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Lettere da Fermo |
Iniziamo, da oggi, la pubblicazione di un epistolario che, se la propensione alla scrittura del mittente e quella al viaggio della destinataria si protrarranno abbastanza a lungo, potrebbe accompagnarci per diverse pagine e moltissimi chilometri (lasciando pur sempre a ciascuno la possibilità di dedicarsi alle prime, possibilmente leggendole, oppure di avventarsi sui secondi fuggendosene subito il più lontano possibile). Lo scambio di missive, con le sue giunture segaligne, non si muove con la scioltezza della conversazione e, pur rimanendo un dialogo, è un dialogo allentato, posticipato, che lascia, tra un passo e l'altro, sospensioni paurose nel corso delle quali sembra quasi che l'impalcatura che lo regge stia per venir giù in un fragore di calcinacci, lapis, carta da lettere e francobolli. Ma, questo è il bello degli epistolari, la crisi (che talvolta, lo sappiamo, stronca le conversazioni come un ictus) non avviene mai: mittente e destinatario anche quando, come in questo caso, non si scambiano i ruoli, appaiono e scompaiono a lunghi intervalli come la luce dei fari sull'oceano. Quando non li vediamo, sappiamo nondimeno che ci sono e possiamo continuare a inseguirli col pensiero fino a che non riappaiono di nuovo, luminosi e pimpanti. Questo, ne converrete, è consolante. Siamo, infatti, in tempi di crisi; perciò, non potendo sperare nel presente, non ci resta che sperare nel futuro e leggere uno scambio epistolare implica necessariamente questa speranza. La speranza che ci sia sempre qualcuno a risponderci, qualcuno cui rispondere. Buona lettura, dunque, e buona fortuna. |
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