ingozzarsi con lo stesso rancio che il loro papà già definiva ottimo e abbondante.
La rivoluzione informatica? Si telefona che è una bellezza e il navigatore satellitare ci dice che siamo arrivati, abbiamo il decoder e in tempo reale ci trasmettiamo l'un l'altro tutte le minchiate che ci saltano in mente: non è una bellezza?
Che altro pretendevi?
Che la povertà fosse meno offensiva?
Che la ricchezza fosse meno ottusa e arrogante?
Più democrazia?
Che stupidaggini!

La conclusione, per il momento, sembra essere quella di chi tira a campare: trinchiamoci l'altro mezzo bicchiere e prendiamocela a ridere.
Gli scricchiolii però si fanno sempre più sinistri e il branco di architetture che pascola a Weil am Rhein mi ricorda ormai la disperata transumanza di una mandria assetata verso il rigagnolo al secco.
Fossero, un tempo, vacche da latte oppure da monta ormai sono tutte vacche morte, mia carissima, e tra un pochino cominceranno anche a puzzare.
Tieniti alla larga e, visto che ti aggiri tra popoli di lingua tedesca, ricorda, se puoi, il caro vecchio Hölderlin:
"Immer spielt ihr und schertz! Ihr müsst? O Freunde! Mir geht dies in die Seele, denn dies müssen Verweifelte nur."
"Giocate e scherzate sempre! Lo dovete? O amici! Questo mi penetra nell'anima, perché solo i disperati devono farlo."

Un saluto boario
[18 aprile 2010]

 

 

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