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Lettere da Fermo

Acriter et Fideliter. Ponti sghembi e Guardie Svizzere



 




 
Cara L.

Si tende a credere, piuttosto scioccamente, che la vita ci debba qualcosa, però, mia cara, non è così: con la vita non si hanno mai crediti né debiti.
Non ci deve, dunque, nulla e nulla noi dobbiamo a lei.
Si è, perciò, sempre in pari, che si muoia a cent'anni oppure a sei.
Nessuno ha una vita da vivere e nessuno ha vissuto la sua, si vive e si muore, per così dire, fuori dal conto e questa (quando facciamo i conti...) mi pare proprio una bella consolazione.
Tu sei molto giovane e, naturalmente, non sarai d'accordo.
È giusto.
Ma lì a Lucerna non potrai non trovarti sotto il naso il Kapellbrücke, questo ponte che rifiuta di prendere atto che la distanza più breve tra due punti è la linea retta e che, perciò, si mette (pure lui) subito fuori dal conto.
Non vedi come, anch'esso, sia una consolazione?
Tu percorrilo.
In tutti e due i sensi.

Presumo che questa spezzata diagonale abbia ragionevoli giustificazioni che io però, stai tranquilla, non desidero conoscere, mi piace solo pensare che ogni volta che ci s'incammini lungo quel ponte lo si faccia con la consapevolezza di essersi (anche fisicamente) lasciati alle spalle la propria meta che sarà riconquistata, forse, in ritardo e magari solo per avventura.
Mi dirai che a Venezia il professor Calatrava ha fatto di meglio: ha costruito un ponte che spinge sulle rive e le allontana.
È vero: speriamo che lo arrestino (il ponte) ma anche se non lo arrestassero continuerebbe a fare, tutto sommato, il suo mestiere, perché se ti allontana dalla meta, lo fa surrettiziamente.
Il professor Calatrava, insomma, rimane a dispetto di tutto un professore e il suo ponte, un ponte.
Il Kapellbrücke, invece, è allontanante fin dal principio, ci mostra l'allontanamento nel suo prodursi, così che, mentre lo percorriamo, può capitarci di osservare con nostalgia la nostra meta.
Fa luce, il Kapellbrücke, sul movimento stesso dell'allontanarsi.
E in effetti, dato il nome della città che lo ospita, come avrebbe potuto essere diversamente?
Quanta luce in quel nome!
(Ancor più di quanta ce ne sia nel tuo, che pure è luminoso...)
Una città su un lago, una città che, d'inverno, si copre di neve e di notte s'ingioiella di luci per guardarsi in quello specchio, per uno come me (che abita i deserti) è come sentire una fiaba.
Lucerna!
Insomma, dimmi tu se può darsi nome più bello per una città che si specchia su un lago.
Se fossi ricco, è lì, credo, che sceglierei di abitare, ma sono povero e i poveri rimangono dove sono, perché, se cambiano, è in peggio.

Torniamo alla tua lettera, la quale, devo confessartelo, mi tiene nell'inquietudine.
Nella tua ultima lettera citi infatti una monumentale affermazione di Franco Purini che tu, non saprei per quale motivo, trovi (accostandolo, sorprendentemente a Mario Botta!) "quasi più svizzero che italiano".
La cosa mi sorprende e, un pochino, mi spaventa.
Però se ci rifletto scopro che, per vie traverse, hai ragione e, come il ponte di Lucerna, pur deviando, mi porti dalla parte giusta.
Perché Purini è la guardia svizzera dell'architettura italiana: è lui che pensa ai Papi e li protegge.
Sempre in servizio attivo e permanente si prodiga affinché nessuno attenti all'Autorità, nella segreta speranza che, un domani, la guardia svizzera, prenda essa stessa i voti e acceda al cardinalato.
Purtroppo, però, domani è già ieri e, dopo Porta Pia, da presidiare c'è rimasto solo il Vaticano.
Che del resto, intendiamoci, basta e avanza per una serena vecchiaia.
Ti sembra bizzarro questo mio pensare?
Eppure solo immaginandolo in una divisa a strisce rosse e gialle, posso figurarmi come svizzero questo ciociaro: pensalo tu stessa con la bacinella puntuta sulla testa e l'alabarda in mano... non è perfetto?
È così, in fondo, che sono sempre state le sue architetture, i suoi disegni e le cose che scrive: strisce, bacinella e alabarda.
Se, ad ogni modo, proprio vuoi accoppiare Botta e Purini come Gianni e Pinotto, allora devi metterli in corriera con biglietto di sola andata e spedirli tutti e due a Frosinone, lasciando in pace la Svizzera che se lo merita.

A parte la geografia, non voglio esentarmi dal rispondere nel merito.
Dunque lo confesso: per il povero mentecatto che ti scrive gli scritti del professor Purini appartengono a quella categoria di manufatti esaustivi letti i quali non resta altro da fare che riempire la borsa dell'acqua calda e andarsene a dormire.
Sono riposanti, insomma, perché non fanno venire in mente niente.
Inoltre sono componibili, intercambiabili, e completamente sostituibili: potrebbe mancare l'inizio, la fine o un pezzo qualsiasi.
Non ha importanza, il risultato è sempre uguale.
Del resto, in quello che dice, non c'è mai nulla da aggiungere e niente da levare.
È il prodotto perfetto di quella che possiamo definire la "Cultura Architettonica Italiana" (Vaticana?) degli ultimi trent'anni: una sfera di cristallo che non significa niente e non contiene niente ma che è bene tenere sul tavolo come amuleto perché non si sa mai.
La scrittura di questo professore rimane, tuttavia, futile anche quando incede al passo dell'oca e indossa l'armatura (cioè sempre, meno quando, per cambiare, si traveste da Balanzone e parla ex-cathedra).
È, quella scrittura, come una checca in mimetica: terribile a vedersi, ma quando fa il gesto di imbracciare il mitra capisci che in realtà sta cercando il rossetto dentro il borsello per darsi una rinfrescata e dunque non c'e da preoccuparsi.
Le sue sintesi sono sempre esaustive: infatti esauriscono il nulla con una precisione che lascia stupefatti.
Non ci puoi togliere e non ci puoi aggiungere niente, dicevo, perché proiettano il vuoto a distanza come il nientificatore fantascientifico.
Se sei nel raggio sparisci anche tu.
La sua grammatica è aperta al possibile, la sintassi anche all'impossibile.
Forse sa quello che vuole dire ma il fatto è che non lo dice a nessuno, neanche a se stesso: infatti quando parla è anche peggio di quando scrive, segno che i due non sono in sintonia.

Anni fa qualcuno disse che sapeva disegnare.
La voce rimbalzò tra gli addetti al rimbalzo e la cosa acquisì i paramenti della verità incontrovertibile.
Naturalmente era vera quanto quell'altra voce che lo voleva "teorico dell'architettura" e solo un pochino di più dell'altra ancora (per la verità assai più flebile) che lo laureava, senza meno, architetto.
D'altra parte bisogna anche essere giusti: se il professor Purini non fosse un disegnatore, un teorico o un architetto che cosa mai sarebbe?
La risposta c'è ed è disarmante nella sua semplicità:
Sarebbe Purini: professore e gentiluomo.
What else?
Proprio come Mr Chips: ma più monumentale.
Un Mr Chips in tenuta da guardia svizzera.

Saluti lanzichenecchi
[23 luglio 2011]

 

 

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